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Marina Suma: mamma con il seme di uno sconosciuto

«Ero single e volevo un figlio: avevo già predisposto tutto per fare la fecondazione eterologa. La Legge 40 mi ha sbarrato la strada...»

«Appena uscita da una delusione d’amore, ero decisa a restare incinta senza dover cercare un marito», racconta Marina Suma. «E in una banca italiana avevo selezionato i gameti di un padre anonimo».
Ecco la confessione dell’attrice rilasciata a OK nel 2009.

«Avevo scelto. Volevo un figlio. Ma lo volevo da sola. Nel 2004, a 43 anni, diventare madre mi avrebbe reso la donna più felice del mondo. Disillusa dagli uomini, appena uscita da una delusione sentimentale, mi ero decisa a tentare la fecondazione eterologa.

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Gli esami per la fecondazione
Avrei allevato io mio figlio, senza un padre. Un bebè nato dal mio grembo, con il seme di un maschio che non avrei mai visto in faccia. Il ginecologo, a Roma, mi prescrisse gli infiniti esami ai quali dovevo sottopormi: le analisi del sangue per verificare i dosaggi ormonali, le ecografie, e poi l’isterosalpingografia per accertare lo stato delle tube e l’isteroscopia per controllare la conformazione dell’utero.
In una banca italiana scelsi il seme che mi avrebbe fecondata. Era tutto pronto. Ma arrivò la doccia fredda. “Marina, non si può andare avanti”, mi disse al telefono il medico. “C’è la legge 40. L’eterologa è diventata illegale nel nostro Paese”. Era il febbraio 2004.
Mi crollò il mondo addosso: il sogno, che avevo nutrito per mesi nel cuore, disintegrato da un pezzo di carta votato dal Parlamento. La strada era bloccata.
Certo, avrei potuto continuare all’estero, ma vissi questa coincidenza come un segno del destino. Riposi in un cassetto l’istinto di maternità e dal fondo tirai fuori l’energia per andare avanti. La vita aveva in serbo una sorpresa. Qualche mese dopo incontrai Claudio, il mio attuale compagno.

Un nuovo amore e altri tentativi
Con lui ritrovai la fiducia nell’amore e il desiderio di cullare un pargolo tra le braccia. Provammo naturalmente, senza risultato.
Per una donna di quasi 45 anni non è facile rimanere incinta. Lo sapevo e non mi scoraggiai. Avevo un uomo al fianco, con i suoi gameti potevo tentare l’inseminazione artificiale: la legge lo consentiva e lo consente tuttora.
Rifeci gli esami e scoprii di avere l’utero fibromatoso. Il ginecologo mi spiegò che può capitare, con l’età, che l’organo si ingrossi e che si formino dei fibromi. Era il motivo principale per cui non riuscivo a rimanere incinta senza un aiuto dalla scienza.

Un insuccesso dietro l’altro
Scartai l’inseminazione in provetta, perché non me la sentivo di intraprendere un percorso così impegnativo, con l’aspirazione in anestesia degli ovociti e poi l’impianto dell’embrione nell’utero.
Optai per la fecondazione in vivo, quella in cui il ginecologo inietta gli spermatozoi nelle vie genitali della donna. Iniziai con un ciclo di blanda stimolazione ormonale: pillole che avrebbero favorito l’ovulazione, prese dieci giorni prima della settimana fertile. Dopo l’inseminazione, mi somministrarono degli ovuli vaginali di progesterone per facilitare le possibilità di attecchimento dell’eventuale embrione.
Ero leggera, fiduciosa. Ma l’ attesa si consumò in fretta, e arrivarono le mestruazioni. Tentativo fallito. Di nuovo quella sensazione di terreno che ti frana sotto i piedi.

Alla fine ho rinunciato
Potevo ripetere la procedura ancora cinque volte, lasciando passare almeno un mese tra un ciclo di stimolazione e l’altro. Io di mesi ne feci scorrere via sette. Di nuovo fecondazione intrauterina, stesse aspettative, ennesimo colpo basso. Se avessi voluto ritentare, questo era il consiglio del ginecologo, avrei prima dovuto pensare a un intervento chirurgico per rimuovere quei fibromi sottomucosali che erano quasi certamente i responsabili degli insuccessi.
Da sola, con il silenzioso sostegno di Claudio che mi ha lasciato completa libertà di scelta, decisi di metter via il pensiero. La vita stava chiedendo il conto. Non dovevo forzare una maternità che non c’era verso di far arrivare.
Sono fatalista e pure molto sensibile. Certe cose le avverti a pelle: io capii che non sarei mai stata madre. Non per questo mi sento meno femmina. Anzi. Continuo a credere che la donna sia un essere meraviglioso proprio per quello che a me non è stato concesso. Il dono di dare la vita».
Marina Suma

Testo raccolto da Francesca Gambarini nel gennaio 2009 per OK La salute prima di tutto

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