Benessere

Colloquio di lavoro: i consigli per non sbagliare

I suggerimenti della consulente d’azienda e dello psicologo quando ti presenti per un posto di lavoro

Giovani alle prese con il primo impiego o cinquantenni costretti a rimettersi in gioco. Quasi tutti, prima o poi, devono fare i conti con le fatidiche tre parole: «Le faremo sapere». Un colloquio di lavoro, per quanto desiderato e atteso, può cogliere impreparati e gettare nel panico. «Un po’ di ansia prima di un colloquio non solo è normale, ma anche utile», spiega Paola Bonavolontà, consulente e formatore di sviluppo personale e professionale, personal branding e creatività in ambito aziendale. Colpa, o merito, degli ormoni coinvolti nella resistenza allo stress, adrenalina e cortisolo, che si attivano al momento giusto per garantirci lucidità, concentrazione ed energia. Troppa ansia, però, può mandare in tilt.

Secondo gli psicologi, arrivare preparati al giorno dell’incontro abbassa il livello di stress perché aiuta a trasformare l’emozione in azione. Una tecnica che si articola in tre passaggi: organizzazione, accettazione di rischi e conseguenze, elaborazione di un piano B. In pratica, significa: informarsi bene sull’azienda, mettere in conto la probabilità che vada male (e le ripercussioni su umore e autostima), elaborare soluzioni alternative (cioè nuove richieste di lavoro).

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Fare una ricerca sull’azienda che ci ha convocato

Un buon inizio è fare una ricerca sull’azienda che ci ha convocato. Di cosa si occupa, storia, organigramma, missione, valori. Ma è bene documentarsi anche sul mercato o il contesto in cui opera. Dare un’occhiata alla sede, con l’aiuto delle mappe o facendo un sopralluogo, serve a familiarizzare con il posto e a studiare l’itinerario migliore per giungere in orario il giorno dell’appuntamento. «Se si conosce l’identità del selezionatore, è utile acquisire tutte le informazioni possibili su di lui o lei: curriculum, personalità, mansioni. Si chiama “profiling” ed è una tecnica usata in diversi campi, dalla politica alla criminologia, per impostare il tipo di approccio più idoneo»,
spiega Andrea Castiello D’Antonio, psicologo clinico, psicoterapeuta e psicoanalista, autore di Il capitale umano nelle organizzazioni (hogrefe).

Aggiornare il CV e preparare una presentazione

I giorni precedenti all’incontro vanno usati per aggiornare il curriculum e preparare una breve presentazione. Per imparare a descriversi in modo obiettivo ci si può allenare davanti allo specchio o riprendersi con lo smartphone e poi riguardare il video, consigliano gli esperti. «Ripetiamo la prova davanti a un amico e chiediamogli di verificare eventuali incertezze nella voce o tic nervosi che possono compromettere una buona comunicazione», aggiunge Paola Bonavolontà. È utile anche cronometrarsi, per essere sicuri di fornire tutte le informazioni essenziali senza dilungarsi troppo: in generale, la presentazione non dovrebbe durare più di una manciata di minuti. Essere in grado di “raccontarsi” in pochi minuti è già una dimostrazione di efficacia professionale».

Puntare anche sulle “competenze trasversali”

Su cosa puntare? Non solo titoli di studio e mestieri svolti, ma anche passioni, talenti, interessi. Secondo una ricerca condotta al Carnegie Institute of Technology, (Pennsylvania-Usa) l’85% dei selezionatori, oltre a considerare gli aspetti professionali, si concentra sulle «competenze trasversali», qualità elaborate durante il percorso di vita come capacità di ascolto, empatia, arte diplomatica, gestione dello stress. Scriverle sul curriculum non basta: bisogna portare esempi pratici e dimostrare di possederle atteggiandosi in modo giusto. Lo conferma la teoria psicoanalitica delle personalità: alcune caratteristiche umane come coscienziosità, carattere estroverso, apertura mentale, stabilità emotiva sono alla base di buone performance professionali. Sono fattori predittivi del successo lavorativo anche l’autostima, l’assunzione di responsabilità, la tendenza a fare squadra, il cosiddetto locus of control interno, cioè la capacità di attivarsi per pilotare gli eventi, e la citizenship performance, la volontà di fare sempre di più e meglio. A parte questo, non esistono pregi e difetti in assoluto, perché ogni contesto è diverso dall’altro.

Non omettere gli aspetti negativi del CV

«Un’azienda potrebbe apprezzare la meticolosità e la precisione, che potrebbero apparire un ostacolo in un ambito lavorativo in cui è prioritario essere rapidi ed essenziali», spiega Bonavolontà. «Perciò è fondamentale documentarsi prima sugli obiettivi e il modo di operare della società». Per quanto riguarda gli aspetti negativi del curriculum «ometterli è sconsigliabile, perché si mette in dubbio la propria credibilità», aggiunge lo psicologo. «Ma si possono presentare gli errori commessi in chiave costruttiva, sotto forma di occasione di apprendimento: dimostrare di aver interiorizzato uno sbaglio è garanzia di crescita e volontà di miglioramento. Assumersi le proprie responsabilità è una virtù».

Cosa fare con le domande personali?

Attenzione ad alcune domande, riguardanti aspetti intimi della sfera personale, come orientamento sessuale, opinioni politiche, credo religioso: c’è un limite che ogni selezionatore non dovrebbe mai oltrepassare. A questo proposito, ha fatto notizia la vicenda di una giovane fotografa freelance di Mestre, nel Veneto, che è stata messa alla porta per essersi rifiutata di rispondere alle domande su matrimonio e figli. «È giusto invocare la propria privacy», conferma Castiello D’Antonio. «Ma generalmente, in un colloquio ben condotto, queste domande non sono necessarie, perché è la persona stessa a parlare liberamente della propria situazione personale».

Il colloquio prosegue indagando i motivi della candidatura («Perché ha scelto proprio noi?»): è importante avere chiare prima di tutto a se stessi le motivazioni per cui si è arrivati lì. «Consiglio di prepararsi una lista di domande», afferma l’esperta. «Non sappiamo che tipo di persona ci troveremo davanti e come guiderà l’intervista: avere una “scaletta” mentale di argomenti aiuta a restare concentrati su ciò che ci interessa. Inoltre ci serve per capire se questo lavoro può fare davvero per noi o no. Per esempio: quali competenze ed esperienze possiede il candidato ideale, di quali progetti si occuperà nell’immediato e a lungo termine, se è previsto un periodo di formazione, se ci sono opportunità di avanzamento o sviluppo professionale. Potrebbe essere utile sapere anche se è previsto un processo di valutazione annuale e su quali punti verterà. Importante informarsi anche sul gruppo di lavoro e sui referenti aziendali». «Non abbiate timore di chiedere i dettagli: essere informati è un diritto. Mai mostrarsi disposti a tutto pur di ottenere l’incarico», sottolinea Castiello D’Antonio.

Postura sicura e abbigliamento idoneo

La prima impressione conta? «Moltissimo», prosegue lo psicologo. «All’inizio dell’incontro, l’intervistatore registra una serie di “input” che coinvolgono soprattutto la vista e l’udito (parole, azioni, gesti) e vanno a formare un primo ritratto del candidato. Per questo è importante assumere una postura sicura, con spalle dritte, sorriso formale ma sincero, sguardo all’altezza dell’interlocutore». Anche l’abbigliamento è importante. «È necessario sentirsi a proprio agio, ma anche tenere conto dell’ambiente in cui ci si candida a lavorare: il “dress code” di una banca è molto diverso da quello di un ufficio di pubbliche relazioni».

Rispettare i tempi dell’interlocutore

Nel corso dell’intervista, l’attenzione si sposta sui contenuti. «A questo proposito, una regola importante è il rispetto dei tempi. Molti, per dare l’idea di essere persone pronte e reattive, ribattono all’interlocutore senza lasciargli il tempo di finire la domanda. Non interrompere l’altro e rispondere con calma invece è una dote apprezzata, che necessita di nervi saldi e mente lucida», dice la consulente. «Per tenere a bada l’emotività, sono utili alcuni accorgimenti da mettere in pratica a ridosso del fatidico giorno: evitare fumo e alcol, così come i troppi caffè, non rimuginare troppo su ciò che avverrà ma cercare di distrarsi dedicandosi a un’attività piacevole, come una nuotata, una cena fuori, un acquisto desiderato da tempo. Un’utile tecnica antistress è la visualizzazione positiva: consiste nell’immaginare di aver già concluso l’esperienza con successo, lasciandosi inondare dalle sensazioni positive che suscita. È provato che avere aspettative positive (ma non idealistiche) può creare una profezia autoavverante, perché spinge a mettercela tutta».

UNA DANZA, NON UNA LOTTA

Bisogna mostrarsi cortesi ma non amichevoli, disponibili a ricevere consigli e aiuto, ma non alla ricerca di compassione, manifestare dignità e amor proprio, senza ostentare arroganza o presunzione. «Il segreto è immaginare il colloquio non come un duello, ma come una danza, in cui i partecipanti “misurano” i propri passi per rapportarsi reciprocamente con rispetto ed educazione, senza pestarsi i piedi». Tutto è più facile se chi conduce il colloquio è accomodante e ben disposto. Ma se ci si imbatte in quelli che il professor Castiello D’Antonio nel suo libro chiama «soggetti difficili»?

  • «Per esempio, il provocatore: aggressivo e ostile, non lascia parlare il candidato ma cerca in tutti i modi di metterlo in difficoltà. È una modalità di approccio utilizzata talvolta consapevolmente, per mettere alla prova e valutare come l’altro si comporta quando è sotto pressione, altre volte in modo istintivo, da intervistatori per loro natura prepotenti. È importante non rispondere alle provocazioni ma nemmeno restare pietrificati meglio restare concentrati sul colloquio e continuare a esprimersi con tono calmo e pacato».
  • Poi c’è l’egocentrico narcisista: ritiene di essere il migliore e che sia un onore lavorare per lui. «È un atteggiamento indisponente che può portare a reagire in modo stizzito. Meglio ignorare (cioè non confermare né cercare di smontare) i suoi tentativi di autocompiacimento e cercare di riportare l’attenzione sull’oggetto del colloquio».
  • Ancora più difficile è cercare di relazionarsi con chi si distrae in continuazione. Potremmo definirlo il multitasker: controlla il cellulare, scrive mail, parla con la segretaria. «Non sminuiamoci: probabilmente fa così con tutti. Concentrazione, pazienza e qualche pausa “strategica” di silenzio, in modo che l’intervistatore alzi la testa e ci guardi in faccia, possono aiutare», consiglia lo psicologo. Aggiunge Bonavolontà: «Se continua imperterrito, chiediamogli se preferisce rimandare l’appuntamento: potrebbe accorgersi dell’errore e cambiare atteggiamento». E se proprio non funziona, si può anche decidere di andare via. «Per il candidato è importante appurare se la cultura e il clima aziendale si adattano al proprio modo di essere e, se non è così, meglio lasciar perdere».

E dopo? Chiedere come è andata è legittimo

Entro un mese dal colloquio si dovrebbe ricevere una risposta, ma i tempi sono variabili. «Alcune imprese, soprattutto le più piccole, danno rapidamente un riscontro, specie in caso positivo», afferma lo psicologo Andrea Castiello D’Antonio. «I grandi gruppi e le multinazionali in genere si prendono più tempo, perché il processo di valutazione è ampio e comprende la presa in esame di numerosi candidati. È l’azienda che deve farsi sentire, in ogni caso. Farsi avanti per sapere come è andata è un diritto e offre l’immagine di una persona tenace e propositiva, che punta all’obiettivo».

E se si hanno in ballo altre proposte? «Nel corso della prima intervista non conviene dirlo, a meno che non si sia costretti a decidere in fretta. In questi casi va specificato educatamente che si vorrebbe una risposta in tempi brevi. Tuttavia, questa “mossa” può infastidire selezionatori poco aperti». Se invece la risposta è immediata, perché l’iter di selezione è già in fase conclusiva, «anche se si è molto interessati alla posizione offerta, è preferibile concedersi qualche giorno per riflettere».

E se invece è andata male? «In questi casi non c’è un obbligo di comunicazione da parte dell’azienda: in Italia, a differenza di altri Paesi, non si fa quasi mai. Richiedere un feedback è comunque consigliabile, meglio se in forma scritta». Aggiunge la counselor Paola Bonavolontà: «Prima di archiviare l’esperienza, chiediamoci: cosa ho imparato? Cosa farò di diverso la prossima volta? Utile anche tenere un resoconto scritto dei colloqui: potete annotare le domande che vi hanno sorpreso, quelle che avreste voluto fare e vi sono venute in mente dopo, in cosa vi siete piaciuti e cosa potreste cambiare».

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