Personaggi

Vittoria Schisano: «Donna si nasce, non si diventa col bisturi»

L'attrice ha rischiato di perdere tutto per raggiungere la grande conquista della sua vita: se stessa

Vittoria Schisano, attrice e attualmente concorrente a Ballando con le stelle, racconta a OK Salute e Benessere il suo delicato percorso per cambiare sesso e ritrovare, finalmente, se stessa.

Vittoria Schisano: «Convocai un riunione di famiglia per comunicare la mia decisione»

All’epoca, era il 2011, per l’anagrafe ero ancora Giuseppe ed ero un giovane attore che aveva iniziato la scalata al successo. Coprotagonista con Lando Buzzanca della serie di Rai 1 Io e mio figlio, premio Oscar dei Giovani nella categoria spettacolo come miglior attore esordiente nel 2010, avevo appena girato il film Canepazzo di David Petrucci. Ma quel giorno avevo lasciato Roma, dove mi ero trasferito diciottenne, per tornare nella mia Pomigliano d’Arco, hinterland di Napoli. Avevo indetto una riunione di famiglia: mamma sarta, papà operaio, fratello, sorella e cognato.

Gruppo San Donato

Comunicai loro la mia decisione. «Che cosa vuol dire? Che sei gay?», mi chiese mio padre, al quale mai in precedenza avevo parlato del mio sentire. «No, papà, la verità non è questa. La verità è che mi sento proprio donna». «E qual è il problema?». «Forse non hai capito. Ho iniziato le cure ormonali, voglio diventare in tutto e per tutto una donna». Nessuno degli altri presenti fiatò, probabilmente volevano lasciare a papà la scomodità di farmi la guerra. Invece, dopo una pausa di riflessione, lui mi fece la domanda che tutti i genitori dovrebbero fare ai figli: «Pensi che dopo sarai felice?». «Papà, non so se sarò felice, ma sarò me stessa». «Va bene. Se è quello che senti, fallo». Mia madre girò la testa a 360 gradi tipo Linda Blair ne L’esorcista. Perché lo fece? Penso avesse paura dei giudizi della gente, o forse perché per far nascere sua figlia avrebbe dovuto far morire suo figlio, oppure perché probabilmente le mamme si danno colpe che non hanno. Fatto sta che in quel momento mi sentii tradita.

Una donna realizzata con un percorso difficile alle spalle

Non sono una mamma, magari non lo sarò mai (anche se prima di iniziare le cure ormonali ho congelato il mio seme), ma sono dell’avviso che, per una madre, un figlio sia sempre un figlio e che, quindi, vada protetto e amato per com’è, non per come si vuole che sia. Certo, adesso con lei ho un ottimo rapporto, ma oggi è facile battermi le mani: sono Vittoria Schisano, una donna realizzata con un percorso difficile alle spalle. Ma, se il risultato non fosse stato questo, che cosa sarebbe successo? La disforia di genere è una malattia che, però, non è incurabile. Dopo un percorso psicologico e medico-chirurgico, la scienza riesce a portare equilibrio là dove prima non c’era, rendendo la vita di una persona più felice e serena. E una persona felice genera felicità, dà un buon esempio anche alle altre. La grande differenza tra Giuseppe e Vittoria è che, mentre Giuseppe era triste anche quando rideva, Vittoria è una persona risolta, ben definita. Ora anche le giornate più brutte sono belle.

Si nasce donna, non è un bisturi a renderti tale

È tutta una questione di consapevolezza. In realtà fin dai ricordi più remoti della mia infanzia io ho subito avuto la percezione di me stessa, la verità l’ho sempre saputa, anche se me la sono nascosta a lungo: ognuno di noi sa chi è. Mamma mi portava a spasso in passeggino per le vie di Pomigliano e i passanti esclamavano: «Ma quanto è bella questa bambina!». Io ero felicissima, anche se mia madre li correggeva subito: «No, è un bambino!». Ma io sapevo di essere una bambina, una convinzione che mi veniva naturale come il respirare. Non è che una si sveglia la mattina e dice: «Sono una donna, ora cambio sesso». Il mio sentire e la mia indole erano da sempre del tutto femminili. Io ero una donna. Si nasce donna, non è un bisturi a renderti tale. Un bisturi può solo mettere equilibrio dove non c’è, ma, se non sei donna nel cervello, nel cuore e nell’anima, sarai sempre solo un uomo che scimmiotta una donna. E affermo questo con tutto il rispetto per coloro che trovano il proprio equilibrio in questa fase di mezzo. Ecco, così, che i miei punti di riferimento erano proprio la mamma e mia sorella, non il papà e mio fratello.

Vittoria Schisano: «Chi prima mi bullizzava ora mi corteggia»

A carnevale mi vestivo da gattina o fatina e l’anno in cui mia madre, per evitare che i miei compagni mi deridessero, mi impose una maschera maschile, scelsi d’impersonare una delle guardie della regina d’Inghilterra, unicamente perché portavano un cappello di pelliccia. Mi sono anche iscritta a danza, l’insegnante era bellissima in quel suo body verde smeraldo che avrei voluto indossare io. Ovviamente sono stata ritirata dopo sei mesi perché i compagni mi chiamavano frocio. Stesso insulto che ricevevo a scuola alle medie. Solo che nessuno, a partire dai professori, prendeva le mie difese zittendo chi mi attaccava, ma zittivano la sottoscritta, con il risultato di far sentire sbagliata me e non loro. Loro, cioè – per la cronaca – quegli stessi ragazzi che oggi corteggiano Vittoria. Insomma, di atti di bullismo, com’è facile intuire, ne ho subiti in quantità, ma il primo l’ho ricevuto in famiglia. Nessuno voleva vedere le cose per quel che effettivamente erano, la scusa era sempre quella: «È un principino, è una persona elegante, è sensibile». Alla fine mamma, invece di cercare di capire insieme a me il perché dei miei comportamenti, quando avevo sette o otto anni agì nel modo più semplice e sbagliato al tempo stesso: mi portò dal medico per farmi iniettare ormoni maschili. Ma non si può distruggere la natura di un essere umano. Sola nella mia cameretta, desideravo morire per rinascere femmina. Una donna vera, non uno di quei personaggi in qualche modo circensi che all’epoca sbandieravano i media.

Vittoria Schisano: «Ho cercato di autoconvincermi che fossi gay»

Dopo un’infanzia trascorsa in silenzio, siccome nessuno mi aveva spiegato che esistono persone che nascono nel corpo sbagliato, m’indorai la pillola dicendomi: «Va bene, sono omosessuale». Non ho mai avuto una vera fidanzata femmina, a esclusione di un «test» andato non oltre un bacio all’interno di un rapporto che poteva essere tra fratello e sorella. La prima persona a farmi battere il cuore, a 18 anni, era stato un ragazzo. Quindi… ero gay. Eppure sapevo che mi stavo raccontando una bugia: un omosessuale è un uomo al quale piace un altro uomo, mentre io ero femmina nella testa. Nel mio profondo mi chiedevo come sarebbe stato essere amata in qualità di donna. Ero infelice perché non vivevo appieno la mia vita. Nonostante i riconoscimenti professionali. Nonostante fossi stata alla mostra del cinema di Venezia e mi fossi comprata casa. Tanta roba per il figlio di un’umile famiglia di Pomigliano… Ma com’era possibile che non fossi felice? Semplice: non avevo raggiunto il traguardo più importante. Me stessa.

Durante le riprese del film Canepazzo la verità è giunta come uno tsunami

La verità è giunta, come uno tsunami, nel 2011, durante le riprese di Canepazzo, l’ultimo set di Giuseppe Schisano. Per la prima volta non rivestivo un ruolo da fidanzatino d’Italia, bensì interpretavo un killer psicopatico vissuto e sciupato, con occhiali e barbone. Mi sono guardata allo specchio e mi sono piaciuta, sì, ma come mio potenziale fidanzato. Non appena ho realizzato che, invece, l’uomo allo specchio ero io, mi sono chiesta: «Devo vivere tutta la vita questa grande bugia?». Avevo speso l’infanzia e l’adolescenza a far felici gli altri. Giuseppe fino ad allora era stato il figlio perfetto, quello che tutti i genitori desiderano, educato, bravo a scuola e poi di successo nel lavoro, e mi gratificava l’idea che mia madre avesse un figlio così. Avevo vissuto la mia felicità attraverso quella degli altri, così come la mia femminilità tramite quella di mia sorella o delle mie amiche. Dirmi in faccia la verità mi ha mandata in crisi. Ho iniziato a rifiutare la vita, a non dormire, a non mangiare. Avrò perso una decina di chili.

Vittoria Schisano: «La mia voce è cambiata subito con i primi ormoni»

Quando ti travolge uno tsunami hai due scelte: o affoghi o ti butti in mare e nuoti più forte che puoi per raggiungere la tua isola. Io ho trasformato la sofferenza in forza e sono arrivata con fatica a essere quella che sono. Non ho neppure aspettato la fine delle riprese per prendere gli ormoni, tanto che Canepazzo è l’unico film in cui sono stata doppiata. La mia voce era cambiata subito e non andava più di pari passo con la mia immagine. La transizione è durata poco più di cinque anni. Inizialmente mi sono rivolta al Saifip di Roma, il Servizio per l’adeguamento tra l’identità fisica e identità psichica. C’era un protocollo da seguire. Un analista mi fece fare disegni su un foglio, quando glieli consegnai mi aspettavo che mi prescrivesse il trattamento ormonale. «No, glielo posso dare solo dopo un certo numero di mesi di colloqui», fu la sua risposta. «Ma stiamo scherzando? Ho impiegato 30 anni per dirmi la verità e ora lei deve vedere dal mio disegno chi sono?».

Nata una seconda volta

Mi alzai e me ne andai. Ritrovai lo stesso psicologo quando, ormai donna a tutti gli effetti, tornai negli uffici del Saifip per avere il riconoscimento sui documenti d’identità e cambiare. Aveva seguito il mio percorso in tv, mi strinse la mano e mi fece i complimenti per il mio coraggio. Nel frattempo, infatti, avevo preso tutti i miei risparmi e, dopo essermi documentata sui migliori specialisti in campo mondiale, mi ero rivolta a un chirurgo illuminato in Spagna, Iván Mañero. Scelsi lui perché non mi ha mai guardato come una paziente, ma come una donna. Ha davvero tirato fuori dal marmo una forma che era già dentro. Per me è un secondo papà: mi ha messo una seconda volta al mondo, regalandomi la vita che volevo.

Vittoria Schisano: «Continuavo a ripetermi “Cosa stai facendo?”»

È, comunque, stato un periodo molto faticoso a livello emotivo. Intanto mi ero allontanata dalla mia famiglia, perché una parte non capiva né supportava la mia scelta. Il mio agente mi chiese: «Lo sai che puoi perdere tutto? Lavoro, casa, famiglia, amici. Tutto quello per cui hai lottato fino a oggi». Risposi: «Sì, posso perdere tutto, ma guadagno la cosa più importante: me stessa». Ovviamente ero spaventata, nessuno garantisce il risultato finale di una transizione. Gli ormoni creano scompensi mentali e fisici. Ho avuto un momento in cui ero diventata davvero orribile, avevo perso la bellezza che avevo da ragazzo. Il corpo era gonfio per le cure, il viso pieno di buchi a causa dei trattamenti per togliere la barba. Resistevano, poi, aspetti che mi ricordavano Giuseppe e, ogni volta che riemergevano, erano un pugno nello stomaco. Sotto la doccia non mi guardavo, quello che avevo tra le gambe mi faceva schifo. Allora cercavo di concentrarmi sul risultato finale; quando tornavo a casa dalla clinica chiudevo gli occhi, mettevo la mia musica e sognavo Vittoria in lontananza. C’era, tuttavia, sempre una parte di me che si domandava: «Ma che cosa sto facendo?».

Il regalo più bello: il sorriso del padre

Ho trovato pace solo quando ho completato il mio processo di transizione. Dopo essermi sottoposta alla vaginoplastica sono tornata a Pomigliano. Papà soffriva già della malattia che da lì a poco lo avrebbe portato via. Nella vita di Giuseppe non era stato presente, e per colpa del solo Giuseppe, che non gli aveva dato la possibilità di essere importante. Una chance che, invece, Vittoria gli aveva concesso e lui si era ritagliato un ruolo fondamentale. Mi affacciai dalla porta della sua camera. «Rosaria?», mi confuse con mia sorella. In effetti siamo molto simili, lei e io. «Non sono Rosaria. Sono Vittoria». Mi mise a fuoco: «Quanto sei bella!». Il regalo più bello della mia vita.

Vittoria Schisano (testimonianza raccolta da Marco Ronchetto)

Leggi anche…

Mostra di più
Pulsante per tornare all'inizio