Salute

Conservazione cellule staminali cordonali: a cosa serve e qual è la situazione in Italia

Si tratta di una forma di prevenzione e in molti casi di una soluzione salva-vita per diverse patologie

In Italia, secondo il report del Centro Nazionale Sangue del 2022, le donazioni di sangue cordonale hanno interessato solo il 2,8% dei parti negli ospedali adibiti alla raccolta, ma le cellule staminali in esso contenute sono un patrimonio biologico dal valore inestimabile per la comunità.

Conservazione cellule staminali cordonali: cosa dimostrano i trial clinici

Ci sono oltre 1700 trial clinici nel mondo, di cui 300 in Europa, che dimostrano l’efficacia del trapianto di sangue e tessuto cordonale nel trattamento di diverse patologie. La particolarità delle cellule staminali è che, non essendo specializzate, sono capaci di differenziarsi in uno dei diversi tipi di cellule presenti nel nostro corpo (un neurone, un globulo bianco, una cellula della pelle, ecc.).

Gruppo San Donato

Dato che sono giovani e non compromesse da patologie acquisite, terapie o processi d’invecchiamento hanno una capacità maggiore di attecchire dove si verifica il problema. Servono a contrastare patologie come tumori incurabili e leucemie. Oppure, nell’identificazione e nella convalida di nuovi bersagli terapeutici e per accelerare la riparazione dei tessuti danneggiati o malati, ad esempio post ictus.

Conservazione cellule staminali cordonali: qual è la situazione in Italia?

Attenzione alle agenzie commerciali

Continuano a proliferare agenzie commerciali che si spacciano per biobanche, promettendo la conservazione delle cellule staminali cordonali fino a 30 anni. Ma fungono solo da intermediarie e non sono direttamente delle strutture sanitarie.

«La mancanza di una normativa chiara a tutela delle famiglie crea un limbo nel quale ancora troppo spesso non si ha certezza di dove viene crioconservato il proprio campione. In questo modo si aumenta la confusione sull’importanza di questo patrimonio biologico» spiega Luana Piroli, Direttore generale e della raccolta di In Scientia Fides.

«Il diritto di tutelare il proprio campione non esiste e queste agenzie commerciali creano solo ulteriori danni. È importante che le famiglie decidano di conservare il loro patrimonio biologico presso una biobanca ovvero una struttura sanitaria che sia accreditata FactNetcord. Questo è il solo ente regolatore del settore a livello internazionale. Rappresenta l’unica assicurazione sulla solidità scientifica, di aggiornamento e di rilascio del campione».

La rete nazionale di biobanche pubbliche

Esiste una rete nazionale di biobanche pubbliche dove vengono crioconservati i campioni donati o viene consentita la conservazione per uso autologo-dedicato. Il Decreto ministeriale del 18 novembre 2009 (aggiornato nel 2014) consente la conservazione per uso autologo-dedicato, presso le banche di sangue placentare esistenti sul territorio nazionale, quando il nascituro o un suo consanguineo presenta, al momento del parto o in epoca pregressa, una patologia per cui il trapianto di cellule staminali emopoietiche è clinicamente valido.

Oppure quando nella famiglia c’è il rischio di una malattia geneticamente trasmissibile a futuri figli, per la quale il trapianto è scientificamente appropriato. Ma il campione viene conservato solo per 10 anni e non oltre i 23 così come attestato dagli studi clinici. Questa pratica è considerata idonea e consolidata dal Ministero della Salute per il trattamento di oltre 70 patologie.

Il numero di donazioni è ancora basso

Se la patologia non esiste al momento del parto e viene scoperta in un secondo momento, purtroppo le possibilità di trovare un campione compatibile sono molto basse. È fondamentale mettere in pratica strumenti innovativi e comprovati da evidenze scientifiche, come l’utilizzo di cellule staminali sia ematopoietiche che mesenchimali da tessuto cordonale. La raccolta delle cellule staminali da cordone ombelicale si esegue però in maniera ancora troppo ridotta per riuscire ad ottemperare alle richieste della popolazione. La causa è una carente e scorretta informazione sulle opzioni a disposizione delle famiglie.

Una collaborazione tra pubblico e privato

«Per ottemperare a questa problematica basterebbe attuare una collaborazione tra pubblico e privato, dove tutti i campioni si inseriscono in un registro nazionale a disposizione della comunità internazionale. È una prevenzione concreta e un gesto di solidarietà. Chi decide di donare o di conservare per uso autologo-solidale potrà così avere la certezza che il suo campione verrà conservato per più di 10 anni presso delle strutture idonee e accreditate FactNetcord», specifica Piroli.

«Purtroppo delle stesse biobanche pubbliche solo 7 su 18 possiedono questa certificazione. Quali sono dunque i criteri di verifica e tutela delle famiglie presso le altre strutture? Riteniamo sia ormai indispensabile un confronto sull’argomento. L’Italia deve poter attuare tutte le logiche di innovazione necessarie su tematiche rilevanti come la tutela e la prevenzione in ambito medico scientifico. Fino ad arrivare alla medicina rigenerativa»

Conservazione cellule staminali cordonali: attuare un modello ibrido per uso autologo-solidale

Un modello ibrido già in vigore in Inghilterra, Spagna e Germania permetterebbe di aumentare in modo significativo il numero di campioni a disposizione di tutti. Inoltre, si potrebbe soddisfare l’esigenza da parte di gruppi etnici minori e comunità che difficilmente troverebbero campioni compatibili nell’etnia caucasica. Al contempo, si consentirebbe alle famiglie italiane di conservare il prezioso materiale biologico dei loro figli in modo sicuro e controllato.

I test in alcuni centri di eccellenza italiani

In Italia alcuni centri di eccellenza si avvalgono delle più brillanti menti italiane per testare l’efficacia del trapianto delle cellule staminali cordonali, per il trattamento di diverse patologie.

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Aurora Pianigiani

Collabora con OK Salute e Benessere e si occupa di comunicazione in ambito medico-scientifico e ambientale. Laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, si è formata nel settore dei media digitali e del giornalismo. Ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza e della Salute presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e contestualmente ha scritto articoli per testate giornalistiche che svolgono attività di fact-checking.
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