Salute

Tumore alla tiroide: sintomi, diagnosi e cure

Il carcinoma tiroideo è la forma tumorale che negli ultimi 20 anni ha visto il maggior incremento di casi. Ecco come prevenirlo, riconoscerlo e curarlo

Focus di Furio Pacini (puoi chiedergli un consulto), professore ordinario di endocrinologia all’Università di Siena, direttore della struttura complessa di endocrinologia dell’Azienda ospedaliera universitaria Senese.

Il tumore alla tiroide è la forma tumorale che negli ultimi 20 anni ha visto il maggior incremento di casi rispetto a tutti gli altri tumori solidi. La sua frequenza è passata dai 7-8 casi per 100mila abitanti a quasi i 20 per 100mila. L’aumento riguarda però principalmente i cosiddetti microcarcinomi, formazioni neoplasiche con diametro inferiore a un centimetro, che sono più facilmente curabili e spesso non richiedono l’asportazione totale della tiroide ma solo la lobectomia, cioè di uno dei due lobi di cui è composta la ghiandola. La sopravvivenza è molto alta: oltre il 90% a 20 anni dalla diagnosi.

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I TIPI. L’adenocarcinoma alla tiroide può essere papillare (oltre l’80% dei casi) oppure follicolare (circa il 10%). Vi sono poi forme tumorali a carico delle cellule parafollicolari (adiacenti a quelle follicolari e che producono l’ormone calcitonina) dette carcinoma midollare della tiroide (meno del 5%). Una forma particolarmente aggressiva, ma per fortuna rarissima, è il cosiddetto carcinoma anaplastico della tiroide che ha una sopravvivenza media inferiore a 12 mesi.

I FATTORI DI RISCHIO. A essere più colpite sono le donne, con un rapporto di quasi quattro a uno rispetto ai maschi. Tra i fattori di rischio noti per il tumore maligno della tiroide ci sono la familiarità per tumore tiroideo (circa il 10% dei tumori papillari è familiare) e l’esposizione a radiazioni ionizzanti nella regione del collo.

LA PREVENZIONE. Nelle aree dove il gozzo è endemico, per carenza alimentare di iodio, vi è una maggior incidenza di noduli tiroidei e quindi anche di neoplasie tiroidee. L’utilizzo giornaliero di sale iodato per tutti gli usi alimentari previene la formazione del gozzo e dei noduli, specialmente se iniziato fin dall’ età infantile. Inoltre, la palpazione della tiroide dovrebbe essere una pratica costante tutte le volte che un medico visita un paziente.

SINTOMI E DIAGNOSI. Nel passato, la manifestazione più comune era la scoperta di un nodulo all’interno della tiroide durante la palpazione del collo. Oggi, invece, il rilievo più frequente è la scoperta di un nodulo non palpabile durante un esame ecografico del collo, magari eseguito per altro motivo. Una volta individuato un nodulo, in genere il medico prescrive una serie di esami per misurare gli ormoni tiroidei nel sangue (fT4, fT3), la calcitonina e il TSH. L’esame più semplice e specifico per studiare la tiroide è l’ecografia, che permette di identificare i rapporti del nodulo con la ghiandola tiroidea, i tessuti circostanti e le loro caratteristiche. In presenza di un nodulo sospetto si esegue un esame citologico mediante agoaspirato ecoguidato, che consiste nel prelievo di materiale cellulare del nodulo nel corso di un’ecografia controllando la corretta posizione dell’ago introdotto attraverso la cute. La scintigrafia tiroidea è un esame specifico per valutare la funzione della tiroide ed è eseguito solo in caso di sospetto di ipertiroidismo (TSH molto basso).

CURE. Per la cura del tumore della tiroide, la chirurgia è il trattamento d’elezione. In genere si preferisce asportare tutta la ghiandola (tiroidectomia totale). Un piccolo carcinoma papillare della tiroide può essere curato con un intervento conservativo di lobectomia e istmectomia, cioè l’asportazione del solo lato coinvolto e del tratto di tiroide che unisce i due lobi. Nei carcinomi papillari e follicolari più a rischio di metastasi, il paziente, viene trattato con iodio radioattivo subito dopo la terapia chirurgica. Questo trattamento, definito radiometabolico perché raggiunge solo le cellule tiroidee che captano lo iodio, è particolarmente efficace. In caso di neoplasie molto avanzate e aggressive (fortunatamente una piccola minoranza) sono disponibili terapie sistemiche come la chemioterapia (oggi poco usata) e la terapia con farmaci inibitori delle tirosino-chinasi, farmaci in grado di bloccare l’azione pro-tumorale degli oncogeni responsabili della malattia.
Furio Pacini (puoi chiedergli un consulto) – OK Salute e benessere

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