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Risonanza magnetica sicura anche con pacemaker e defibrillatori

L'esame può essere fatto anche se il dispositivo cardiaco non è di ultima generazione

Nessuna paura: la risonanza magnetica può essere fatta tranquillamente da chi porta nel petto un defibrillatore o un pacemaker, anche se non è di ultima generazione. Lo dimostra uno studio pubblicato su Journal of Clinical Electrophysiology dall’Intermountain Medical Center Heart Institute di Salt Lake City, negli Stati Uniti.

I timori

«La risonanza magnetica è diventata sempre più popolare», spiega il cardiologo Jeffrey L. Anderson che ha coordinato lo studio. «È un esame eccellente per valutare le alterazioni dei tessuti molli, ma richiede l’utilizzo di campi magnetici molto forti. Ciò significa che può essere potenzialmente pericolosa se il paziente ha impiantato un dispositivo metallico contenente ferro». In passato la risonanza magnetica è stata considerata rischiosa nei portatori di pacemaker e defibrillatore per il sospetto che i circuiti del dispositivo cardiaco potessero essere distrutti, oppure che gli elettrodi metallici potessero essere spostati o surriscaldati per effetto del magnetismo.

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Le prime smentite

Le preoccupazioni si sono ridimensionate nei mesi scorsi in seguito alla pubblicazione sul New England Journal of Medicine di un ampio studio multicentrico, chiamato MagnaSafe Registry Study. La ricerca ha dimostrato come i dispositivi cardiaci di vecchia generazione, non progettati per resistere alla risonanza, siano comunque in grado di sopportarla se eseguita con le dovute precauzioni. Lo studio, però, si era limitato a valutare la sicurezza della risonanza eseguita solo su parti del corpo lontane dal dispositivo, che solitamente è impiantato nel petto, appena sotto la clavicola.

Lo studio

I ricercatori dell’Intermountain Medical Center Heart Institute, invece, si sono spinti ancora oltre, valutando anche i pazienti che si sono dovuti sottoporre a risonanza magnetica per esaminare i polmoni, il cuore o altri organi del torace. Lo studio ha preso in esame 212 risonanze fatte su 178 pazienti con un dispositivo cardiaco impiantato tra febbraio 2014 e agosto 2016. Su un totale di 418 elettrodi, i ricercatori non hanno rilevato alcun problema. «Si tratta di un numero piuttosto elevato di elettrodi esposti a questi campi magnetici così forti: se ci fosse stata una probabilità dell’1% di avere problemi, si sarebbe dovuta manifestare», sottolinea Anderson.

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