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Federico Moccia: tre metri sotto terra scatta la claustrofobia

«Ero con mia moglie nelle città sottorranee in Cappadocia e mi è venuto il panico. L'aria non mi bastava e la mancanza di ossigeno mi terrorizzava»

«Ero in Cappadocia con mia moglie, stavamo visitando le città sotterranee», spiega Federico Moccia. «L’aria non mi bastava, mi sentivo soffocare e la mancanza di ossigeno mi terrorizzava»
Ecco la confessione dello scrittore e regista a OK.

«Io e lei, duemila metri sotto il cielo. E sotto la terra. È stato allora, che ho scoperto la mia claustrofobia. Ero in Cappadocia (Turchia), con quella che sarebbe diventata mia moglie, nel 2003. Stavamo visitando le città sotterranee, quando in quel dedalo di vicoli strettissimi e cunicoli, costruiti per catturare i nemici, ho cominciato a stare male.
C’erano turisti ovunque. Ho sentito l’affanno, un improvviso calo di pressione e mi sono accasciato su me stesso, completamente sudato. Anzi, di più, ero totalmente disidratato. Avevo bisogno di acqua.
È stato come se, d’un tratto, mi fossi reso conto di quanto fossimo scesi in profondità, di quanto fosse lontana la luce. È stato come se, solo in quell’istante, io avessi capito in pieno di trovarmi a chissà quanti metri sottoterra. L’aria non mi bastava, mi sentivo soffocare e la mancanza d’ossigeno mi terrorizzava. Non facevo che pensare alla tanta strada da fare al contrario, per tornare indietro.
Allora, ho salutato tutti e sono risalito, mentre la mia futura moglie mi riprendeva con la telecamera. Già, mi riprendeva.

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A Milano ho preso a calci la porta dell’ascensore
Sì, perché ridevamo. Anch’io riuscivo a scherzarci su, perché capivo che non era niente di grave. Dopo quella circostanza, ho capito di soffrire di claustrofobia. Allora, ho ripensato ad altri episodi analoghi e alle mie reazioni, che inizialmente non avevo saputo interpretare.
Una volta, per esempio, mi era capitato di restare bloccato in ascensore a Milano. Ho cominciato a prendere a calci la porta e non mi interessava affatto cosa potesse pensare l’amica che era con me. La figuraccia passa in secondo piano.
In realtà, a pensarci a mente fredda, la presenza di un estraneo a volte può aiutare a conservare un certo contegno e a non farsi prendere dalle angosce. Di sicuro, trovo d’aiuto qualcuno che riesca ad alleggerire l’atmosfera. Mio padre sarebbe l’unica persona davvero capace di rassicurarmi in tutte le situazioni, prendendomi in giro quel tanto che basta, ma purtroppo lui non c’è più.

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In ascensore, dopo quella volta, mi è capitato ancora di restare bloccato, ma non ho più reagito così, perché ho imparato ad affrontare la paura e a trasformarla in pensieri razionali.
Non ho voluto né ricorrere a medici o a corsi vari, né tanto meno a farmaci: ho imparato da solo a ritrovare l’equilibrio, fermandomi a riflettere.

Io non potrei mai fare lo speleologo
Così salgo in ascensore senza difficoltà e rifletto sul fatto che, anche se si bloccasse, prima o poi qualcuno arriverebbe in mio soccorso. E comunque, in casi estremi, io stesso potrei riuscire a manovrare qualcosa e a liberarmi.
Sono meno sereno, invece, rispetto al sottosuolo: là sotto, se ci fosse una frana, si resterebbe imprigionati come topi. Insomma, io non potrei mai fare lo speleologo.
Vorrei riuscire a vincere anche questa paura, tornare un giorno in Cappadocia e mi ripropongo pure di andare a visitare la Napoli sotterranea.

Descrivere le debolezze mi aiuta ad affrontarle
Anche se ho ancora certe ansie, nell’insieme sono contento di come sono riuscito a fare i conti con la mia claustrofobia. Ripenso a quando, da bambino, mi dava fastidio stare a Ponza, perché è un’isola, quindi chiusa per definizione dal mare.
E lo stesso tipo di paura, con la stessa angoscia crescente, l’avevo da adolescente quando, prima di andare a qualche festa, mi montava l’insicurezza, temendo di restare a fare solo tappezzeria.
Queste debolezze sono sparse nei personaggi dei miei libri, forse descriverle mi ha aiutato ad affrontarle. Come me, i protagonisti dei romanzi, da Step di Tre metri sopra il cielo e di Ho voglia di te ad Alex di Scusa, ma ti voglio sposare, hanno fatto un percorso di crescita. Superando paure e solitudini. Diventando grandi».
Federico Moccia (testo raccolto da Virginia Nazzaro per OK La salute prima di tutto di novembre 2009)

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