Salute

Acufeni addio: si può imparare a non ascoltarli

La tecnica di neurofeedback aiuta il cervello a distrarre l'attenzione riducendo il disturbo

Perseguitati dai rumori “fantasma” che vi ronzano nelle orecchie? Tranquilli: è possibile allenare il cervello a non ascoltarli. Tutto questo grazie a una tecnica chiamata “neurofeedback” che insegna come distrarre l’attenzione, focalizzandola su altre percezioni, come quella del respiro o della vista. La sua efficacia è dimostrata da uno studio presentato al Congresso della Società radiologica del Nord America (RSNA) dai ricercatori della Wright State University, in Ohio.

Cosa sono gli acufeni

I rumori fantasma, meglio noti come acufeni, sono una tortura che colpisce quasi una persona su cinque. Impossibile non stare ad ascoltarli. Così però si rischia di diventare sempre più ansiosi e frustrati, finendo per sentire i rumori sempre più forti. Le cause del disturbo non sono ancora chiare. Pare però che ci sia un coinvolgimento diretto della corteccia uditiva primaria, la porzione del cervello che riceve per prima le informazioni provenienti dalle orecchie.

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Quanto può durare un acufene?

L’acufene non ha un tempo prestabilito. Può durare pochissimo tempo, come per tutta la vita. A questo proposito ci sono tre tipi diversi di acufene:

  1. Acufene acuto, dura per meno di 3 mesi e si risolve autonomamente. Spesso i medici preferiscono comunque procedere con una terapia farmacologica.
  2. Acufene sub-acuto, dopo essersene andato torna nei 3-12 mesi successivi. Gli esperti accompagnano la terapia farmacologica con esercizi di rilassamento.
  3. Acufene cronico: dura per oltre un anno. Assolutamente necessario l’intervento dello specialista.

Un problema di attenzione

«La nostra idea è che in caso di acufene si abbia un’attenzione eccessiva diretta verso la corteccia uditiva, che diventa perfino più attiva che nelle persone sane», afferma il ricercatore Matthew S. Sherwood. «La nostra speranza è che i pazienti possano sfruttare il neurofeedback per distogliere l’attenzione dall’acufene, riuscendo magari a farlo passare».

La mappa del cervello

Per verificare l’efficacia di questo approccio, i ricercatori hanno sottoposto 18 volontari sani (senza acufeni) a cinque sedute di allenamento di neurofeedback. In pratica il loro cervello è stato monitorato con la risonanza magnetica mentre ascoltavano tramite degli speciali auricolari un rumore bianco, ovvero un rumore monotono e continuo. «Abbiamo iniziato alternando dei periodi di suono e dei periodi di silenzio, per creare la mappa delle aree del cervello che venivano attivate dal suono», spiega Sherwood.

L’allenamento

Dopo questa prima fase esplorativa, l’allenamento è entrato nel vivo: ai volontari è stata data la possibilità di visionare su uno schermo l’attività della loro corteccia uditiva primaria, espressa sotto forma di una barretta luminosa, nel tentativo di ridurla spostando volontariamente l’attenzione dal suono ad altre percezioni, come quella della vista e del tatto.

I benefici si “sentono”

«Molti partecipanti si sono concentrati sulla percezione del respiro, perché ottenevano un maggior senso di controllo», racconta Sherwood. «Distogliendo l’attenzione dal suono, è calata l’attività della corteccia uditiva, come evidenziato anche dal segnale misurato. Ora intendiamo sviluppare un programma di neurofeedback che non richiede l’uso della risonanza magnetica: penso ad esempio ad un’applicazione per smartphone o una terapia da fare a casa propria che possa essere utile contro gli acufeni e altre condizioni».

FONTE: Congresso della Società radiologica del Nord America (RSNA)

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