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Valvola mitralica, meglio ripararla prima che compaiano i sintomi

L'intervento chirurgico precoce, nei casi più seri ma asintomatici, migliora l'aspettativa di vita

Quando l’auto ha il carburatore che perde, è meglio correre dal meccanico prima che ci pianti in asso in mezzo alla strada. La stessa cosa vale anche per il nostro cuore. Se la valvola mitralica è prolassata in modo serio, e causa un rigurgito di sangue importante dall’atrio al ventricolo, allora è meglio ripararla subito chirurgicamente prima ancora che compaiano i sintomi, in modo da prevenire lo scompenso cardiaco e riconquistare una normale aspettativa di vita.

A dare questa nuova indicazione per un intervento sempre più precoce è uno studio pubblicato su Journal of Thoracic and Cardiovascular Surgery dall’Università dell’Alalabama a Birmingham, negli Usa.

Gruppo San Donato

«Quando i pazienti non presentano sintomi, non vanno regolamente dal dottore», ammette il coordinatore dello studio, Lou Dell’Italia. «I risultati del nostro studio dimostrano invece che si può avere un serio danneggiamento del muscolo cardiaco anche nei pazienti con un rigurgito mitralico modesto o severo che non manifestano sintomi e che all’ecocardiografia mostrano una funzionalità cardiaca ben preservata».

Il gruppo di ricerca, composto da chirurghi, patologi, biologi e ingegneri, è riuscito infatti a dimostrare che nelle cellule del cuore avvengono dei cambiamenti molecolari che predispongono ad avere un deterioramento del muscolo cardiaco e a sviluppare la disfunzione del ventricolo sinistro dopo l’intervento di riparazione della valvola (un problema che si stima interessi un paziente su cinque).

«Ora la sfida è scoprire cosa scatena questi cambiamenti molecolari», sottolinea Dell’Italia. «Quali alterazioni possono essere bersagliate dai farmaci? E quali sono reversibili?». Nell’attesa che la ricerca scientifica trovi le risposte a questi interrogativi, i risultati dello studio appena pubblicato sembrano poter già dare un’indicazione ai medici che devono guidare i pazienti nella decisione di operarsi.

di Elisa Buson

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