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Sanità, perché la manovra è una dieta sbagliata

Nerina Dirindin,
economista dell’Università di Torino,
blogger di SALUTE INTERNAZIONALE

Nei momenti di difficoltà le cure dimagranti sono inevitabili. E quando le difficoltà, a lungo negate, emergono in tutta la loro gravità, diventano indifferibili. Ma non sempre le diete sono efficaci, a maggior ragione quando sono improvvisate. Le donne, le madri di famiglia, sanno quanto sia faticoso preparare pasti (soprattutto in tempi di crisi) in modo da alimentare adeguatamente bimbi in crescita, adolescenti sportivi, ragazze attente alla linea, mariti in sovrappeso e nonni diabetici. Nessuna madre di famiglia avrebbe imposto alla sanità pubblica la dieta prevista dalla manovra. Almeno per quattro buone ragioni.

Gruppo San Donato

Perché applica al servizio sanitario un regime alimentare adatto a chi soffre di obesità, anche se la sanità italiana è fra le meno spendaccione e inefficienti dei paesi sviluppati; l’ultima conferma viene da un recente lavoro dell’Oecd, dal quale risulta che l’Italia è il paese che può vantare al contempo una elevata speranza di vita, una contenuta dinamica della spesa sanitaria e bassi livelli di inefficienza (in termini comparativi, rispetto alla media degli altri paesi dell’Oecd). La sanità italiana non ha quindi bisogno di cure dimagranti, anche se la grave crisi economica impone una attenta verifica degli ulteriori margini di miglioramento (pur sempre possibili).

In secondo luogo, perché la manovra impone la stessa dieta a tutte le regioni, rischiando di provocare gravi squilibri in chi sta lavorando bene, senza incidere in modo adeguato su chi deve affrontare i danni prodotti da decenni di mancata programmazione. Di fronte ai rilevanti divari tra regioni nella dotazione di personale, nella disponibilità di strutture, nella quantità e qualità dei servizi offerti, nel mix pubblico privato, anche una manovra predisposta in condizioni di emergenza dovrebbe prevedere maggiore flessibilità. Preoccupano ancora una volta le restrizioni al personale dipendente che rischiano di riprodurre, come in passato, un aumento del precariato e un ricorso indiscriminato alle esternalizzazioni di servizi, esponendo il sistema alla penetrazione della criminalità organizzata.

In terzo luogo perché nessuna madre imporrebbe sacrifici solo ai figli, salvaguardando i propri privilegi, come ha fatto il palazzo. Una madre sa che risultati duraturi possono essere raggiunti solo con il buon esempio, adottando comportamenti esemplari che possono rendere meno gravosa la disciplina imposta agli altri. Una madre sa che, se adeguatamente motivati e responsabilizzati, anche i familiari più egoisti sono disposti a dare il proprio contributo, pur brontolando. Valga per tutti l’ultimo esempio, riferito alle politiche sociali: il Governo prima taglia le risorse destinate alla famiglia (25 milioni per il 2011, contro gli oltre 300 nel 2008) e poi decide di tenerle tutte per sé, tenuto conto della loro esiguità! E così i sacrifici sono solo delle Regioni e degli Enti locali.

Infine, perché la manovra rischia di produrre effetti indiretti devastanti: il robusto ragazzo sportivo mangerà fuori casa merendine ipercaloriche, vanificando gli sforzi in termini di risparmio e di corretta alimentazione. È questo il caso del ticket di 10 euro che produce effetti distorsivi a favore del settore privato, rendendo, per molte prestazioni, più costoso accedere al servizio pubblico che rivolgersi ai laboratori privati (leggi). La manovra ipotizza infatti che da questo derivi un aumento delle entrate da ticket, senza rendersi conto che in realtà produce solo un drastico calo dell’attività pubblica e di conseguenza anche delle entrate. Non solo; verrà meno ogni obiettivo di appropriatezza nel consumo di prestazioni, posto che il privato non ha interesse a limitare l’attività alle sole prestazioni effettivamente utili, e aumenterà il ricorso a prestazioni (esempio il day hospital) più complesse e costose per le casse del Ssn. E i livelli di assistenza saranno di fatto ridotti, a dispetto di ogni tutela costituzionale.
Nerina Dirindin

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