Salute

Intervento innovativo per chi soffre di ipertensione polmonare

L'operazione consiste nella pulizia delle arterie, evita il trapianto e, a pari rischi, ha un indice di sopravvivenza dell'80%

L’ipertensione polmonare è un aumento eccessivo della pressione del sangue nelle arterie polmonari: «quelle, cioè, che collegano il cuore ai polmoni (e che, in realtà, uniche nell’organismo, contengono sangue venoso, spinto dal ventricolo destro verso i polmoni, per ossigenarsi)», spiega Andrea Maria D’Armini, cardiochirurgo del Policlinico San Matteo e professore associato all’Università di Pavia.
CAUSE
L’ipertensione polmonare può essere acuta, per effetto di un’embolia (un’ostruzione provocata da un coagulo di sangue, o da altro) e viene curata, di norma, con i farmaci anticoagulanti. «Nella maggior parte dei casi, invece, l’ipertensione polmonare ha un andamento cronico, come conseguenza di un’embolia acuta (residui del coagulo rimangono all’interno delle arterie polmonari e riducono l’afflusso sanguigno), o di difetti della coagulazione (in persone predisposte geneticamente), che portano, con il passare degli anni, all’accumulo di microtrombi nelle migliaia di rami e rametti arteriosi intorno ai bronchi, dentro i polmoni», afferma D’Armini.

SINTOMI.
Dispnea (difficoltà a respirare) e tosse sono i segnali più evidenti dell’ipertensione polmonare cronica, ma spesso vengono confusi con quelli di altre malattie. Quasi sempre compaiono anche scompensi cardiocircolatori, perché il ventricolo destro del cuore, costretto a uno sforzo molto superiore al normale per effetto dell’ipertensione, va incontro a una dilatazione e funziona male. Altri sintomi sono edemi (gonfiori) periferici, ascite (formazione di liquido nel peritoneo), epatomegalia (aumento del volume del fegato), turgore giugulare.

Gruppo San Donato

DIAGNOSI
Una radiografia del cuore, l’elettrocardiogramma e la misurazione della pressione dei polmoni (tramite appositi cateteri) permettono di diagnosticare con precisione l’ipertensione polmonare.

TERAPIA
«Fino ad alcuni anni fa non esistevano cure decisive, e come soluzione estrema rimaneva solo il trapianto bilaterale dei polmoni, nei casi più gravi (un intervento molto complesso per il chirurgo e impegnativo per il paziente, e legato alla disponibilità degli organi da parte di un donatore)», afferma l’esperto.

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Recentemente è stato messo a punto, invece, un intervento di pulizia delle arterie polmonari, che in molti casi (prima che la malattia arrivi allo stadio finale) permette di risolvere in modo efficace il problema, senza dover ricorrere al trapianto.
Solo pochi ospedali italiani (ed europei) sono però in grado di effettuarlo: in Italia il centro di riferimento è il Policlinico di Pavia (uno dei primi quattro centri al mondo, come casistica), con 60 operazioni l’anno.
La tecnica. La pulizia delle arterie polmonari va considerata, a tutti gli effetti, un intervento di cardiochirurgia, e richiede la circolazione extracorporea, tramite un’apposita macchina. Il cuore viene fermato e la temperatura corporea abbassata a 24-25 gradi, per limitare i danni ai tessuti cerebrali. A questo punto il chirurgo, che deve avere un’alta specializzazione, apre l’arteria polmonare destra, e poi quella sinistra, e attraverso un taglio di circa cinque centimetri lungo la parete comincia a introdurre speciali strumenti, lunghi e affusolati, con cui raccoglie ed estrae i “tappi” e i piccoli trombi (scendendo sempre più in profondità, all’interno dei vasi, verso i polmoni). I trombi sono spesso attaccati con forza alle pareti, e dunque è necessario un lungo e paziente lavoro per rimuoverli.
Di norma, l’intervento dura 5-6 ore. Al termine, le arterie vengono suturate e riprendono subito a funzionare regolarmente, non appena viene disattivata la circolazione extracorporea.
Il post-intervento. La ripresa è abbastanza rapida, e dopo una settimana in ospedale il paziente può tornare a casa. Poi dovrà prendere farmaci anticoagulanti per mantenere fluido il sangue, e niente altro. L’indice di sopravvivenza per questo tipo di intervento è alto: se l’operazione viene eseguita da un’équipe molto esperta, raggiunge l’80%, a 15 anni dall’intervento.
Le controindicazioni. Il rischio di mortalità operatoria è del 2-3%, in linea con quello degli altri interventi di cardiochirurgia.
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