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Pippo Baudo: ho fatto tre volte il trapianto di capelli

Il presentatore racconta a OK gli interventi fatti, dal 1980 al 2004, per combattere la stempiatura

Solo chi ha la calvizie sa davvero quale complesso sia non avere capelli, che disagio si provi. Non c’è successo professionale o personale che serva a fartelo dimenticare. Non c’è moda che aiuti. È vero, molti giovani vanno in giro con la testa rasata a zero. Ma che c’entra? Loro i capelli, se volessero, ce li avrebbero lunghi e fluenti. Io, stempiato dall’età di 20 anni, mi sono sentito defraudato di qualcosa d’importante. Un calvo, credetemi, sente di avere una diminutio. Per me era anche una questione di immagine professionale. Perché, non c’è niente da fare, la pelata in tv invecchia.

La mia alopecia ha origine familiare. È un’eredità non di mio padre, che al contrario ho sempre invidiato: un capellone, con una bellissima zazzera bianca, ondulata e fitta perfino nell’ultimo periodo della sua vita.
È stata mia madre a lasciarmi in dote una chioma rada e precaria. Ma lei se la cavava con un dignitosissimo tupè. Mi vedevo già condannato al parrucchino quando il mio destino è cambiato: a un certo punto ho scoperto che esisteva la possibilità di fare il trapianto di capelli. Non ho affrontato un solo intervento bensì tre.

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Primo intervento: nell’anticamera incontrai Elton John, ma a lui andò male
La prima volta sono stato davvero un pioniere. Era il 1980, avevo sentito parlare di una tecnica messa a punto in Francia dal professor Puthod. Dopo qualche esitazione sono andato da lui, a Parigi. Nel suo studio incontrai anche due cantanti: Charles Aznavour ed Elton John.

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Con Aznavour, che ha ancora un bellissimo ciuffo bianco, siamo rimasti amici. Fu lui in realtà a convincermi ad affrontare l’intervento. Per Elton John il professore disse che non c’era niente da fare: aveva dei capelli finissimi, d’angelo li chiamava lui. Si è dovuto consolare con le parrucche.
Tornando a me: il primo intervento fu lungo, doloroso. Allora la tecnica del trapianto consisteva nello staccare interi lembi di cuoio capelluto ancora ricco di bulbi piliferi e impiantarli nelle zone della testa più nude. Dopo, ricordo ancora, trascorsi tre o quattro notti di sofferenza. E i risultati non furono del tutto soddisfacenti.

Seconda tappa: tre ore sotto i ferri, in anestesia locale
A metà degli anni 90 conobbi a Roma Giuseppe Rosati, che aveva studiato le nuove tecniche messe a punto in America e in Brasile. Fiducioso, mi rivolsi a lui per il mio secondo intervento di autotrapianto.
Stavolta mi furono prelevati a uno a uno i bulbi piliferi dalle zone della testa ben fornite e impiantati lì dove la calvizie aveva fatto piazza pulita.
Un intervento in anestesia locale, che durò due o tre ore. Io le trascorsi serenamente chiacchierando di televisione e spettacolo con il chirurgo, mentre mi operava. La cosa strana è che i primi giorni dopo l’intervento accarezzavo quelle piccole parti di capelli che erano state trapiantate e dopo pochi giorni nulla: tutto caduto. Al che pensai: “Ahia! È andata male”. Invece, dopo poche settimane, sentii crescere nuovi capelli, più forti e vigorosi, dai bulbi impiantati nella loro nuova casa.

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È qualcosa di miracoloso, è come se quella piccola radice, attecchita in un’area da tempo deserta, trovasse terra vergine per proliferare.
Tre mesi dopo l’intervento la mia testa aveva decisamente un aspetto nuovo.

L’ultimo ritocco: rinfoltimento, soldi ben spesi
Pochi anni fa ho fatto l’ultimo intervento di rinfoltimento. Bene anche quello. Consiglio a tutti coloro che vivono male la calvizie la mia esperienza. Ora, tra l’altro, il trapianto di capelli ha costi anche più contenuti, nello standard dei più semplici interventi di chirurgia estetica. Soldi ben spesi, prima che la piazza diventi un male psicologico.
Pippo Baudo (testo raccolto da Barbara Rossi per OK La salute prima di tutto di dicembre 2009)

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