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Maddalena Corvaglia e il suo doc

«Sono schiava di piccoli rituali legati ai numeri. Manie, fissazioni. Qualcuno mi ha spiegato che si tratta di un disturbo ossessivo compulsivo»

La mania di Maddalena Corvaglia? I numeri. Una forma lieve di doc, ossia disturbo ossessivo compulsivo, che la showgirl confessa a OK.

«Uno. Oppure tre. O anche cinque. Sette, perché no? I numeri di spari mi piacciono. Mi tranquillizzano. Mi fanno stare bene. È una mia mania, una fissa: qualsiasi cosa possa essere riferita ai numeri, dev’essere dispari. Metto lo zucchero nel caffè? Un cucchiaino o tre. Saluto una persona? Mai i due bacetti classici, meglio tre. E se leggo un libro, non interrompo mai su una pagina pari…
Il perché di questa preferenza? Non so… Ma ricordo che da bambina recitavo una specie di filastrocca, diceva: “Uno, Dio/ due, le corna/ tre, l’amore/ quattro, la bara/ cinque, l’amicizia/ sei, lo scemo che sei…”. Forse è da allora che associo ai numeri pari le cose brutte, ai dispari le belle.
Per questa mia mania, sono disposta a sopportare qualche piccolo disagio. Per esempio, il volume del televisore. Sul mio apparecchio l’audio ha dei numeri, e magari il livello 23 mi sembra un po’ basso mentre il 25 alto. Ma io mi adatto: scegliere il 24 non mi farebbe sentire a posto…
Qualcuno mi ha detto che è una forma lieve di disturbo ossessivo compulsivo: s’inventano dei rituali per placare un’ansia interna. È probabile… Non sono però superstiziosa, non leggo nemmeno l’oroscopo. No, gioco solo con i numeri.

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I miei rituali matematici per placare l’ansia
Il mio rituale preferito per scacciare l’ansia è far scrocchiare le dita: con il pollice tiro giù indice, medio, anulare e mignolo. Dura pochi secondi e gli scrocchi mi rassicurano, purché ovviamente siano dispari. È un calcolo un po’ complicato, perché riesco a far scrocchiare ogni dito anche due volte, e devo contare. Poi, se supero la decina, è un po’ diverso: per me i dispari a quel punto diventano il 12, il 14, il 16, il 18… Perché faccio la somma delle due cifre. Poi, dal 21 in poi, cambio di nuovo…

Fissata? Neppure troppo. Se non posso compiere il mio rituale, non accade niente, non vengo sommersa dall’angoscia. Posso controllarmi, e quando lavoro non lo faccio: non è che per esempio mi alzi da una sedia per tre volte invece di due, mi prenderebbero per matta!

Ma nel mio privato posso fare ciò che mi fa stare meglio, giusto? Dunque, se esco di casa e poi mi accorgo di aver dimenticato qualcosa e devo rientrare, non va bene: anziché due uscite, tre. Ecco, inganno un po’ me stessa: mi dico che ho scordato un altro oggetto ancora, e che devo rientrare di nuovo…

Mi accetto così. E anche gli altri mi accettano. Veramente, non è che racconti questa cosa a chiunque. Non so neppure se mia madre ne sia a conoscenza. Ne sa qualcosa invece Enzo Iacchetti, il mio ex fidanzato, che mille volte ha dovuto adattarsi a tenere il volume della tv troppo alto o troppo basso… Le prime volte mi chiedeva: “Perché?”, e io rispondevo: “Mi fa stare meglio”.

Io servo nove o 11 ravioli, mai dieci, metto in tavola sette fette di pane e qualche volta, certo non nei momenti più passionali, conto persino i bacini…
Quand’ero al liceo avevo un altro rituale, più complicato: scesa dal pullman, facevo il tragitto sino a casa (un paio di chilometri) prendendo di mira un sasso e calciandolo: sempre quello, guai a confondermi. Il numero di calci doveva essere dispari, va da sé, anche a costo di tornare indietro un pezzo.

Forse la mia è un’inquietudine trattenuta
Dicono che è un modo di scaricare l’ansia, ma io non sono ansiosa. Anzi, sono molto pacata. Forse è un’inquietudine inconscia e trattenuta; in effetti sono piuttosto controllata. Per esempio, tengo a bada la gelosia, che invece è furibonda. E la rabbia. Resto fredda e apparentemente distaccata.

Forse per questo ogni tanto ho degli incubi: sogno di essere arrabbiatissima e di voler urlare, ma mi va via la voce. Poi forse è colpa del mio carattere forte, che non mi consente di ammettere le mie fragilità e le mie paure. Ma in fondo le mie manie sono un ben piccolo prezzo da pagare, se scaricano l’ansia e mi consentono di essere serena.
Non sono neppure troppo scomode, fatta eccezione per quando devo acquistare le scarpe: in verità, io ho un numero di piede a metà tra il 39 e il 40, ma in genere preferisco stare sul 39…».

Maddalena Corvaglia (testo raccolto da Emma Chiaia nel febbraio 2006 per OK La salute prima di tutto)

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