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Tumore al polmone: tutte le «armi» possibili per sconfiggerlo

L’uso combinato dei trattamenti esistenti consente di aumentare le possibilità di guarigione e di allungare la sopravvivenza

Uno, nessuno e centomila: il tumore al polmone sa essere ambiguo come un personaggio pirandelliano,  sempre pronto ad assumere forme e identità differenti in ogni paziente e in ogni fase della malattia. Non è facile smascherare questo big killer, che ogni anno in Italia uccide oltre 33mila persone, ma per incastrarlo si stanno preparando identikit genetici sempre più precisi e dettagliati: l’obiettivo è trovare i suoi talloni d’Achille, per colpirli in modo mirato con le strategie terapeutiche più efficaci.

«Sono lontani i tempi in cui si parlava solo di carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC) e non a piccole cellule (NSCLC), in base alle caratteristiche morfologiche che il tessuto malato mostrava sotto la lente del microscopio», spiega Vanesa Gregorc, Direttore del Programma Strategico Innovazione Diagnostico-Terapeutica Oncologica e Coordinatrice dell’area di oncologia dei distretti Toraco-Polmonare, Cervico-Facciale e del Melanoma presso l’Unità Operativa di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. «Grazie ai progressi della ricerca nel campo della biologia molecolare, oggi sappiamo che esistono moltissimi tipi di tumore del polmone, che evolvono e rispondono alle terapie in modo diverso. Diagnosticarli precocemente e caratterizzarli con precisione è fondamentale, perché ci permette di aumentare in modo consistente le probabilità di sopravvivenza del paziente».

Gruppo San Donato

Eco-broncoscopia e navigazione elettromagnetica per prelevare il tessuto malato

Prelevare il tessuto malato da analizzare non è un gioco da ragazzi: per questo è necessario affidarsi a un centro specializzato dotato di un team multidisciplinare e di procedure diagnostiche all’avanguardia. «Metodiche quali l’eco-broncoscopia e la navigazione elettromagnetica sono particolarmente utili quando ci si trova di fronte a lesioni di piccole dimensioni», continua l’oncologa. «È necessario prelevare tessuto in quantità adeguata non solo per la diagnosi di natura, ma anche per analisi genetiche: si possono ricercare mutazioni di singoli geni (come ALK, EGFR e ROS-1), per cui sono già disponibili terapie mirate e riconosciute dal Servizio sanitario nazionale, oppure si può fare uno screening più ampio, analizzando più di 400 geni in un colpo solo, scoprendo così se il paziente può beneficiare anche di terapie sperimentali innovative».

Passi avanti verso la biopsia liquida

In un futuro non troppo lontano, le analisi genetiche potranno essere fatte con un semplice esame del sangue (la cosiddetta biopsia liquida), ma per il momento questo genere di test è limitato solo a casi specifici. «Lo utilizziamo per cercare particolari mutazioni del gene EGFR o per studiare i meccanismi che portano il tumore a diventare resistente ai farmaci anti-EGFR», precisa Gregorc. «In tutti gli altri casi, è ancora troppo presto per rimpiazzare la biopsia tradizionale: per quanto fastidiosa e invasiva, è ancora l’opzione migliore per ottenere un quadro dettagliato che permetta di decidere la strategia terapeutica più efficace».

Tumore al polmone: i vantaggi della chirurgia mininvasiva

La cosa fondamentale è che la diagnosi di tumore venga fatta tempestivamente: più è precoce, più sono le probabilità di sopravvivenza e di guarigione. «A oggi, un paziente su tre riesce a scoprire il tumore a uno stadio iniziale: quando la lesione è localizzata, il trattamento di prima scelta è rappresentato dalla chirurgia», sottolinea Giampiero Negri, primario dell’Unità di Chirurgia Toracica all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Toracica. «L’obiettivo è rimuovere radicalmente la massa tumorale e i linfonodi loco-regionali: in questo modo si può ottenere una sopravvivenza a cinque anni pari all’80% nel primo stadio di malattia».

La scelta del tipo di intervento viene fatta in base alle dimensioni e alla sede del tumore, oltre che alle condizioni respiratorie del paziente. «In molti casi non si esegue più il tradizionale intervento a cielo aperto, con un’ampia incisione al torace e la divaricazione delle costole», aggiunge il chirurgo. «Grazie alle nuove tecniche di chirurgia mininvasiva, basta una piccola incisione di 5-8 centimetri e altri due piccoli accessi di pochi millimetri ciascuno: senza la divaricazione costale, si ottiene un miglior decorso post-operatorio, con meno complicanze, meno dolore e una degenza in ospedale più breve. Risultati simili possono essere ottenuti anche con la chirurgia robotica».

Sì all’intervento solo se non compromette la qualità di vita

Qualunque sia la tecnica usata, «il paziente deve essere rassicurato sul fatto che l’intervento viene eseguito solo se non esiste il rischio di compromettere la qualità di vita: molti temono di diventare ossigeno-dipendenti, ma in realtà il nostro obiettivo è proprio il contrario», sottolinea Negri. «Poco tempo fa, per esempio, abbiamo operato un giovane sportivo, che è riuscito a riprendere tranquillamente la sua attività pur avendo subito l’asportazione di un intero polmone. Anche i pazienti più anziani possono farcela, magari con qualche difficoltà iniziale in più: un tempo si sconsigliava di operare sopra i 70 anni, mentre oggi interveniamo anche sugli ultraottantenni, se godono di buone condizioni generali e respiratorie».

La chirurgia, ovviamente, non è completamente scevra da rischi, ma, grazie a un’accurata valutazione preoperatoria e un adeguato supporto nel postintervento, l’incidenza di complicanze, quali infezioni polmonari, emorragia e aritmie cardiache, è contenuta. Sui risultati della chirurgia pesa ovviamente l’esperienza del chirurgo e la specializzazione del centro a cui ci si rivolge.

Chemioterapia colonna portante nella lotta al tumore al polmone

Una volta usciti dalla sala operatoria, però, non è detto che le sfide siano finite. Molto spesso si deve ricorrere anche a chemio e/o radioterapia per consolidare i risultati della chirurgia e talvolta vengono effettuati prima della chirurgia perché «avere un approccio terapeutico multimodale è fondamentale per garantire miglior controllo di malattia locale e sistemica e a lungo termine», spiega Gregorc. La chemioterapia, nonostante sia sempre vista con timore e diffidenza, resta una colonna portante nella lotta al tumore del polmone, tanto da rappresentare la terapia di prima scelta per il 55% dei pazienti non operabili. «Con la chemio si può arrivare a una guarigione completa», ricorda l’esperta. «Inoltre oggi abbiamo a disposizione nuovi farmaci chemioterapici che hanno profili di sicurezza e tollerabilità migliori rispetto al passato».

Farmaci biologici e immunoterapici

Alcuni pazienti possono beneficiare dei trattamenti con i farmaci biologici, «capaci di correggere l’attività di alcune proteine mutate che stimolano la crescita delle cellule tumorali», spiega Gregorc. «Si tratta di una vera e propria terapia personalizzata, cioè tagliata su misura in base alle caratteristiche molecolari del tumore. Una strategia così efficace, da rappresentare ormai il trattamento di prima linea per il 15-20% dei pazienti inoperabili». Sembrano invece arrivare dal futuro i nuovi farmaci immunoterapici, che in pochi anni hanno rivoluzionato il trattamento del carcinoma polmonare, surclassando in certi casi perfino chemio e farmaci biologici. «Gli immunoterapici sono così potenti da essere diventati ormai la prima scelta per circa il 30% dei pazienti inoperabili», ricorda l’oncologa. «Sono in grado di riattivare e potenziare il nostro sistema immunitario contro il tumore: il loro meccanismo d’azione è affascinante, perché ci ricorda in un certo senso che la cura è già dentro di noi».

La potenza della radioterapia nella lotta al tumore al polmone

Questo effetto stimolante sul sistema immunitario può essere ulteriormente potenziato in combinazione con la radioterapia: fatta con macchinari sempre più potenti e precisi, consente di colpire il tumore con alte dosi di raggi X, che danneggiano il Dna delle cellule malate inducendole al suicidio. «È come sganciare una bomba nel bel mezzo del tumore: le cellule malate si distruggono e il materiale che fuoriesce va a stimolare il sistema immunitario», afferma Nadia Di Muzio, primario dell’Unità di Radioterapia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Proprio per questo particolare meccanismo d’azione, la radioterapia può essere combinata anche con la chemio e con i farmaci biologici nel trattamento dei tumori in fase avanzata, ma può anche ridurre la massa tumorale in vista della rimozione chirurgica, oppure può completare la «pulizia» dopo l’intervento.

Gli effetti collaterali, alla fine, sono più leggeri di quanto ci si potrebbe immaginare, sottolinea Di Muzio: «Se la lesione da irradiare è piccola, non si crea alcun tipo di problema. Se invece la zona da trattare è più estesa, allora è possibile che le radiazioni vadano a lambire altre strutture del torace come l’esofago, causando disturbi limitati (ad esempio, infiammazione e difficoltà a deglutire) che possono essere controllati con banali farmaci antinfiammatori.

Un altro problema abbastanza comune è che nei giorni di radioterapia il paziente abbia un po’ di tosse e irritazione alle vie respiratorie, perché le radiazioni tendono a far diventare il catarro più denso, ma in genere il problema si risolve nel giro di due mesi dal termine della terapia». Un prezzo da pagare davvero vantaggioso, soprattutto per quei pazienti con un tumore piccolo e localizzato che non sono in condizioni di sopportare l’intervento chirurgico. «Un nodulo polmonare fino a tre centimetri può essere eliminato anche con una sola seduta di radioterapia, ottenendo risultati paragonabili a quelli della chirurgia», spiega la specialista.

Le potenzialità del CyberKnife

Un ulteriore passo avanti è stato fatto con l’introduzione del CyberKnife, un sistema robotico di radiochirurgia unico per potenzialità e precisione. «È composto da un braccio robotico che direziona il fascio di radiazioni correggendo automaticamente il tiro in tempo reale», conclude Di Muzio. «L’apparecchiatura è inoltre dotata di un sistema di rilevamento e compensazione del respiro, che permette di sincronizzare il movimento del fascio di radiazioni con quello della lesione che si muove mentre il paziente respira: in questo modo non si rischia di colpire e danneggiare i tessuti sani che circondano la lesione».

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