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Morti di parto: in Italia sono circa 50 all’anno

La metà delle vittime potrebbe essere salvata: l'ipertensione e l'emorragia sono i due 'big killer'. Il dibattito si riaccende dopo i cinque decessi di donne incinte registrati in questi giorni

Quattro casi in meno di una settimana: tragica casualità o malasanità? Sarà solo la magistratura a chiarire cosa c’è dietro alla morte delle giovani donne incinte finite sulle prime pagine dei giornali in questi giorni di festa. Di certo c’è che le loro terribili storie stanno riaccendendo i riflettori su una problematica spesso dimenticata: la mortalità materna legata alla gravidanza e al parto.

Sono circa 50 le donne che ogni anno muoiono in Italia per parto: «un dato medio-basso se confrontato con altri Paesi europei ma che potrebbe essere dimezzato, anche se non azzerato». A dirlo è Serena Donati, responsabile del Sistema Sorveglianza Mortalità Materna dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).

Gruppo San Donato

Dati alla mano, in Italia si sono registrati 39 decessi per parto tra il 2013 e il 2014, e il trend sembra confermarsi anche per il 2015. In media, si contano 10 donne decedute su 100.000 bambini nati vivi. Questa cifra «scende in Toscana a 5 ogni 100.000 mentre in Campania sale a 13, ma complessivamente siamo in media con Regno Unito e Francia», spiega Donati. «Nei Paesi socialmente avanzati la media è di 20 su 100.000, mentre il dato migliore è quello dei Paesi Bassi con 6». Relativamente ai decessi registrati attraverso il sistema di sorveglianza attiva, i dati disponibili sono quelli relativi a 6 regioni (Sicilia, Campania, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte) dove, nel 2013 e 2014, sono stati contate 39 morti per complicazioni ostetriche.

«L’emorragia post-partum è la prima causa e copre il 52% dei decessi», ricorda l’esperta dell’Iss. «La seconda, con il 19%, sono i disordini ipertensivi di gravidanza, seguono poi le tromboembolie, che rappresentano il 10%». Ci sono inoltre 4 casi di puerpere morte a causa dell’influenza. Tra i fattori di rischio, conclude Donati, ci sono «l’aumento dell’età materna, le condizioni di deprivazione sociale e il basso livello di istruzione, così come l’utilizzo del taglio cesareo laddove non necessario».

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