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Malattie croniche intestinali: i progressi nelle terapie

Farmaci di nuova generazione, chirurgia mininvasiva e medicina rigenerativa consentono una migliore qualità della vita nei pazienti con rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn

Pronunci la parola MICI e tutti pensano che tu stia parlando di gattini. Ci riprovi, e credono che sia un modo simpatico per riferirti ai tuoi compagni di bisboccia. Se stai parlando di salute, però, per MICI si intendono le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. Un problema che affligge oltre 5 milioni di persone nel mondo. Si stima che nel nostro Paese ne soffrano quasi 250mila pazienti, di cui il 60% con rettocolite ulcerosa e il 40% con malattia di Crohn. Eppure un italiano su tre non sa neppure che esistono.

Poca conoscenza e imbarazzo

Lo dimostra un’indagine promossa dall’associazione di pazienti AMICI Onlus. Dalle interviste emerge una conoscenza relativamente scarsa rispetto ad altre patologie croniche come celiachia, AIDS e diabete. Meno del 70% delle persone interpellate dichiara di aver sentito parlare delle malattie croniche intestinali. E di questi solo il 15% dice di averne una buona conoscenza. Tra i pazienti, circa la metà afferma che spesso i propri amici non sono interessati a sentirli parlare della malattia. Il 28% riporta la stessa cosa con i familiari. E in un caso su cinque persino con il partner. Ma cosa genera questo muro di silenzio?

Gruppo San Donato

«Sicuramente l’imbarazzo legato ai sintomi, che porta a un senso di isolamento e di stigma», spiega Silvio Danese, direttore dell’unità di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di gastroenterologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. «I pazienti spesso faticano a confidare disturbi intimi. Come i mal di pancia ricorrenti, la diarrea cronica e il sanguinamento». E chi li circonda finisce per pensare che soffrano di una banale colite, attribuendo la stanchezza cronica e l’impossibilità di pianificare impegni a una sorta di pigrizia o depressione.

Cause: genetica e fattori ambientali

In realtà il problema è organico, tangibile, e sempre più diffuso nella popolazione. «Dagli anni Cinquanta a oggi le MICI hanno fatto registrare un’impennata dei casi fino al 500% con una distribuzione globale. Le stime ci dicono che entro i prossimi vent’anni potranno aumentare ancora, fino a colpire una persona su 200», afferma Danese. «Le cause di questo fenomeno non sono ancora chiare. È probabile che esista una predisposizione genetica alle MICI. Ma l’evoluzione dei geni è comunque troppo lenta per spiegare una crescita dei casi così rapida nel corso di pochi decenni. È dunque lecito pensare che ci siano dei fattori ambientali che incidono in modo sempre più pesante, come l’alimentazione o l’utilizzo precoce e ripetuto di antibiotici in età pediatrica».

La diagnosi delle malattie croniche intestinali

L’esordio delle MICI avviene tipicamente tra i 15 e i 45 anni. Ma ultimamente si registra un aumento dell’incidenza tra bambini e adolescenti e perfino tra le persone di età più avanzata. «Per un paziente su quattro la diagnosi arriva con un ritardo superiore ai cinque anni, perché i sintomi vengono spesso scambiati con quelli dell’intestino irritabile e questo fa sì che nel frattempo l’infiammazione degeneri. Provocando complicanze che richiedono l’intervento chirurgico», sottolinea il gastroenterologo. Il punto è che non esiste un esame specifico capace di riconoscere le MICI. La diagnosi è come un puzzle, fatto di tante tessere che il medico deve comporre.

Gli esami da fare

Si comincia con gli esami di laboratorio. L’emocromo, per verificare globuli bianchi e anemia, la proteina C reattiva, per valutare lo stato di infiammazione dell’organismo, e il dosaggio della proteina calprotectina nelle feci, una spia dell’infiammazione intestinale.

Inevitabile la colonscopia con biopsie della mucosa intestinale. A cui però si stanno affiancando nuove metodologie. «Oggi abbiamo a disposizione tecniche radiologiche non invasive come l’ecografia delle anse intestinali, la risonanza magnetica addominale e le Tac, che ci permettono di diagnosticare e monitorare nel tempo la malattia», ricorda Danese.

«Questo sta portando a un importante cambio di paradigma nella cura. Se fino a qualche anno fa le terapie erano finalizzate a controllare i sintomi ed evitare recidive. Oggi invece puntano a eliminare direttamente le lesioni per far sparire la malattia dall’intestino».

Curare le malattie croniche intestinali

La svolta è arrivata nei primi anni Duemila, quando ai tradizionali farmaci steroidei e immunosoppressori si sono aggiunti i nuovi farmaci biologici, molecole «intelligenti» capaci di spegnere gli interruttori dell’infiammazione in modo selettivo. Dotati di una maggiore efficacia, sono in grado di cambiare l’evoluzione della malattia a vantaggio di una maggiore qualità di vita.

Farmaci biologici e piccole molecole

«Tutto è cominciato con la scoperta degli inibitori del TNF-alfa. Un mediatore chiave dell’infiammazione», osserva lo specialista. «Da lì è cresciuto l’interesse per i meccanismi molecolari che stanno dietro alle MICI e in breve tempo si è arrivati a scoprire gli inibitori dell’interleuchina 12 e della 23, a cui poi si è aggiunta una nuova classe di molecole che bloccano la migrazione dal sangue di particolari globuli bianchi responsabili dell’aggressione autoimmune all’intestino. Infine, dopo i farmaci biologici, sono arrivate le piccole molecole, somministrabili per via orale. In virtù delle loro dimensioni riescono a entrare nelle cellule per spegnere più interruttori dell’infiammazione contemporaneamente, in modo da controllarla in maniera più profonda».

Immunomodulatori

In ambito farmacologico c’è poi una nuova speranza per la rettocolite ulcerosa. Si chiama ozanimod ed è un farmaco innovativo che è stato da poco approvato anche per il trattamento della sclerosi multipla. La sua efficacia contro l’infiammazione intestinale è dimostrata da uno studio clinico condotto su più di mille pazienti di 30 Paesi del mondo, pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine da un team internazionale di esperti tra cui figura anche Danese. «Ozanimod appartiene a una nuova classe di immunomodulatori, capaci di bloccare i linfociti (cellule che giocano un ruolo chiave nelle malattie infiammatorie) all’interno dei linfonodi, di fatto impedendo loro di raggiungere gli organi dove scatenano l’infiammazione e danneggiano i tessuti» spiega Danese.

«I risultati che abbiamo ottenuto sono molto positivi. Il farmaco non solo è ben tollerato ed efficace. Sia in fase di induzione della remissione sia in fase di mantenimento, ma è stato in grado di controllare la malattia in pazienti per cui le altre terapie avevano fallito».

Chirurgia mininvasiva

L’uso precoce dei farmaci è fondamentale, perché permette di prevenire la progressione delle MICI verso complicanze che richiedono l’intervento chirurgico, come le stenosi (restringimenti) del lume intestinale. Questo è stato un importante passo avanti, soprattutto per il morbo di Crohn. «In passato si pensava che l’intervento fosse quasi d’obbligo per eliminare la sezione di intestino infiammato. Ma poi si è visto che la malattia si ripresentava comunque in altre parti e il paziente non poteva sottoporsi continuamente a interventi chirurgici», sottolinea il gastroenterologo.

«Oggi invece, grazie a farmaci sempre più mirati ed efficaci, si riduce il numero di casi complessi che devono entrare in sala operatoria. La chirurgia è mininvasiva e permette anche di ricostruire parti dell’intestino facendo delle plastiche. Con un impatto contenuto sulla qualità di vita dei pazienti».

Cellule staminali

Un’ultima novità per il trattamento delle MICI arriva dalla ricerca nel campo della medicina rigenerativa. Sono le cellule staminali, utili per quei pazienti in cui la malattia intestinale provoca fistole in prossimità dell’ano. «In questi casi si possono iniettare localmente delle staminali prodotte in laboratorio a partire da cellule adipose che, grazie alle loro proprietà, riescono a riparare la lesione evitando che si formino nuovi ascessi», aggiunge Danese. «La procedura, disponibile in centri specializzati ma ancora non rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale, può essere fatta anche in ambulatorio con una piccola anestesia locale. E nella metà dei casi garantisce buoni risultati che si mantengono ancora a distanza di un anno».

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