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Mamme “imperfette”, unitevi: si può ammettere di non farcela senza essere considerate indegne di avere figli

La maternità idealizzata crea sensi di colpa, vergogna e inadeguatezza. Accettare la possibilità di sbagliare ed essere consapevoli dei propri limiti è un vantaggio per le donne, ma anche per la coppia e per i figli

Ha origini profonde il mito della mamma perfetta. Fin da bambine alle donne viene raccontato che la maternità è un istinto, che il dolore del parto si dimentica, che le gioie superano sempre le fatiche. Tutto sarà semplice, naturale e spontaneo, appena si avrà quel pargoletto tra le braccia. La madre è per definizione un essere appagato e felice, pronto a immolarsi per la prole, che non commette errori e, soprattutto, non si lamenta mai. Così, quando l’allattamento non funziona o si sente nostalgia dell’ufficio, in un attimo si spalanca un abisso di sensi di colpa, vergogna e inadeguatezza.

Il fallimento idealistico della mamma perfetta

Un tempo erano le mamme chiocce, poi mamme tigri, infine equilibriste o multitasking. Schiave della performance, fino a qualche tempo fa erano l’unico modello di genitorialità accettabile, con il quale le madri «normali» si confrontavano senza speranza. Ma ora sta fortunatamente emergendo un nuovo filone di pensiero che annuncia con spirito liberatorio il fallimento idealistico della mamma perfetta e dà il benvenuto alle donne vere. Quelle che cercano di dare sempre il meglio per i figli, accettando la possibilità di sbagliare, senza troppi sensi di colpa.

Gruppo San Donato

Tra le prime ad avere il coraggio di dire la verità sulla trappola della maternità idealizzata ci sono Sarah Malnerich e Francesca Fiore, che si definiscono «Mammadimerda» (o MdM). Il loro secondo libro Non farcela come stile di vita (Feltrinelli, 2022), dedicato alle mamme che non si vergognano di comprare pranzi surgelati, ma anche a tutti coloro che sono stufi di finti perfezionismi e consigli non richiesti, è un successo editoriale.

Tante donne hanno scoperto di non essere sole e che sì, si può ammettere di essere stanche senza essere considerate indegne di avere una progenie. Qualcuno lo diceva già in tempi non sospetti: il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott, già negli anni 60, coniava il termine di «mamme sufficientemente buone». Non infallibili, consapevoli dei propri limiti, pronte ad ammettere errori nel percorso educativo dei figli, ma sempre disposte a rispondere ai loro bisogni come possono. Per loro è più importante l’accettazione dell’approvazione, che non vuol dire passività: cercano sempre di fare di meglio ma, se sbagliano, non si condannano.

La brava mamma è quella che ammette di non farcela

Le mamme, quindi, non nascono coi superpoteri. È la società che li attribuisce loro, per poi storcere il naso quando la bacchetta magica non funziona e dopo una lunga giornata di lavoro la cena (biologica e bilanciata) non è in tavola. «La maternità è una continua ricerca di equilibrio tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si riesce a fare», spiega Emanuela Iacchia, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva. «Anche se ormai è chiaro che la mamma perfetta non esiste, il dubbio di poter sempre fare di meglio non abbandona mai le madri che, più o meno consapevolmente, continuano a rincorrere un modello di genitorialità da manuale. Con il rischio di trovarsi a fine giornata sfinite e frustrate».

Il carico mentale femminile non è un’invenzione. Le donne non solo fanno tutto in casa e per i figli, ma quando delegano assumono il ruolo di direttore generale: preparano, istruiscono, dirigono anche a distanza. Così delegare non è più un modo per alleggerirsi, ma una nuova mansione da aggiungere alle altre (illuminante a questo proposito il libro, edito da Laterza, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano, del 2017, della fumettista francese Emma). «La brava mamma non è quella che si sobbarca tutti i doveri e gli impegni della famiglia senza fiatare. È quella che ammette di non farcela, che sa farsi aiutare», prosegue Iacchia. Ma non solo per necessità, scrivono Malnerich e Fiore: «Non bisogna chiedere aiuto solo per andare a lavorare, ma anche per un aperitivo o qualsiasi cosa rappresenti del tempo per sé. Non è deresponsabilizzazione. Stare bene ci rende madri migliori, compagni migliori, persone migliori».

«Motherhood penalty»: le penalizzazioni che una donna con figli subisce a livello lavorativo

Il blog delle MdM nasce nel 2016, poi è arrivato il profilo Instagram, che oggi conta più di 160mila follower. Qui tutti (mamme, papà, nonni) possono raccontare senza vergogna quella volta in cui hanno dimenticato l’appuntamento dal pediatra, oppure ci sono andati, ma portando il figlio sbagliato (episodio vero). E si scopre che sugli errori della genitorialità si può ridere, perché gli sbagli li fanno proprio tutti, anche gli insospettabili. Ma va normalizzata anche l’idea contraria, cioè che non si può sdrammatizzare sempre e qualche volta viene voglia di piangere per lo sfinimento.

Mai sentito parlare di «arsenic hour», l’ora avvelenata? Indica quell’ora critica della giornata, tra il tardo pomeriggio e la sera, in cui si torna a casa dal lavoro e si desidererebbe solo un bagno caldo e una pizza d’asporto, invece ci si trova alle prese con bambini capricciosi, un marito affamato e la casa in subbuglio. Il termine si deve agli australiani, pensando al desiderio di molte mamme di stordirsi pur di arrivare indenni al momento della nanna.

Meglio arrendersi e rinunciare al lavoro? «Ogni situazione è diversa dall’altra e non c’è una soluzione valida per tutti», chiarisce Iacchia. «È provato però che una madre soddisfatta e felice accudisce meglio il suo cucciolo e si relaziona in modo più positivo con lui». Secondo il rapporto Istat del 2018, l’11,1% delle mamme non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli. Ben il 38,3% di quelle occupate ha dovuto modificare orari o mansioni per conciliare lavoro e famiglia (per i padri la percentuale scende all’11,9%). Quasi il 36% lamenta problemi logistici, tra casa e ufficio. Un aspetto che fa parte della «motherhood penalty», l’insieme di penalizzazioni che una donna che sceglie di avere figli subisce a livello lavorativo.

Bisogna abbracciare con serenità la propria inadeguatezza

La verità è che, per quanto si rincorra la perfezione, ci sarà sempre un’altra mamma con la risposta più veloce sulla chat della scuola e chi se ne frega di competere con lei. Chi ha detto che i suoi figli sono più felici degli altri? L’unica modalità di sopravvivenza nella giungla delle mamme altamente performanti è ammettere di non farcela. Abbassare le aspettative (proprie e altrui) e abbracciare con serenità la propria inadeguatezza.

Non sono le mamme a non essere all’altezza del loro ruolo. È il contesto in cui viviamo che non le fa mai sentire abbastanza. «In Italia, Repubblica fondata sulla burocrazia e sull’assenza di welfare, l’aspettativa sociale che aleggia su una donna quando si riproduce è quanto più lontano dalla realtà esista», affermano Malnerich e Fiore nel libro. «La narrazione dominante è che, avvenuta la metamorfosi in Vera Madre Devota, la donna cessi di esistere: tutto ciò che era prima diventa un ricordo, perché l’unica cosa a cui deve interessarsi è il proprio figlio, del quale saprà prendersi cura per dono divino. Guai a rimpiangere la vita di prima, a desiderare ancora i propri spazi, a godere di qualcosa che non sia legato alla presenza del bambino».

Ci sono gabbie psicologiche e culturali dalle quali è difficile uscire

Attualmente si stima che i vari blog e profili social sulle mamme imperfette siano seguiti da oltre otto milioni di donne. Il segreto? L’aver smontato eroine inesistenti, come le donne multitasking o resilienti, e sbugiardato il paradosso moderno che impone alle donne di lavorare come se non avessero una famiglia e di prendersi cura della famiglia come se non avessero un lavoro. Mantenendosi, possibilmente, sempre in ordine e fresche di piega.

Come rivela Elena Patrocchi, mamma e psicologa, in arte #mammasbagliata, che l’estate scorsa ha diffuso un video su TikTok che ha fatto il pieno di clic (quasi due milioni di visualizzazioni in due giorni). «A un certo punto della mia vita ho deciso che non volevo più annullarmi per i miei figli. Ma sono una mamma sbagliata, perché ho deciso di dire ad alta voce che la maternità non è la cosa più bella per una donna. Sono orgogliosa di essere sbagliata perché mi sento finalmente libera dalle imposizioni di questa società».

Tra le migliaia di commenti c’è anche chi l’ha criticata. «Li capisco», commenta Patrocchi, «perché queste cose si possono pensare ma non si possono dire. Anch’io sono stata lì: dentro gabbie psicologiche e culturali dalle quali è difficile uscire, perché siamo state cresciute con il mito della maternità gioiosa e perfetta che fa sentire ogni donna pienamente realizzata». Il suo canale social è aperto da pochi mesi e non è stato facile far capire alle donne che possono ammettere le proprie debolezze senza timore di essere giudicate.

Non rientrare negli standard suscita sensi di colpa e dubbi sul fatto di essere una brava madre

«Siamo tutte mamme cattive», rivela la protagonista del film Bad Moms. Mamme molto cattive, perché «essere una buona madre oggi è impossibile». Le descrive bene Ayelet Waldman, autrice di Sono una cattiva mamma (Rizzoli, 2011), racconto spassoso e sincero sulle difficoltà che scandiscono le giornate di ogni famiglia. Un esercito sommerso di donne che non riescono ad ammettere di sentirsi qualche volta così: stanche di bagnetti, notti insonni e pettegolezzi tra mamme, desiderose di una serata romantica o di un aperitivo fuori. «Le mamme non si dividono in buone e cattive, semmai ci sono donne che hanno ricevuto adeguata informazione e supporto emotivo, e altre che invece si sentono più spaesate e sole», spiega Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale e autrice di Poi la mamma torna (Mondadori, 2017).

«Non si tratta solo di donne diventate mamme “per caso”, ma anche di quelle che hanno desiderato e pianificato la gravidanza. La maternità comporta uno stravolgimento così radicale che anche i caratteri più consapevoli e preparati possono andare incontro a una crisi. Oggi poi le donne sono molto informate: internet, riviste, opuscoli propongono soluzioni preconfezionate, uguali per tutti. Non rientrare negli standard suscita sensi di colpa e dubbi sul fatto di essere una brava madre. La maternità, soprattutto la prima, porta con sé tanti sogni. Nell’immaginazione non c’è posto per i pianti, le notti insonni, gli umori instabili. Scontrarsi con questa realtà è dura. La vergogna è tanta, subentra il dubbio di non essere “tagliata” per fare la madre. Tutto ciò non ha niente a che fare con l’istinto materno o con l’essere una buona madre».

«È la fatica, la stanchezza, il peso del cambiamento. Non bisogna sentirsi in colpa, ma prepararsi fin dalla gravidanza al fatto che non sarà tutto rose e fiori e che un figlio può suscitare anche emozioni negative, di cui non bisogna vergognarsi. C’è un altro aspetto: spesso le future mamme, coccolate durante la gravidanza, passano in secondo piano quando nasce il bambino. Da qui le mille paure e il senso di solitudine. Una madre deve sentirsi accudita nella stessa misura in cui lei si prende cura del figlio. Oggi nei Paesi occidentali manca una cultura degli affetti».

I figli delle mamme felici di ammettere la loro imperfezione scoprono arti nascoste, come l’improvvisazione

Qualcosa però sta cambiando. «Anche grazie alla divulgazione di modelli più “reali”, le mamme cominciano ad accettare di non essere onnipotenti», commenta Iacchia. «Sempre di più sono diventate indulgenti verso se stesse, rivendicano il diritto di essere donne e mogli, oltre che madri, accettano di non poter avere sempre il controllo su tutto. Un cambiamento che fa bene a lei, ma anche a lui, spesso sottovalutato nel ruolo paterno. Fa bene ai bambini, che imparano a fare i conti con la possibilità che la mamma non sia sempre pronta e disponibile per loro. Fa bene alla coppia, che ritrova spazio e tempo per sé».

Ma come crescono i figli delle mamme felici di ammettere la loro imperfezione? «Scoprono arti nascoste, come l’improvvisazione», raccontano le MdM. «Devono abituarsi a sveglie che non suonano e a pasti bruciati, capita così che tirino fuori sorprendenti strumenti compensativi: adattabilità, elasticità, senso dell’umorismo. Essere autentiche, pur nella delusione delle altrui aspettative, ci permette di accettare anche l’imperfezione dei nostri figli, di essere tutti più liberi e quindi più felici».

Pianificare sempre tutto non aiuta la crescita del bambino

In effetti la perfezione è snervante e non aiuta nessuno. Conferma Iacchia: «Pianificare sempre tutto non aiuta granché la crescita del bambino, che si trova spiazzato di fronte a ogni imprevisto. I piccoli, certi che tutto procederà sempre come da programma, non attivano le competenze necessarie per affrontare le difficoltà». E come fare allora di fronte a quella mamma scioccata dalle nostre merendine confezionate? Ilaria Magrinelli, educatrice perinatale e counselor, suggerisce di buttarla sempre sull’ironia. «Mentite. E generalizzate. Quando vi chiedono: è bravo? Rispondete: sì, si fa anche il letto da solo la mattina». Le MdM non possono che essere d’accordo: mai gareggiare con le mamme perfette. «Si perde sempre o si mente molto. Lasciatele vincere. Lasciate a loro il figlio geniale, talentoso, prodigioso. Vi sentirete subito più rilassate».

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