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Federica Pellegrini: così ho fatto il piercing al seno

La campionessa di nuoto racconta la sua passione per i tatuaggi e per l'asticella metallica infilata nel capezzolo

«Sono fiera del mio piercing al seno e lo rifarei senza pensarci su. Mi ricorda una vittoria: il record europeo nei 200 stile libero, ai campionati del mondo di Melbourne, marzo 2007. Da qualche mese pensavo a un piercing, mi piaceva l’idea, ma non sul naso, sulla lingua o sul sopracciglio. Banale, ormai ce l’hanno un sacco di miei coetanei. No, il capezzolo era quello che ci voleva per fare una cosa trasgressiva.

Subito dopo la vittoria in Australia ho chiesto il permesso ai miei genitori, ero certa che dopo quel risultato non potessero dirmi di no. Vi stupite che una campionessa, maggiorenne, cerchi l’approvazione della sua famiglia? Con i miei c’è un rapporto stretto e il loro parere è importante per me. Mio padre era perplesso, mentre mamma Cinzia è stata favorevole fin dal primo momento: non me l’aspettavo. È stata lei ad accompagnarmi in un centro specializzato a Jesolo, da Lorenzo, che ormai è un amico: ha tatuato me, mio fratello e i miei genitori.

Gruppo San Donato

Il negozio è essenziale: alle pareti bianche sono appese foto di corpi tatuati, anche a figura intera. Nella sala d’attesa, sulle poltrone di pelle nera, si possono scegliere i disegni da eseguire, consultando i cataloghi. Invece il laboratorio, quasi una sala operatoria, è in una zona riservata, dove si entra da soli. Un po’ di tensione è normale, ma non avevo paura e non ho sentito un gran dolore. In realtà pensavo facesse molto più male, dato che si tratta di una zona delicata.

Ho voluto seguire attentamente le varie fasi, non mi sono coperta gli occhi e ho guardato tutto. Lorenzo mi ha disinfettato la parte e ha applicato una crema anestetica. Poi ha stretto il capezzolo del seno sinistro in una pinza con due fori. In quei buchi ha infilato l’ago che ha attraversato la carne e subito dopo ha infilato una piccola asta di metallo con due palline alle estremità. Il classico anellino non mi piaceva. Tutta fiera me ne sono andata a casa.

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Ogni giorno, per una settimana, ho dovuto disinfettare il capezzolo e proteggerlo, per evitare che sfregasse contro gli indumenti. In acqua, durante gli allenamenti, usavo un cerotto. Mi ero informata sulle possibili complicanze, ma non ho avuto fastidi particolari e così è stato. So che è importante, per i tatuaggi e i piercing, rivolgersi a persone serie, qualificate e rispettare le regole igieniche: per esempio usare aghi sterili, monouso, altrimenti si rischia anche di restarci secchi. Ma io sapevo come funzionava, dei tatuaggi sono una veterana: ne ho cinque (nel 2012, è arrivata a quota nove, ndr). Il primo l’ho fatto a 14 anni, è un draghetto sulla caviglia destra: rappresenta il mio segno nell’oroscopo cinese. È stato il pegno di una scommessa fatta con mio padre, prima di una gara: lui sosteneva che non ce l’avrei fatta, e invece ho vinto…

Anche allora non ero impaurita, soltanto un po’ agitata, finché non ho sentito scorrere l’ago. Dopo aver trattato la zona, il tatuatore trasferisce il disegno sulla pelle e lo ripercorre con l’ago per fissare l’ inchiostro. Non ho mai sanguinato, ma qualche accortezza, terminata l’operazione, è stata necessaria: ho dovuto mantenere idratata la pelle, non espormi al sole, aspettare che la zona si cicatrizzasse e che cadessero le crosticine.

L’anno successivo sono tornata per un tribale, sul fondoschiena: stavolta non c’ era una motivazione particolare, semplicemente mi ha colpito il disegno. Ahia… Quella è stata la zona più dolorosa: ho sofferto un bel po’, ma per quel tatuaggio ne valeva la pena. Il più bello, quello che preferisco, l’ho fatto a 18 anni: è una fenice stilizzata sul collo, dietro l’orecchio sinistro. È un simbolo di cambiamento, di trasformazione: in quell’anno sono entrata in una nuova squadra e mi sono trasferita in un’altra città.

Dopo il piercing al capezzolo ho continuato con i tatuaggi. Sempre nel 2007, insieme a mio fratello Alessandro, mi sono fatta scrivere sulla schiena: niente altro che noi. Per ultimo, nel 2008, mi sono tatuata sul piede destro il soprannome del mio ragazzo: Balù. Anche lui, Luca Marin (oggi ex ragazzo, ndr), è tatuato, ma del piercing sul capezzolo non è entusiasta. È una questione di gusti. Ma che ci posso fare ? In fondo deve piacere innanzitutto a me. Sono vanitosa e adoro guardare allo specchio queste decorazioni che caratterizzano il mio corpo. Non tutti sono d’accordo: qualcuno può pensare che mi sono rovinata, anche perché di un disegno permanente ci si può stancare, ma io non la vedo così. Non credo di farmi un altro piercing, ma con i tatuaggi di sicuro non ho ancora finito. Per ora non ho deciso né la zona né il soggetto. Ci penserò, magari, dopo Pechino…».
Federica Pellegrini (confessione raccolta da Francesca Turi per OK Salute e benessere di settembre 2008)

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