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Nativi digitali e dislessici: cosa hanno in comune?

I nativi digitali crescono con un sistema nervoso simile a chi ha un disturbo dell'apprendimento. Per questo gli esperti consigliano di cambiare i modelli di insegnamento a scuola

Il profilo cognitivo dei nativi digitali è molto simile a quello dei dislessici. Studiare nuovi metodi di educazione può cambiare il mondo della scuola con molteplici benefici. Adattare i modelli di insegnamento alla “Generazione Z” può, infatti, aiutare a evitare il tasso di abbandono scolastico, che in Italia è pari al 12% e superiore alla media europea. Ma cos’hanno in comune le nuove generazioni con i disturbi dell’apprendimento?

Stessa modalità di elaborazione delle informazioni

La GenZ elabora in modo differente le informazioni. Vede il sapere come un processo dinamico e apprende per esperienza, imparando dagli errori e dall’esplorazione. Utilizza maggiormente l’emisfero destro del cervello per via della capacità specifica di questa area di elaborare una grande quantità di informazioni visive. È dunque più veloce nel prendere decisioni, ma debole nel pensiero metodico e accurato. Per questo motivo il profilo cognitivo dei nativi digitali è molto simile a quello dei dislessici.

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La dislessia è una neurodiversità che interessa il 5% dei bambini

Non trattiamola come un disturbo. «La dislessia può essere compresa a fondo solo se valutata per quello che è: una neurodiversità», sottolinea Maria Dimita, presidente dell’Associazione Il Laribinto Progetti Dislessia che si occupa di iniziative di supporto a famiglie, ragazzi e docenti. È un fenomeno rilevante, che interessa in Italia oltre il 5% dei bambini tra scuola primaria e secondaria. Si tratta di circa 330mila alunni che commettono errori nella lettura, impiegano molto tempo per leggere e spesso non ne comprendono bene il significato. Eppure hanno un’intelligenza pienamente nella norma.

Nuove strade nel campo dell’apprendimento per i nativi digitali

La ricerca sul profilo cognitivo dei nativi digitali apre nuove strade nel campo dell’educazione. Può aiutare a modernizzare la scuola attuale, che è ancora organizzata intorno a modelli di insegnamento arcaici, che non funzionano più, basati sulla memorizzazione automatica, lezioni e interrogazioni. Come emerso nel convegno Come prevenire le difficoltà di apprendimento degli alunni con Dsa e non, valorizzando attitudini e talenti, organizzato dall’associazione Il Laribinto Progetti Dislessia serve dunque un cambio di marcia che tenga conto di questi nuovi fattori.

Un laboratorio sperimentale a Milano

È necessario scegliere pratiche didattiche coerenti con i modelli della società digitale, sia per parlare agli studenti nel loro linguaggio, sia per sviluppare le competenze che la società digitale richiede. Tra i casi esemplari, il laboratorio pilota sperimentato in una scuola d’infanzia di Milano. Ideato da Angela Zerbino, logopedista relazionale dell’età evolutiva, segue il modello del giocoimparo. Si basa, quindi, sulla costruzione e sul potenziamento dei prerequisiti cognitivi e strumentali degli apprendimenti della letto-scrittura.

L’obiettivo: educare pensando al futuro dei nativi digitali

Le singole esperienze positive, però, non bastano. Serve un cambiamento strutturale della scuola. «La prima cosa da fare è accettare che esiste una divisione tra nativi digitali e immigrati digitali, in modo tale da decidere come ridurre al minimo il divario fra essi», aggiunge Dimita. Se non lo si fa adesso, sarà difficile farlo in un altro momento. «Prendendo in prestito le parole dello scrittore statunitense Marc Prensky: Bisogna educare i bambini pensando al loro futuro, piuttosto che al nostro passato».

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Simona Cortopassi

Classe 1980, è una giornalista iscritta all’Ordine regionale della Lombardia. Toscana d’origine, vive a Milano e collabora per testate nazionali, cartacee e web, scrivendo in particolare di salute e alimentazione. Ha un blog dedicato al mondo del sonno (www.thegoodnighter.com) che ha il fine di portare consapevolezza sull’insonnia.
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