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Equitazione: Valentina Truppa, una vita per i cavalli

Talento, tecnica e forza psicologica. Sono questi fattori a fare la differenza secondo la campionessa italiana di dressage. Che a proposito di gare dice "Il cavallo si fida di me, la sua tensione la posso gestire, la mia dipende soltanto da me stessa".

Ha fatto conoscere il Dressage made in Italy in tutto il mondo. È al 14esimo posto nel ranking mondiale e al terzo in quello di Coppa del Mondo. È entrata in finale alle Olimpiadi di Londra del 2012 e lo stesso anno ha conquistato il bronzo in Coppa del Mondo: la sua esibizione con Eremo del Castegno ha emozionato gli spettatori di tutto il mondo e ha fatto trattenere il fiato a quelli italiani.
Stiamo parlando di Valentina Truppa, 28 anni, carabiniere scelto, atleta talentuosa che ha riportato ai massimi splendori la disciplina del dressage nostrano. Vive ad Asti, dove si allena con un coach d’eccezione, il padre Enzo, nel Centro Equestre Monferrato. L’abbiamo intervistata in occasione della finale di Coppa Italia di Dressage che si è svolta al circolo ippico Horsebridge in provincia di Torino, per capire come si diventa dei veri campioni, insieme con il proprio cavallo.

Quando entra in rettangolo appare fredda, controllata, impeccabile. Lo stress pre gara, nell’equitazione, è moltiplicato per due. Come gestisce la sua tensione e quella del cavallo?

Gruppo San Donato

L’ansia del cavallo dipende molto dall’età: più sono giovani e più ne soffrono, ma con l’esperienza e la maturità è un problema che va scemando. Per aiutarli a “formarsi” psicologicamente li si porta ai concorsi, ma senza farli gareggiare, in questo modo si abituano alle trasferte, a cambiare orari, suoni e odori. Tutto questo per un cavallo, che per natura è abitudinario, è sempre fonte di stress. Ogni esemplare ha il suo carattere, proprio come le persone, e reagisce in maniera differente agli stress.
L’ansia delle persone, invece, è vera e pura. Il cavallo si affida a me, si fida di me, mi segue, dunque la sua tensione la posso gestire, ma la mia dipende soltanto da me stessa. Tendenzialmente non sono una persona emotiva, forse nelle prime gare ero più agitata, ma è uno “stato” che si è risolto strada facendo e che mi accompagna più che altro nelle competizioni internazionali. Quando ero all’inizio della mia carriera, osservando i cavalieri e le amazzoni olandesi e tedeschi, mio padre mi ha detto: devi essere più fredda e controllata di loro, che sono l’esempio per eccellenza del self control.

Qual è la differenza tra un agonista e un campione, sia umano sia equino?

Il campione non è ansioso, ma riesce a trasformare la tensione in un qualcosa di positivo. L’ansia va incanalata in una sorta di concentrazione e non di emozione. Secondo me i tre fattori fondamentali sono il talento, la tecnica e la forza psicologica. Quest’ultima racchiude il 50 per cento della buona riuscita di una prestazione sportiva. Ci sono ottimi atleti, dalla tecnica impeccabile, ma che non riescono a gestire l’emotività, non riescono a mantenere la freddezza necessaria per affrontare certe competizioni. In linea di massima, anche se ansioso, il cavallo con delle potenzialità ha sempre quel qualcosa in più, quella voglia di dimostrare, di gareggiare, quella voglia di sfida che fa la differenza tra un buon esemplare e un campione. Deve avere un margine di miglioramento e ti deve mettere alla prova.

Come trova la concentrazione pre gara?

Ognuno ha il proprio modo di estraniarsi dal contesto per raggiungere la giusta concentrazione, che è fondamentale in una competizione. Io devo stare da sola, distrarmi, mi piace passeggiare, se ci sono negozi guardo le vetrine, ascolto musica. Insomma, faccio tutto fuorché pensare a ciò che mi aspetta. Poi certo ci sono occasioni speciali, come i concorsi internazionali, dove c’è bisogno di un piccolo aiuto esterno. Per le Olimpiadi del 2012 mi è servito fare alcune sessioni con un mental coaching, focalizzare l’attenzione sulle sensazioni, sul rapporto con il cavallo che insieme con te affronterà il rettangolo. Abbiamo lavorato sui punti deboli, visualizzato la prestazione sportiva e gli obiettivi da raggiungere. È un dialogo costruttivo che “materializza” i possibili errori e in questo modo li rende più gestibili.

Come “smaltisce” lo stress delle competizioni, fisico e psicologico? E il cavallo?

Dopo molto impegno mi devo ritagliare uno o due giorni tutti per me, faccio attività che non hanno niente a che vedere con il mondo dei cavalli. Per quanto riguarda l’attività fisica, l’impostazione del Dressage è molto particolare e non ti permette di dedicarti ad altri sport, ma saltuariamente faccio yoga e stretching e mi piacerebbe andare a nuotare. Ogni tanto, durante gli allenamenti, uso il bustino semi rigido per prevenire discopatie.
Il cavallo segue un lavoro di carico e scarico che va di tre mesi in tre mesi. Per rilassarli anche mentalmente, oltre a non montarli, li facciamo girare alla corda, sul tapis roulant o in giostra. Abbiamo un fisioterapista specializzato nel trattamento dei cavalli che lavora sull’allungamento muscolare, gli fa fare stretching, li massaggia e in certi casi utilizza anche l’agopuntura. I cavalli sono atleti, proprio come le persone, e vanno trattati come tali.

Che cosa è la sconfitta?

Dalle peggiori sconfitte nascono le migliori vittorie. Una brutta prestazione sportiva ti permette di conoscere meglio i tuoi limiti e quelli del cavallo, per poterli superare nella prova successiva.

Il cavallo perfetto?

Non esiste. Mi annoierei. Il cavallo ideale per me, invece, è un giusto equilibrio tra morfologia e carattere. Mi piacciono i cavalli dalla forte personalità, non troppo facili, che non ti servono tutto su un piatto d’argento e che sanno tirare fuori la grinta quando si tratta di affrontare competizioni importanti.

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