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Francesco Facchinetti: un fiume di sangue dal naso

«Ho sofferto di epistassi fin da bambino, dopo una pallonata. C'è voluto il Festival di Sanremo per spingermi a risolvere il problema»

«Fin da bambino non appena mi emozionavo veniva fuori dal naso un fiume di sangue», racconta Francesco Facchinetti. «Ho deciso di operarmi solo nel 2007, alla vigilia del Festival di Sanremo. Non potevo rischiare di trasformarmi nella solita maschera di sangue davanti a milioni di telespettatori».

Francesco Facchinetti: da bambino non stavo mai fermo

«Da bambino mi chiamavano Attila flagello di Dio. Prima mi sono fatto sbattere fuori da tutti gli asili di Bergamo e mio padre, per convincere le suore a riprendermi, ha dovuto fare un concerto al pianoforte solo per loro. Quando i miei si sono separati sono andato a vivere a Mariano Comense, con mamma Rosaria. Una mattina, avrò avuto dieci anni, a scuola mi sono piazzato in porta per una sfida a calcetto nell’intervallo. Mi annoiavo, la palla non arrivava mai. Irrequieto come un cavallo, ho cominciato a smontare la rete e a giocare coi ganci che la tenevano in piedi. E chi la seguiva più la partita…

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Notti intere con l’emorragia

Poi, un lancio sbagliato, fortissimo, mi ha colpito all’improvviso, mentre mi trastullavo coi ganci della rete, che mi sono finiti dritti nel naso. Stordito, sono caduto a terra. La mia faccia era una maschera di sangue: un’autentica scena splatter alla Tarantino.
Sono finito dritto al pronto soccorso. Del mio nasino rimaneva solo qualche brandello sfilacciato. Mi hanno messo su un lettino e mi hanno ricucito al volo.
Mamma mi ha riportato a casa a suon di sculacciate. Ma qualcosa non si era rimesso a posto dopo l’incidente: un piccolo capillare non del tutto cicatrizzato. Ho cominciato a soffrire di epistassi: sangue a fiotti dal naso, quando meno me l’aspettavo. Sangue dal naso, ecco cosa fare.

Francesco Facchinetti: ho provato mille rimedi per bloccare il sangue

Nonna, mamma e sorella mi erano sempre dietro per tamponare un’emorragia non calcolata: se mi agitavo troppo, se prendevo un colpettino giocando a calcio, se sudavo e poi stavo al freddo, se avevo un raffreddore un po’ più violento del solito.
Quando ancora ero piccino, ognuno doveva dire la sua. “Tieni la testa in avanti, così non deglutisci”, mi dicevano mentre scalciavo per tornare dagli amichetti. “No, è meglio se si mette del ghiaccio alla radice del naso”, ci riprovavano. Ho passato un sacco di notti con i cuscini sotto la testa: così diminuiva la pressione del sangue, sempre secondo i rimedi che il familiare di turno si inventava.

Nel 2007 la cauterizzazione 

A 18 anni mi sono rotto il naso sullo snowboard. Al pronto soccorso hanno provato a convincermi: “Perché non si opera? Una piccola cauterizzazione e non avrà più problemi con quel capillare“. Operarmi? Io? Ma va’… E poi non ho mai avuto un buon feeling con camici e lettini.

Da qualche anno avevo intrapreso la carriera di deejay prima e di cantante poi. Ogni volta che avevo una serata in discoteca o un concerto, il naso mi tradiva, e giù sangue come un fiume in piena. L’emozione mi giocava questo scherzetto e io mi vergognavo a morte, soprattutto quando mi chiedevano se avevo preso qualche droga per caricarmi. “Macché cocaina”, ribattevo io tamponando l’emorragia.

Sanremo 2007: la grande prova, in gara con papà Roby. È stato allora che mi sono deciso per l’intervento di cauterizzazione. Non potevo rischiare di trasformarmi nella solita maschera di sangue davanti a milioni di telespettatori.
Ho fissato l’operazione. Cinque minuti di sofferenza, un piccolo bisturi mi è entrato nelle narici e ha sibilato un poco. Il capillare ribelle era ko. Dopo un quarto d’ora ero già in piedi, pronto per il palco col mio naso seminuovo. L’operazione mi ha portato bene: Attila il flagello cresciuto e papà sono arrivati ottavi».
 

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