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I funghi allucinogeni per curare la depressione grave

Speranze da un test fatto all'Imperial College di Londra su pazienti depressi anche da decenni

Da mito dello sballo new age a possibile farmaco per battere la depressione grave. Si possono riassumere così i risultati di uno studio condotto dall’Imperial College di Londra e pubblicato sulla rivista Lancet Psychiatry.
I ricercatori hanno analizzato un piccolo gruppo di volontari che soffrivano di depressione anche da diversi decenni e che non erano riusciti a superare questa loro condizione con nessun tipo di cura. A loro è stata somministrata la psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni.

La ricerca, che sta conquistando le prime pagine di tutto il mondo, ha coinvolto dodici pazienti con depressione resistente, classificata come “grave” in 9 casi e “moderata” in 3. Prima è stata data loro una dose bassa, poi una altissima. L’esperienza psichedelica indotta dalla sostanza è durata fino a 6 ore, con un picco massimo di intensità dopo le prime 2. Una volta che si sono “risvegliati” 8 pazienti non si sentivano più depressi e 5 restavano liberi dai sintomi anche a distanza di 3 mesi.

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«Queste esperienze con la psilocibina possono essere straordinariamente profonde – spiega il dottor Robin Carhart-Harris, tra i coordinatori della ricerca – le persone hanno raccontato di aver vissuto un’esperienza mistica o spirituale».

Anche gli effetti collaterali – nause, ansia e mal di testa – non preoccupano i medici, perché sono simili e in molti casi anche meno gravi di molte terapie contro la depressione grave. «Ora dobbiamo capire con una sperimentazione su vasta scala – prosegue Carhart-Harris – se gli effetti che abbiamo avuto da questo studio hanno benefici a lungo termine».

Il professor David Nutt, tra gli autori dello studio, ha paragonato i funghi psichedelici a un «lubrificante per la mente», che aiuta i malati a sbloccare la negatività di pensiero tipica della depressione, a ritrovare l’autostima e a risalire dal baratro. Il principio attivo agirebbe anche sui recettori della serotonina, considerato l’ormone del buon umore.

Nonostante l’ottimismo dei ricercatori, lo studio è ancora embrionale, essendo piccolo il gruppo di volontari analizzato e non avendo utilizzato il placebo.

Francesco Bianco 

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