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“Ipocondriaci” da vacanza: quando si ha paura di viaggiare

Per molti viaggiare è sinonimo di insicurezza. Lo specialista Giuseppe Valerio Mavilia spiega come superare questo problema

Mete lontane, paesi esotici, vacanze avventurose: viaggiare non è per tutti, anzi molti vivono il cambio di abitudini con insicurezza, portandosi appresso ogni genere di farmaci, guardando con sospetto i cibi e le usanze del posto. Da che cosa è causata questa incertezza? E come superarla? Ecco i consigli dello psicologo-psicoterapeuta, neuropsicologo, pedagogista Giuseppe Valerio Mavilia.

Che cosa rappresenta il viaggio?

Il viaggio è sinonimo di trasformazione, è la scoperta non soltanto di un altro paese e di un’altra cultura, ma soprattutto di se stessi e della propria personalità. Viaggiando si rompono gli schemi della quotidianità, ci si mette in gioco, si entra in un’altra dimensione, sconosciuta e che per questa ragione può intimorire.

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Lasciarsi andare a nuove sensazioni, che coinvolgono tutti i sensi, significa perdersi e rompere con l’abitudine che ci fa sentire al sicuro, protetti, ma che non è altrettanto ricca di stimoli. Viaggiare permette di arricchire il proprio io, di crescere, a patto che lo si affronti nel modo giusto: facendosi coinvolgere, cercando la dimensione diversa dalla propria, con curiosità.

Paura di viaggiare: perché succede?

Il viaggio può essere destabilizzante per certe persone particolarmente insicure perché ricevono dei segnali differenti rispetto alla quotidianità, non si ritrovano nei soliti schemi. Queste persone hanno il desiderio di rompere questi schemi, ma non sanno affrontare nel modo giusto gli allontanamenti. Sono combattuti tra il desiderio di crescita interiore e il rimanere attaccati a situazioni non risolte. Il cambiamento, il mutamento racchiuso nel viaggio, anche nel breve spostamento, genera ansia dovuta all’incertezza di ciò che non si conosce.

Molti hanno paura di ammalarsi

Le persone particolarmente insicure ricercano conferme e attraverso il corpo acquisiscono sicurezza di sé e padronanza della situazione. In viaggio si è più sollecitati e l’incertezza è dietro l’angolo, così ci si ricrea uno schema, una strategia e portare con sé in valigia farmaci per ogni evenienza è rassicurante, fa sentire protetti e al sicuro. Il farmaco offre molteplici possibilità di difesa. Essere previdenti è utile per evitare imprevisti spiacevoli, ma se diventa un eccesso non va bene.

Spesso queste persone fanno fatica anche ad accettare il cibo e le usanze del paese che li ospita, hanno necessità di ritrovare i “sapori” e le abitudini di casa anche in capo al mondo. Un esempio su tutti l’italiano che pretende di mangiare la pasta, o la pizza, anche alle Maldive o in Perù. O chi si porta dietro il sapone a ogni viaggio perché pensa che non lo troverà.

Viaggiare rimane un’abitudine non per tutti: è vero?

Viaggiare, soprattutto all’estero e in paesi esotici, fa status, è “à la page”, ma ci sono persone che lo fanno per le ragioni sbagliate, per adeguarsi e non per reale desiderio personale. Prima di partire ci si dovrebbe interrogare sulle proprie intime motivazioni. Anche la meta che si sceglie ha un significato profondo: l’isola rappresenta la ricerca dell’io, la centralità, il voler ritrovare se stessi, mentre la destinazione “culturale” nasconde il desiderio di conoscenza e di sperimentazione.

Si può “imparare” a viaggiare con più serenità?

Viaggiare fin da piccoli è importante perché “allena” al cambiamento, alla trasformazione, apre la mente a nuove possibilità, crea curiosità. Conoscere altre culture e usanze permette di superare barriere invisibili e di spostare l’attenzione da “noi” agli “altri”. Per imparare a viaggiare bisogna allenarsi, creandosi degli obiettivi facilmente raggiungibili, scegliendo ad esempio una meta vicina, preparandosi mentalmente, informandosi e leggendo. In questo modo il distacco dalle proprie abitudini avverrà per gradi e piano piano si potrà affrontare in autonomia e con il giusto atteggiamento la vacanza che si è scelta.

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