Fertilità

Donare il cordone ombelicale: una scelta che salva la vita

Le cellule staminali presenti alla nascita nel collegamento tra feto e placenta sono importanti per la cura di malattie gravi, ma in Italia la raccolta è in costante calo

«Il 2 marzo, in piena pandemia, arriva una telefonata. Chiamavano dalla Nuova Zelanda, c’era una bambina di sei anni che aveva bisogno di una delle nostre sacche di sangue dal cordone ombelicale. Era perfettamente compatibile e la piccola, ammalata di leucemia mieloide acuta, ne aveva bisogno per poter sopravvivere. Abbiamo chiuso la sacca in una confezione refrigerata, che poteva resistere sette giorni, mantenendo le preziose cellule alla temperatura giusta. Abbiamo organizzato il viaggio dall’altro capo del mondo e, incredibilmente, ce l’abbiamo fatta. La bimba ha ricevuto il trapianto. Ora speriamo che possa guarire». È uno dei tanti piccoli miracoli che ogni giorno si realizzano alla Cord Blood Bank di Milano. Il racconto di Ilaria Ratti, responsabile della banca del sangue cordonale di Milano, dimostra l’importanza della donazione del cordone ombelicale che avviene al momento del parto.

Donare il cordone ombelicale è importante perché le cellule staminali aiutano nella cura di malattie gravi

Le cellule staminali presenti alla nascita nel cordone ombelicale, infatti, sono molto importanti per la cura di malattie gravi, tra cui le leucemie, le talassemie e le immunodeficienze. Si tratta di veri e propri salvavita, che costituiscono una valida alternativa quando non si trova, nel registro internazionale, un donatore compatibile. Queste cellule sono «totipotenti», ossia in grado di ricostruire qualsiasi tipo di tessuto e, quindi, anche di ricostituire il midollo osseo distrutto dai trattamenti radioterapici a seguito di un tumore, oppure malato al punto da non riuscire più a produrre cellule del sangue, come nel caso delle talassemie. A coordinare il tutto è il Centro Nazionale Sangue, in collaborazione con il Centro Nazionale Trapianti. I centri nascita attrezzati per la donazione del cordone ombelicale in Italia sono 270, almeno una decina per ogni regione (in Lombardia ce ne sono 23).

Gruppo San Donato

La donazione è gratuita e il prelievo è privo di rischi

Per una futura mamma è molto facile procedere alla donazione al momento del parto: basta informarsi e dare il proprio consenso all’ostetrica che seguirà la nascita del bambino. Di norma, è proprio il personale dei centri nascita che avvisa le future mamme di questa possibilità, in molte ne sentono parlare già durante i corsi pre-parto. La donazione è del tutto gratuita ed è compresa nei livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio sanitario nazionale.

La procedura del prelievo è semplice e priva di rischi per mamma e nascituro: avviene subito dopo il parto, quando il bambino è già messo in sicurezza. Si esegue la puntura del cordone ombelicale da cui si estrae il sangue, poi si valuta il campione per controllare se contiene un numero adeguato di cellule e, in questo caso, si congela, si invia alla banca che conserva i campioni a livello nazionale e si inserisce nel registro internazionale, in modo da utilizzarlo per salvare malati in tutto il mondo.

Ci sono casi in cui no si può donare il cordone ombelicale: ecco quali sono

Ci sono pochi casi in cui la donazione non è possibile. Quando il bimbo nasce prematuro, per esempio, perché non c’è tempo per tutte le procedure necessarie a raccogliere il sangue del cordone. Non è possibile in caso di malattie genetiche, o se la mamma ha avuto febbre o se fa uso di sostanze stupefacenti. Nessuna donazione, poi, se il bimbo è affetto da patologie alla nascita o malformazioni.

In Italia non si può conservare il cordone ombelicale per se stessi

Per la legge italiana, solo la donazione è possibile. Chi vuole conservare le cellule del cordone per se stesso deve ricorrere a banche private all’estero. Queste, però, che non forniscono le stesse garanzie di corretta raccolta e conservazione. Recente è il caso Cryo Save, la banca privata svizzera a cui si erano rivolte 15mila famiglie italiane per conservare le cellule staminali dei loro bambini. La banca è fallita l’anno scorso e i campioni sarebbero finiti in Polonia. Si è così aperta una battaglia legale di cui ancora non si vede la fine, mentre le famiglie hanno già pagato somme importanti per assicurarsi la possibilità di conservare le cellule dei figli.

In Italia si può donare il cordone ombelicale per fratelli e sorelle ammalati

È possibile, invece, fare una donazione dedicata di cordone di un neonato che ha una sorellina o un fratellino gravemente ammalati e che possono venire curati solo tramite quelle cellule, oppure se c’è una patologia in famiglia come la talassemia, per cui potrebbero, un giorno, rendersi utili. Esiste un comitato che vaglia le richieste e, se sono fondate, si concede il permesso. È la stessa banca nazionale a prendersi cura del prelievo e della conservazione delle cellule. In questo modo tutto il procedimento segue i criteri standard richiesti a livello internazionale.

«Non sono mai state usate cellule da donazione autologa, cioè quelle conservate da banche private e poi riutilizzate dallo stesso soggetto», spiega Ilaria Ratti, «anche perché significa che la patologia che si vuole andare a curare magari era già presente in quelle cellule staminali. È molto meglio procedere a donazione, così, in caso che veramente ce ne sia bisogno, sarà più facile trovare il donatore giusto. È successo in un caso che un bambino si ammalasse e la sua famiglia, che aveva donato il sangue del cordone del fratello alla nostra banca, anni prima, facesse richiesta di poterlo avere indietro. La sacca era ancora qui, nella sede della banca, e l’abbiamo restituita per procedere alle cure».

Le donazioni sono sempre meno: a pesare sono il calo delle nascite e le regole nazionali

Purtroppo le donazioni sono in costante calo. Nel 2019 le unità raccolte sono scese sotto la soglia delle 10mila unità, toccando il punto più basso dal 2007. Le unità rilasciate per trapianto sono state 38, come nel 2018, e 33 di queste sono state mandate all’estero. Sul trend, in calo dal 2012, pesa sicuramente il costante calo delle nascite (quasi il 20%). A incidere, però, sono anche le regole che la rete nazionale ha adottato nel 2015 per garantire una maggiore qualità delle terapie. Sono considerate idonee all’uso solo le unità che contengano un numero più alto di cellule rispetto al passato.

In totale il Registro Italiano Donatori di midollo osseo (IBMDR), sportello unico per la ricerca di cellule staminali emopoietiche (CSE) da donatore non familiare, al 31 dicembre 2019 contava 37.528 unità di sangue cordonale italiane. Dall’inizio dell’attività della Rete italiana delle banche di sangue cordonale (ITCBN) sono state 1.550 le unità da essa rilasciate per trapianto da donatore non familiare e 190 quelle dedicate rilasciate per il trapianto da donatore familiare. Sui circa 300mila parti effettuati nei 270 centri di raccolta che fanno riferimento alle Banche di sangue da cordone ombelicale, pari al 64,3% del totale italiano, le unità di sangue cordonale sono state raccolte solo nel 3,5% dei casi.

Si raccoglie meno sangue cordonale perché oggi si opta spesso per il donatore aploidentico

«Un altro motivo per cui il sangue cordonale viene raccolto sempre di meno», spiega Daniele Prati, direttore del dipartimento di medicina trasfusionale e ematologia del Policlinico di Milano, «è che sempre più di frequente si utilizza per il trapianto di cellule il cosiddetto donatore aploidentico, ovvero parzialmente compatibile, di solito un genitore, grazie all’utilizzo di farmaci che riducono il rischio di rigetto». Le staminali da cordone però rimangono molto importanti come risorsa alternativa in chi non ha il donatore compatibile in famiglia o che non si trova nel registro internazionale.

Donare il cordone ombelicale è importante anche in ottica Covid-19

Ultimamente, poi, sono state avviate anche sperimentazioni che utilizzano il sangue cordonale per contrastare il coronavirus. In particolare riguardano la funzione immunomodulante. Hanno l’obiettivo di evitare o attenuare la tempesta citochinica, la reazione scatenata dall’organismo all’attacco del Covid-19, che comporta spesso conseguenze fatali per il paziente. Altri test, giunti ormai in fase preclinica all’Istituto Tettamanti di Monza, utilizzano queste cellule come «natural killer» per attaccare alcuni tipi di tumori del sangue.

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