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Sclerosi multipla: nuovi strumenti diagnostici e farmaci per combattere la malattia

Il neurologo Massimo Filippi illustra le maggiori novità che interessano questa patologia neurodegenerativa

Si stanno studiando nuovi farmaci contro la sclerosi multipla. Dalla comprensione dei meccanismi alla base della malattia all’individuazione di nuove armi terapeutiche, passando per la ricerca di sofisticati strumenti diagnostici: negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante nello studio della sclerosi multipla, patologia neurodegenerativa che, solo nel nostro Paese, interessa oltre 122.000 persone, con più di 3.400 nuove diagnosi ogni anno.

Sclerosi multipla: scoperti nuovi meccanismi alla base della malattia

Recentemente, infatti, i ricercatori della rete internazionale di laboratori aderenti al programma BRAVEinMS hanno scoperto che la sclerosi multipla non è riconducibile a un difetto intrinseco delle cellule che producono la mielina, come si era ipotizzato finora.

Gruppo San Donato

«È ormai evidente che vi sia un ruolo sinergico tra fattori ambientali, genetici e immunologici alla base della malattia. In particolare, l’ipotesi più comunemente accettata per spiegarne la causa è che questa malattia, come altre condizioni disimmuni, sia dovuta ad una attivazione anomala del sistema immunitario, in questo caso contro specifici antigeni del sistema nervoso centrale, tra cui la mielina», spiega Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia – Centro di riferimento per la cura e la ricerca sulla sclerosi multipla, del servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, struttura del Gruppo San Donato. «Ciò determina l’instaurarsi di un processo infiammatorio e demielinizzante a livello di cervello, midollo spinale e nervo ottico, che spiega l’insorgenza delle manifestazioni cliniche tipiche della patologia. Questo processo patologico pare avvenire in soggetti geneticamente predisposti, in conseguenza dell’interazione con vari fattori ambientali, tra i quali vi è anche il possibile ruolo di uno o più agenti virali, dell’esposizione solare, dei livelli di vitamina D e del fumo».

Tecniche diagnostiche sempre più sofisticate

La patologia si manifesta con sintomi sfumati, spesso confondibili con quelli caratteristici di altre patologie, come vertigini, visione sdoppiata o velata, dolore nel movimento oculare, formicolii o paralisi degli arti. «Nella fase diagnostica di malattia, infatti, bisogna innanzitutto escludere tutte le patologie che possono “mimare” la sclerosi multipla», interviene Filippi. «Recentemente sono stati proposti nuovi biomarcatori più specifici per facilitare la diagnosi differenziale della malattia. Tra questi, il più promettente appare essere il cosiddetto “segno della vena centrale”. Mediante l’acquisizione di specifiche sequenze di risonanza magnetica basate sulla suscettività magnetica, è possibile valutare se al centro delle lesioni sia visualizzabile una venula. Studi recenti suggeriscono che la presenza del segno della vena centrale in una percentuale significativa di lesioni (circa il 35-40%) possa accuratamente differenziare la sclerosi multipla da altre malattie che mimano questa condizione».

La diagnosi di sclerosi multipla prevede poi di dimostrare che la patologia abbia interessato almeno due regioni distinte del sistema nervoso centrale (disseminazione spaziale) in tempi diversi (disseminazione temporale). «Oltre alla valutazione clinica, la risonanza magnetica e l’analisi del liquor cefalo-rachidiano sono ormai strumenti para-clinici fondamentali che sono stati inclusi nella revisione del 2017 dei criteri di McDonald, i criteri più recenti attualmente utilizzati in tutto il mondo per la diagnosi di sclerosi multipla. Come dimostrato da un recente studio internazionale che ho coordinato presso la Neuroimaging Research Unit del San Raffaele, questi criteri sono facilmente applicabili nel contesto clinico e anticipano significativamente la diagnosi di sclerosi multipla rispetto alla semplice valutazione clinica o ai criteri diagnostici precedentemente utilizzati, permettendo quindi di iniziare precocemente un trattamento specifico», prosegue lo specialista.

I farmaci per la sclerosi multipla hanno target sempre più specifici

Arrivare tempestivamente alla diagnosi è fondamentale per iniziare subito la terapia ed evitare disabilità importanti. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento costante del numero di farmaci disponibili per il trattamento della sclerosi multipla. La migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici della malattia ha  consentito di sviluppare nuove terapie efficaci, con target sempre più specifici, come ad esempio i linfociti B, e con potenziali effetti collaterali sempre più prevedibili e controllabili. Recentemente sono state approvate anche le prime terapie per i pazienti con forme sia primariamente che secondariamente progressive di malattia (rispettivamente ocrelizumab e siponimod), permettendoci così di avere a disposizione i primi farmaci per la cura di queste forme di malattia», spiega Filippi.

In corso la sperimentazione di farmaci ad azione neuroprotettiva e di molecole rimielinizzanti

Negli ultimi tempi, poi, stiamo inoltre assistendo ad un cambio del paradigma terapeutico della sclerosi multipla. «Accanto all’efficace azione anti-infiammatoria dei trattamenti attualmente disponibili, si stanno sperimentando farmaci potenzialmente in grado di esercitare un’azione neuroprotettiva volta a ridurre il progressivo danno degli assoni e dei neuroni che rappresenta il processo patologico principale alla base dell’accumulo di disabilità irreversibile dei pazienti. Inoltre sono in fase di studio anche delle molecole in grado di promuovere la rimielinizzazione e la riparazione tissutale, per favorire il recupero del danno strutturale precedentemente accumulato. Infine, non va dimenticato il ruolo sempre più importante della riabilitazione: i trattamenti riabilitativi, sia motori che cognitivi, disponibili anche presso l’Unità di Neuroriabilitazione del San Raffaele, sono infatti essenziali per promuovere una ottimizzazione del trattamento per ogni singolo paziente», conclude il neurologo».

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