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Giusy Ferreri: sono nata con una malformazione al cuore

«Fin da piccola ho convissuto con la tachicardia. Ma quando, a 19 anni, ho avuto una sincope in sala di registrazione, ho capito che dovevo fare qualcosa: e mi sono operata due volte»

La cantante Giusy Ferreri (vero nome, Giuseppa Gaetana) racconta a OK di essere nata con una malformazione al cuore. Che l’ha fatta svenire proprio quando si è trovata per la prima volta a registrare la sua musica…

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Gruppo San Donato

«Di quel giorno ricordo solo la felicità di trovarmi per la prima volta in uno studio di registrazione. Un attacco improvviso di tachicardia, poi il buio. So di aver emesso uno strano gemito, una sorta di spasmo e di essere caduta a terra svenuta: l’ossigeno non era arrivato al cervello e mi aveva provocato una sincope.
Il motivo? Sono nata con una malformazione cardiaca che mi ha sempre comportato tachicardie anomale. All’inizio, però, quel disturbo era stato diagnosticato come semplice soffio al cuore, molto comune nei bambini e destinato a scomparire spontaneamente con l’ adolescenza.

Un eccesso di fasci di tessuto cardiaco, i battiti a mille
Quando a otto anni ho avuto il primo attacco di tachicardia parossistica (la forma più grave: si superano le 180 pulsazioni al minuto), è emersa la verità: soffrivo di sindrome di Wolff-Parkinson-White, una malformazione consistente in un eccesso di fasci di tessuto cardiaco che provoca l’accelerazione dei battiti.
Mi hanno prescritto una terapia a base di un farmaco betabloccante che ferma la tachicardia, oltre a controlli annuali di ogni genere: test sotto sforzo, ecocardiogrammi, doppler, monitoraggio del battito durante le attività quotidiane.
Ovviamente, più facevo sforzi e più il mio cuore si metteva a fare il matto, quindi dovevo starmene il più tranquilla possibile: che tristezza guardare le mie compagne di scuola che si scatenavano durante l’ora di educazione fisica, e rinunciare alla gite scolastiche perché troppo rischiose…

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E d’estate, l’aumento della temperatura unita all’azione del betabloccante, che mi abbassava la pressione, mi indeboliva molto e mi esponeva al rischio di collasso.

Un giorno, una sincope grave
Se da bambina gli attacchi di tachicardia erano rari ma potenti e lunghissimi, anche tre quarti d’ora con la venina del collo che tremava a vista, col tempo duravano meno, ma mi assalivano quasi tutti i giorni, obbligandomi ad aumentare i dosaggi del medicinale. Arrivavano anche se non mi trovavo sotto stress fisico o psicologico: bastava una passeggiata o uno strattone da un passante frettoloso.
La cosa incredibile è sempre stata la mia reazione emotiva. Ansia? Panico? Macché, una bella risata. Mi prendeva così e forse mi ha aiutata a sopportare tutto questo per vent’anni. Insieme naturalmente alla mia musica. Sui palchi dei pub o delle feste della birra che calcavo spessissimo il mio cuore ha sempre battuto a ritmo normale. Miracolo della mia passione? Chissà.
Solo quella famosa sincope, assai più grave rispetto ai problemi che avevo avuto fino ad allora, mi ha spaventata. Ormai avevo 19 anni e tra una rinuncia e un sacrificio stavo perdendo la mia serenità e la possibilità di trovare un lavoro. Una volta, mentre ero in prova in una fabbrica di articoli da giardinaggio, mi sono presentata con l’Holter per registrare il battito cardiaco dell’intera giornata: be’, non mi hanno confermata!
Da qualche tempo sentivo parlare di un intervento chiamato ablazione, che veniva praticato da qualche anno. Non dimenticherò mai quell’ estate bollente del 2001 in cui sono entrata all’ospedale Niguarda di Milano per affrontarlo.

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In teoria si tratta di un’operazione semplice, in anestesia locale, che consiste nel distruggere, con una particolare sonda, quell’eccesso di membrane all’interno del cuore. A me ne sono servite due.

Ho subito due interventi
Il primo intervento non è andato a buon fine, perché il tessuto da rimuovere era in una posizione difficile, troppo all’interno del cuore, mentre un paio di settimane dopo, il secondo, con una tecnica più potente ed efficace, mi ha risolto la vita. Tre ore di intervento, tre giorni di ricovero ed ero un’altra donna. Che finalmente a 21 anni usciva dall’incubo.
Nei due anni successivi, nei periodi faticosi, ho avvertito ancora delle leggere scariche, con il battito che accelerava. Mi capita ancora adesso, anche se sempre meno, ma si tratta di una reazione emotiva.

Devo evitare lo stress
Certo, dovrei riuscire a evitare lo stress, e la vita frenetica di una cantautrice non è proprio la più indicata. Mi difendo con la respirazione: grazie a una tecnica che mi hanno insegnato, riesco a gestire bene le mie tachicardie emotive da esibizione o da diretta tv, anche perché non sono più dovute al problema di prima. E dopo trenta secondi sul palco, non vorrei più scendere.
Cerco di condurre una vita salutare, limito i caffè a due al giorno e mi spiace solo di non trovare tempo e voglia per lo sport. In compenso, durante i concerti tendo a scatenarmi. Allora ho escogitato un trucchetto: indosso tacchi altissimi così non posso esagerare. Geniale, no?».
Giusy Ferreri (testo raccolto da Grazia Garlando per OK La salute prima di tutto di gennaio 2010)

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