BenessereConsigli

Ambra Angiolini: troppa cronaca nera, vivo nella paura

«Perché i giornali e le televisioni mi bombardano di dettagli raccapriccianti? Il male narrato mi sommerge e io mi sento male. È solo una paranoia, mi dico. Intanto soffro»

«Perché giornali e televisione mi bombardano di dettagli raccapriccianti?», si domanda Ambra Angiolini. «Ogni giorno l’ondata di cronaca nera che arriva dai media mi sommerge. E io sto male».
Ecco la confessione dell’attrice a OK.

«So tutto della morte di Samuele Lorenzi, ma non ricordo il suo sorriso. Accendo la televisione e assisto all’agonia straziante di Meredith Kercher. Sfoglio un giornale e mi macchio degli schizzi di sangue di Chiara Poggi. Sto male.

Gruppo San Donato

Il bombardamento di dettagli, con analisi necroscopiche ed esplorazioni ginecologiche, mi fa paura. Una paura che si riverbera nella mia esistenza, giorno dopo giorno. Il male è dappertutto, penso: nell’uomo che mi incrocia mentre vado a fare la spesa, nell’appartamento dei vicini, forse anche a casa mia.

E allora penso: se l’orrore è qui, accanto a me, tra i miei cari, tutto il resto come deve essere? Poi abbraccio i miei figli, li metto a letto e penso che non ci devo pensare. Per non sporcare l’armonia familiare, butto dentro tutto e chiudo il tappo. È solo una paranoia, mi dico. Una paranoia da cronaca nera. Sto male in silenzio.

Sono cresciuta in quello che mi sembra un altro mondo. Facevo la spesa con mia madre, ci si conosceva tutti nel quartiere e se non ci si conosceva ci si poteva sempre presentare. A scuola andavo a piedi e la paura di brutti incontri non era nel conto. Se per caso c’era un incidente la gente faceva largo per facilitare i soccorsi, oggi ci si accalca per riprendere la scena coi telefoni cellulari.

Non era un mondo migliore, era solo raccontato in modo diverso. Il bene e il male erano sempre lì, sono sempre stati lì, solo che nessuno si sognava di mischiarli. E soprattutto il delitto non era uno spettacolo quotidiano.

Mi sento a rischio, sempre e dovunque
Pensateci bene, la vicenda di Garlasco oggi viene assimilata a Beautiful. I criminologi te li ritrovi davanti a qualunque ora che ti spiegano perché la vittima aveva le gambe aperte o, tecnicamente, come un assassino può aver abusato di una donna senza lasciare tracce biologiche.

C’è una raccapricciante inondazione di dati espliciti che mi sconvolge. Perché mi dite questo? Perché mi raccontate cose che non devo sapere? Non sono un magistrato né un medico legale. Quando, nel 2004, sono diventata mamma per la prima volta, ricordo di aver provato un senso di vertigine davanti al resoconto giornalistico di una madre che affogò nella vasca da bagno il suo bambino. 

Di lì a poco si scatenò il fenomeno delle mamme assassine che televisioni e quotidiani raccontarono con morboso trasporto. Mi venne da pensare: com’è possibile che una persona un giorno si sveglia e decide che il bene più prezioso non ha più valore? Succede così spesso? A me può accadere? Se sono io l’arma peggiore, tutto il resto cos’è?

Ne è nata una sensazione di pericolo costante, ingiustificato e soprattutto diffuso. Così, prendi un aereo e provi per la prima volta la paura di volare: e se c’è un attentatore? Sali sul treno e ti guardi intorno tre volte prima di sederti: e se c’è uno stupratore? Entri in un universo che non è il tuo, quello in cui sei cresciuto. La violenza non è il tuo quotidiano, tu non vuoi entrare dovunque, sapere tutto proprio tutto, tu hai limiti, pensieri, pudore.

Se uno non ha una fine, non sa fermarsi. E io mi voglio fermare. Non voglio vivere, secondo per secondo, l’agonia del piccolo di Cogne, mi strazia già il pensiero del bambino assassinato. Non voglio che i miei figli crescano con l’orrore spettacolarizzato, loro all’orrore non dovranno abituarsi mai.

Dove finisce la dignità delle vittime?
Mi sembra che certe crudeltà narrate in modo morboso generino una sete di altre crudeltà: si cerca, si scava, in fondo c’è il nulla. L’ informazione è necessaria, ma c’è un limite. Non credo che un evento tragico perda d’effetto se privato dei dettagli macabri.

Sfoglio un giornale e trovo un articolo sulle lacerazioni provocate da un coltello su una povera ragazza. Nella pagina seguente, una foto sul primo topless della stagione. Tutto questo mi sembra volgare. Le vittime hanno una dignità, i morti sono celebrati da foto che li ritraggono sorridenti, magari col vestito buono nel salotto di casa. È quello il volto che va ricordato. I patimenti o le atrocità che hanno subito prima di andarsene non devono essere il loro epitaffio».

Ambra Angiolini (testo raccolto da Gerry Palazzotto per OK La salute prima di tutto nel gennaio 2008)

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE 

Hai paura delle malattie? Attento, rischi l’infarto

Daniela Santanchè: «Per anni ho avuto paura di dormire da sola»

Terrorismo: sì ai viaggi, no alla paura

Paura dell’operazione? Ecco come placare l’ansia

Mostra di più
Pulsante per tornare all'inizio