Alimentazione

Anemia: la dieta facile per tenerla sotto controllo

La carenza di ferro è una condizione diffusa, soprattutto fra le donne, ma nei casi meno gravi può essere contrastata con l’alimentazione. I consigli, il programma settimanale e le ricette a cura degli specialisti

Buon cibo fa buon sangue, dicevano i nostri nonni. E oggi la scienza è in grado di dimostrare il vero valore della buona tavola. Non sono pochi, infatti, i disturbi causati proprio dalla cattiva alimentazione. È il caso della sideropenia, un deficit di ferro nell’organismo che può essere dovuto, in assenza di malattie, a una carenza nutrizionale. Una dieta varia ed equilibrata è la prima forma preventiva per evitare che si trasformi in qualcosa di più serio come l’anemia sideropenica.

Ecco perché dobbiamo reintegrarlo

«Ognuno di noi ha un patrimonio di 3,5-4 grammi di ferro nell’organismo», spiega Maria Domenica Cappellini, professoressa di medicina interna all’Università degli Studi di Milano e co-direttore del Dipartimento di scienze mediche della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano. «Di questo patrimonio un grammo è immagazzinato nel fegato come scorta, il resto si lega all’emoglobina dei globuli rossi che trasportano l’ossigeno. Quando i globuli rossi muoiono al termine del loro naturale ciclo di vita il ferro viene “riciclato” nel midollo osseo e va a formarne di nuovi. Una piccola quota, 1-2 milligrammi circa al giorno, viene però persa e dev’essere reintegrata con la dieta».

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Chi deve fare attenzione

Secondo la Società Americana di Ematologia (ASH) sono sette le categorie maggiormente a rischio di anemia da carenza di ferro.

  1. Le donne in età fertile, in particolare quelle con cicli mestruali abbondanti.
  2. Le donne in gravidanza o che allattano o che hanno partorito da poco.
  3. Le persone che hanno subito traumi fisici o interventi chirurgici con conseguenti abbondanti perdite di sangue.
  4. Le persone con malattie gastrointestinali come la celiachia o con malattie infiammatorie croniche intestinali come la colite ulcerosa o il morbo di Crohn.
  5. Le persone con ulcera peptica.
  6. Le persone che si sono sottoposte a operazioni di bypass gastrico.
  7. I vegetariani, i vegani e quanti seguono diete che non includono alimenti ricchi di ferro come carne, pollame e pesce.

Quali sono i sintomi?

Che si rientri o meno nelle categorie sopra elencate, un’anemia sideropenica può essere sospettata quando si verificano sintomi come:

  • pallore,
  • fragilità delle unghie,
  • perdita dei capelli,
  • stanchezza,
  • debolezza,
  • sonnolenza,
  • scarsa concentrazione,
  • tachicardia,
  • vertigini,
  • a volte difficoltà respiratorie,
  • cefalea,
  • ronzii auricolari,
  • difficoltà a compiere sforzi anche modesti.

Quali sono le conseguenze?

L’aritmia, ovvero il battito cardiaco troppo rapido o irregolare, è una delle conseguenze più gravi di un’anemia non curata. Il cuore deve infatti pompare più sangue per compensare la mancanza di ossigeno nel sangue, trasportato normalmente dall’emoglobina. Questi sintomi sono però tardivi e compaiono solo quando l’anemia è di grado marcato.

Come si scopre l’anemia?

Per evitare guai, meglio verificare prima la situazione con gli esami del sangue. Ecco la guida di Ok per imparare a leggere gli esami del sangue.

«Con l’emocromo si controllano i livelli di emoglobina, la sostanza che porta l’ossigeno ai tessuti e si verifica il numero e il volume dei globuli rossi, che in caso di anemia sideropenica diventano piccoli (anemia microcitica)», spiega Maria Domenica Cappellini. «L’emocromo da solo non basta, perché potrebbero esserci altre cause alla base dell’anemia microcitica». Per completare la diagnosi è dunque necessario misurare:

  1. la sideremia, cioè il ferro nel sangue non legato all’emoglobina;
  2. la ferritina, ovvero una proteina che è coinvolta nell’immagazzinamento del ferro;
  3. la saturazione della transferrina, una proteina che trasporta il ferro nel sangue.

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I cibi ricchi del minerale

Individuati e valutati tutti i parametri è possibile tracciare una diagnosi precisa e arrivare a una corretta terapia. Il primo errore da evitare è quello di portare in tavola grandi quantità di carni rosse tutti i santi giorni e, peggio ancora, sia a pranzo sia a cena.

«È vero che la carne è ricca di ferro, ma il nostro organismo è regolato per stabilire un buon bilanciamento attraverso l’epcidina, un ormone prodotto dal fegato», sottolinea Clara Camaschella, professore di medicina interna all’Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile dell’unità Regolazione del metabolismo del ferro presso la divisione di genetica e biologia cellulare dell’IRCCS San Raffaele di Milano. «L’epcidina funziona un po’ da sentinella: serve ferro? Invia il segnale al duodeno, il primo tratto del tubo digerente che ne regola l’assorbimento, per il rilascio.

Il ferro è troppo?

Blocca il rilascio nel flusso sanguigno. Pertanto, se con la nostra dieta occidentale arriviamo a introdurre anche 6-7 milligrammi di ferro al giorno, l’organismo ne assorbirà non più di 1 milligrammo (nel caso di un adulto di sesso maschile) e non più di 2 milligrammi nel caso della donna, dal momento che le femmine sono sempre un po’ in bilancio negativo per cause naturali come il ciclo mestruale o la gravidanza».

Del resto, assorbire ferro in quantità eccessiva con i pasti, come succede in alcune malattie in cui l’assorbimento è sregolato (come l’emocromatosi) rischia di sovraccaricare il corpo, con conseguenti danni agli organi.

E allora come comportarsi?

«Il fegato di bovino, che vanta una giusta fama proprio per il suo contenuto di ferro (100 g ne danno 8,8 mg), andrebbe consumato una-due volte al mese», consiglia Giorgio Donegani, presidente di Food Education of Italy. «I tagli più magri possono essere portati in tavola anche quattro-cinque volte la settimana, alternando fra cavallo (che per 100 g fornisce 3,9 mg di ferro), manzo e vitello (2,3 mg), maiale, pollo e altri carni bianche come tacchino e coniglio, affettati come bresaola e prosciutto crudo».

E riguardo al pesce?

«La mormora, squisita ma poco consumata, conquista la palma di campionessa di ferro con 7,9 mg per una porzione da 150 g», continua Donegani. «Anche il pagello ne è ricco (6,3 mg per 150 g), insieme alla spigola (6,1 mg). Per chi preferisce i molluschi, le ostriche sono una miniera di ferro, con quasi 8 mg per 100 g». Due-tre porzioni alla settimana di prodotti della pesca sono una quantità ideale.

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Consigli per i vegetariani

Via libera, invece, a frutta e verdura, da consumare a ogni pasto. «È comunque bene ricordare che nelle carni, nel pesce e in altri prodotti di origine animale, una parte del ferro è presente in una particolare forma chimica, chiamata ferro eme, che viene ben assorbita, più o meno nella misura del 20% del ferro introdotto», spiega Donegani «Nei vegetali, invece, il ferro si trova in una forma chimica diversa (ferro non eme), il cui assorbimento è decisamente più basso ed è influenzato da una quantità di fattori diversi. L’indicazione che se ne può trarre è semplice: l’alimentazione, anche per gli anemici, dev’essere completa ed equilibrata». Sai quali sono i vegetali che contengono più ferro?

Detto questo, i vegetariani potranno privilegiare alcuni vegetali. «Il radicchio verde contiene 7,8 mg di ferro per una porzione da 100 g, mentre gli spinaci, celebrati come campioni grazie anche al famoso cartone animato Popeye, si fermano a 2,9 mg», prosegue Donegani. «Tra i legumi spiccano le lenticchie con 8 mg per 100 g. A colazione, muesli e fiocchi d’avena contribuiscono sensibilmente a elevare l’assunzione di ferro (ne danno entrambi più di 2 mg per una porzione da 40 g), mentre noci (2,6 mg per 100 g), albicocche secche (2,1 mg per 40 g) e prugne secche (1,9 mg per 40 g), da mangiare a colazione o a spuntino possono concorrere egregiamente a raggiungere la quota di ferro quotidiana».

Gli alleati per l’assorbimento

Il ferro, poi, non è tutto. Responsabili della sideropenia possono anche essere una carenza di vitamina B12, di acido folico (vitamina B9) e di acido ascorbico (vitamina C). Infatti, ciascuno di questi elementi contribuisce all’assorbimento ottimale del ferro.

In particolare, la vitamina B12 assicura un’adeguata maturazione dei globuli rossi e lavora di concerto con l’acido folico, che regola il numero dei globuli rossi, la loro composizione e la crescita. L’acido ascorbico migliora la disponibilità del ferro contenuto nei vegetali. Queste vitamine sono dunque di importanza vitale, ma non sempre disponibili nell’organismo. Perché? Tra i primi fattori una dieta inadeguata: alimentazione vegetariana poco equilibrata, regimi ipocalorici o monotoni, cotture prolungate dei vegetali (fritti), alcolismo cronico. Ci sono poi cause di inadeguato assorbimento: gastrite cronica, atrofia della mucosa gastrica, celiachia, tumori maligni, farmaci. Seguono l’aumentata richiesta di vitamina (ipertiroidismo, accrescimento, gravidanza, allattamento, ciclo mestruale abbondante) o l’aumentata secrezione (patologie epatiche e renali).

Ecco allora dove trovare questi nutrienti preziosi.

  • Vitamina B12. In natura è prodotta esclusivamente da microrganismi (batteri, funghi, alghe), ma per effetto della catena alimentare possiamo trovarla anche in molti alimenti di origine animale, in particolare nel fegato, nei molluschi bivalvi e in quantità modeste anche nel latte e nelle uova. La vitamina B12 è resistente alla cottura.
  • Acido folico. Il fegato e altre frattaglie hanno contenuti piuttosto elevati in folati, presenti anche nelle uova. Ma per aumentare l’assunzione è consigliato incrementare il consumo abituale di alimenti di origine vegetale: verdura (asparagi, broccoli, carciofi, cavolini di Bruxelles, cavolfiori, bieta, lattuga, indivia, spinaci, rucola), cereali integrali per la prima colazione, frutta (arance, mandarini, limoni, kiwi), legumi (fagioli, ceci, lenticchie). Senza dimenticare qualche porzione settimanale di frutta secca (noci, mandorle, nocciole).
  • Acido ascorbico. Si trova praticamente in tutta la frutta, in particolare agrumi e kiwi, e negli ortaggi, soprattutto peperoni, pomodori, ortaggi a foglia verde. Ma la conservazione (anche in frigo), la cottura e i lunghi lavaggi ne diminuiscono gradualmente la concentrazione. Per assicurare un buon apporto di vitamina C è quindi necessario consumare frutta e verdura freschissime e crude o poco cotte.

Qualche trucco in cucina

La spruzzata di limone, ricco di acido ascorbico, è ideale per aumentare l’assorbimento di ferro dei vegetali in insalata, ma lo stesso effetto si può ottenere aggiungendo il succo dell’agrume nell’acqua di ammollo dei legumi secchi.
Al contrario, ci sono abbinamenti che sarebbe meglio evitare, poiché non favoriscono l’assimilazione del ferro. Per esempio, l’assunzione contemporanea di ferro alimentare con tannini, sostanze contenute soprattutto nel tè, nel caffè, nel cioccolato e nel vino, con cibi ricchi di calcio, come formaggi e latticini, o di fibre, presenti soprattutto nei cereali integrali.

Le cotture ideali

Il modo in cui si preparano i cibi, quindi, ha importanza. Come linea generale, per preservare il contenuto nutrizionale di ogni alimento e garantire alla propria dieta le giuste quantità di ferro e vitamine, che ne facilitano l’assorbimento, la cottura a pressione, al vapore e la stufatura sono da preferire alla bollitura. Da evitare invece i fritti, che con le alte temperature distruggono i nutrienti di verdure, legumi, carne e pesce.

La carne al sangue contiene davvero più ferro?

E il luogo comune che la carne cotta al sangue possa dare più ferro? Ha un certo fondamento. «A mano a mano che la carne cuoce il ferro eme, più assorbibile dall’organismo, si degrada, mentre resta invariato il contenuto di proteine e vitamine, che favoriscono l’assorbimento del minerale», dice Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in agricoltura. Anche il sanguinaccio, ottenuto da diverse parti di maiale, per lo più interiora e sangue, arricchiti con vari ingredienti in base alle tradizioni culinarie regionali, ha un buon quantitativo di ferro (6,4 mg per 100 g). «Ma va consumato con parsimonia perché carne rossa conservata e salata», consiglia il nutrizionista.

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Bresaola, una fonte di ferro

Un piatto di bresaola, condito con olio extravergine di oliva, una manciata di rucola e succo di limone, rappresenta un piatto poco calorico e ricchissimo di ferro. A dimostrare i vantaggi della specialità valtellinese è uno studio condotto nel 2013 dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione in collaborazione con la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA). La ricerca ha aggiornato le analisi, realizzate nel 1993, su 21 salumi italiani, alcuni tutelati dal marchio DOP e IGP, coinvolgendo alcune tra le principali aziende presenti sul mercato. «Tra gli affettati italiani, solo la bresaola della Valtellina IGP potrebbe avere il claim nutrizionale “fonte di ferro”, in quanto contiene mediamente 2,6 mg di minerale in 100 g di prodotto, superiore al 15% della dose giornaliera raccomandata», spiega Roberta Virgili, ricercatrice presso la SSICA.

Le terapie per le forme gravi

«In caso di anemie severe, può essere utile in aggiunta un trattamento per via endovenosa», dice Maria Domenica Cappellini. «Recentemente è stato registrato un farmaco la cui somministrazione si limiterà a due-tre fiale l’anno, con un rapido effetto di ristabilizzazione. Paziente e medico devono però sapere che quando si interviene su un’anemia sideropenica severa, con riserve di ferro esaurite, bisognerà proseguire la terapia fino a ristabilire i valori normali di ferritina, sideremia e saturazione della transferrina. L’errore che si fa spesso è invece interrompere il trattamento appena l’emoglobina migliora. In questo modo, una donna che ha mestruazioni abbondanti, si ritroverà nel breve termine a correggere di nuovo l’anemia».

Gli effetti collaterali

La somministrazione di ferro per via orale non è priva di effetti collaterali. «Può causare alterazioni digestive e disturbi associati, come nausea, sapore metallico, crampi addominali, diarrea e pirosi gastrica (senso di acidità)», sottolinea Clara Camaschella. «Per evitare questi inconvenienti, si raccomanda di iniziare con un dosaggio basso, che verrà aumentato gradualmente. Anche se la somministrazione a digiuno sarebbe più efficace ai fini dell’assorbimento, il farmaco viene in genere assunto insieme al pasto o subito dopo, visti gli effetti gastrointestinali che può provocare. L’importante è riuscire a proseguire la terapia sufficientemente a lungo per ripristinare la normalità».

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