Il linfoma è un tumore del sistema linfatico che colpisce, in particolare, i linfociti, cioè le cellule preposte alla difesa dell’organismo dagli attacchi patogeni. I linfociti si trovano in minima parte nel circolo sanguigno ma è soprattutto nei linfonodi, nella milza, nel timo e nel midollo osseo che si sviluppano e agiscono contro gli agenti batterici o virali. Esistono i linfociti B, che producono anticorpi in grado di legarsi all’antigene specifico e distruggerlo, e i linfociti T, che si suddividono i linfociti T helper (DD4) e linfociti T citotossici. I primi “aiutano” le altre cellule a difendere l’organismo, i secondi combattono in prima linea. Se i linfociti si replicano in modo incontrollato, accumulandosi nelle sedi sopracitate, si sviluppa il linfoma.
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Due tipi di linfoma: Hodgkin e non Hodgkin
A causa delle mutazioni genetiche coinvolte, il linfoma può essere di due tipi:
- Linfoma di Hodgkin. È un tumore che origina dai linfociti B ed è relativamente raro. Stando alle recenti stime, ogni anno 4 persone ogni 100.000 sviluppano questa neoplasia che rappresenta, dunque, lo 0,5% di tutti i casi di tumore. È il cancro più frequente nella fascia compresa tra i 15 e i 35 anni.
- Linfoma non Hodgkin. Origina dai linfociti B e T, ogni anno colpisce 15-18 persone su 100.000 ed è più frequente tra i 50 e i 65 anni.
Linfoma di Hodgkin
Come abbiamo visto, nel linfoma di Hodgkin i linfociti B, a causa di mutazioni genetiche, crescono in modo anomalo e si accumulano nel sistema linfatico ma anche in altri organi. Più la malattia progredisce e meno l’organismo è in grado di combattere le infezioni. L’esposizione a pesticidi, agenti chimici o radiazioni può costituire un fattore di rischio, così come la storia familiare, le condizioni di immunodepressione e l’aver contratto il virus Epstein-Barr. Questa tipologia di tumore è leggermente più frequente negli uomini e colpisce soprattutto tra i 15 e i 35 anni e gli over 60. La particolarità di questo tumore è che la massa cancerosa non è costituita solo da cellule patologiche ma anche da quelle infiammatorie normali, tra cui le cellule malate, dette cellule di Reed – Sternberg o cellule di Hodgkin.
Quali sono i sintomi?
Il linfoma di Hodgkin si manifesta con l’aumento di volume dei linfonodi del collo, delle ascelle o dell’inguine, non motivato da alcuna infezione. A destare sospetto sono i linfonodi ingrossati, duri come sassi e non dolorosi (in caso di linfonodi ingrossati, mobili e dolenti è più probabile che siano indicativi di un’infezione). Tra gli altri sintomi troviamo una sudorazione eccessiva, soprattutto notturna, un prurito intenso e incessabile, febbricola, spossatezza, inappetenza. Se il tumore ha coinvolto i linfonodi del torace si possono manifestare anche tosse, dolore al petto e difficoltà respiratorie.
Come si diagnostica?
Se c’è un sospetto clinico, il medico procede con alcuni esami di approfondimento. Tra questi la biopsia del linfonodo, cioè l’asportazione di tessuto patologico di questa sede. Questo materiale viene poi analizzato al microscopio. Dopo la diagnosi istologica è necessario comprendere lo stadio del tumore. Per farlo ci si deve sottoporre a TC, risonanza magnetica, ecografia e PET.
Come si cura?
La scelta della terapia dipende dallo stadio della malattia, dall’età del paziente e dalle condizioni di salute. In generale il trattamento prevede la polichemioterapia e la radioterapia, da sole o combinate. Lo schema di polichemioterapia più impiegato al mondo è quello ideato dal ricercatore Gianni Bonadonna, cioè l’ABVD, dalle iniziali dei farmaci che lo compongono. Frutto della recente ricerca scientifica sono i nuovi farmaci biologici, come il Brentuximab-Vedotin, i cosiddetti inibitori di PD-1 e PD-L1 e gli anticorpi anti-CD20.
Linfoma non Hodgkin
Il linfoma non Hodgkin è un tumore che, come abbiamo detto, origina dai linfociti B e T. Anche in questo caso esistono fattori in grado di aumentare il rischio di andare incontro a questa patologia. Tra questi ci sono l’esposizione a radiazioni, insetticidi, erbicidi e benzene, le condizioni di immunodepressione, la presenza di malattie autoimmuni, di infezioni virali croniche, come l’epatite C, o infezioni batteriche, come quella da Helicobacter Pylori. Anche l’aver contratto il virus Epstein-Barr è un fattore di rischio.
Quali sono i sintomi?
Anche in questo caso, il tratto distintivo del linfoma non Hodgkin è l’ingrossamento non doloroso dei linfonodi in diverse sedi. A livello addominale possono comparire gonfiore e aumento del volume di milza o stomaco, mentre a livello toracico possono insorgere tosse, dolore al petto e fiato corto. Se il linfoma è diffuso nel sistema nervoso, ci possono essere mal di testa, debolezza e difficoltà di parola. In generale possono comparire anche sudorazione notturna, prurito irrefrenabile, febbricola, inappetenza, stanchezza.
Come si diagnostica?
Il medico esegue una visita per verificare la presenza dei segni tipici della malattia. Nel caso in cui ci fosse un sospetto clinico, prescrive alcuni esami di approfondimento. Primo fra tutti la biopsia dei linfonodi, che consente di prelevare e analizzare un campione di tessuto. Quest’ultimo viene anche sottoposto a test molecolari, in grado di stabilire il tipo di neoplasia in questione. A oggi, infatti, sono state identificate più di 40 forme di linfoma non Hodgkin. Per stabilire, poi, l’estensione della malattia sono necessari radiografie, TC, risonanza magnetica, ecografia, PET. Anche l’esame del sangue può aiutare a formulare una diagnosi: in presenza di linfoma non Hodgkin, infatti, si possono riscontrare livelli anomali di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine, VES e lattato deidrogenasi (LDH).
Come si cura?
Le terapie più frequenti sono la chemioterapia e la radioterapia, da sole o combinate. Negli ultimi anni la prognosi di questa malattia è ulteriormente migliorata grazie all’impiego di anticorpi monoclonali. Ad esempio per il linfoma diffuso a grandi cellule B, che è uno dei linfomi non Hodgkin più aggressivi, si opta per chemio-immunoterapia R-Chop, costituita dalla chemioterapia con ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina più il farmaco steroideo prednisone, alla quale si associa l’anticorpo monoclonale rituximab. Grazie a questo regime, circa il 70% dei pazienti ottiene una remissione della malattia. Per chi non risponde al trattamento sono previsti una chemioterapia ad alte dosi e il trapianto di cellule staminali.