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Dario Fo: quando ci raccontò di aver rischiato di diventare cieco

«Nel 1995 un'ischemia ha fatto calare il buio assoluto su un occhio e ha conciato male l'altro. Temevo di non farcela a recuperare, ma a poco a poco ho rivisto la luce»

Dario Fo è morto a 90 anni per problemi respiratori. Era ricoverato da giorni all’ospedale Sacco di Milano. L’ultima apparizione, lo scorso 20 settembre scorso aveva presentato a Milano il suo ultimo libro, Darwin, dedicato al padre dell’evoluzionismo. Qualche anno fa ci raccontò una sua brutta esperienza a causa di un’ischemia. Ecco la sua testimonianza: 

«Nel 1995, ho avuto il terrore di diventare cieco», racconta il regista e attore Dario Fo. «Buio assoluto da un occhio. E poi l’altro conciato male: ischemia hanno detto i medici. Ma uno come me non poteva andare in garage… Così mi sono messo d’impegno, ho seguito gli esercizi che mi avevano indicato gli specialisti e sono riuscito a recuperare».

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«Un batticuore furioso e poi la botta. Una forte botta. E la grande paura, immediata, di morire. Non riuscivo a capire bene che cosa mi fosse successo, ma la percezione del rischio era nitidissima. Poi c’è stato il ricovero, al San Raffaele di Milano. Lì mi hanno riferito il suo bravo nome scientifico, ischemia, ma io continuo a usare il gergo botta, rende meglio. E lì, in quel letto d’ospedale, luglio 1995, reparto 7 Q, tac, è arrivata la seconda grande paura. Quella del non recupero.

La vista era calata precipitosamente, diciamo un 90%. La memoria funzionava a intermittenza. Il linguaggio pure. E il fastidioso batticuore continuava a farsi sentire.
Ma sono stato fortunato. Il mio guaio è avvenuto sul confine verticale del cervello, in mezzo ai due lobi, una microlesione su un lato, una sorta di offuscamento sull’altro.

Sotto le palpebre una feritoia
Memoria e parole sono tornate da sole, più velocemente della vista. L’occhio destro aveva già qualche guaio per conto suo, l’ischemia ha peggiorato la situazione: buio totale. Il sinistro, invece, con la botta si è bruciato a metà.
Che cosa ho fatto? Come tutti, per gradi. Prima i cardiologi e i neurologi, poi il giro degli oculisti.

Era il vuoto dell’occhio destro ad angustiarmi: vedevo pochissimo, come da una minuscola feritoia. La parola teatro? Leggevo solo “te” o “ro”.

Da allora mi manca il rosso
Ricordo ancora le parole dello specialista che mi ha preso in cura. Una frase incoraggiante, banale forse, ma è arrivata dritta al bersaglio come una freccia. Ha detto: “Non pensi di avere poca acqua nel bicchiere, ma si concentri sul fatto che l’acqua c’è. La beva tutta, con ingordigia. Il bicchiere continuerà a riempirsi“.

Ed è stato proprio così. Mi aveva prescritto degli esercizi, li ho trovati difficili e non mi sono applicato più di tanto. Poi mi ha dato due paia di occhiali. Uno per la lettura: ingrandisce le immagini in modo straordinario, piccoli caratteri per me invisibili a occhio nudo diventano lettere, parole, acquistano significati. E poi altre lenti per disegnare.

Schizzo, abbozzo, scrivo, leggo, guardo la tv, esisto. È il segreto. L’ho capito appena ho iniziato a stare meglio: per sentirmi vivo, per ricominciare a vivere, dovevo riprendere a lavorare. L’ho detto a Franca, mia moglie, agli amici: “Dario Fo non può andare in garage”.

E così sono ripartito, piano, con titubanza. I medici frenavano, si preoccupavano che non ritornassi subito a fare i salti mortali. Avevo lasciato a metà un montaggio televisivo, una serie di lezioni tenute a Firenze con giovani attori. L’ho ripreso in mano. È stato come un banco di prova: ne sono uscito vittorioso.

Da quell’estate non mi sono più fermato. Su e giù, su e giù per il mondo. Di nuovo come prima. Che dire? Penso che quello che mi è successo sia straordinario: i buchi di luce nel campo visivo con il tempo si sono allargati, la minuscola feritoia si è aperta, ora c’è una finestra.

Certo, è metà sezione rispetto al totale di prima, non posso negarlo, la mia vista non è perfetta. Bisogna accettarlo. In due parole: abituarsi ad avere una menomazione. Ma vedo.
Cosa mi manca? Un colore. Diciamolo: il più importante, il rosso. Da un occhio percepisco tutte le sfumature cromatiche, tranne quelle del rosso. E allora? Io lavoro di fantasia, io lo immagino. Su, su, non è poi così difficile…».

Dario Fo (testo raccolto da Marta Ghezzi per OK Salute)

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