Alimentazione

Cibo senza grassi, zuccheri, conservanti: moda o necessità?

Aumentano gli acquisti di alimenti privi di zucchero, olio di palma, lattosio ecc. Non sempre, però, l’esclusione è giustificata. Gli esperti consigliano di fare più attenzione agli ingredienti presenti che a quelli mancanti

Cercare «cibo senza qualcosa» è il nuovo mantra quando si fa la spesa. Senza grassi, senza zuccheri, senza olio di palma, senza conservanti… Basta questa dicitura per convincere all’acquisto di un prodotto: il 74% dei consumatori si lascia guidare da questa parola magica, rivela l’Osservatorio Ixè. L’industria si adegua e insiste sul «free from» per accontentare la richiesta dilagante di salutismo. Ma siamo sicuri che togliere sia sempre la scelta giusta?

I prodotti «privi di» sono quelli che presentano in etichetta o sul packaging una dichiarazione di «non presenza» di qualcosa. L’Osservatorio Immagino Nielsen ha contato sugli scaffali della distribuzione più di 10mila prodotti alimentari con un «claim» che rimarca l’assenza o il basso contenuto di uno o più ingredienti. La dicitura più frequente è «senza conservanti», che genera l’11,5% delle vendite. Ma se la promessa di tagliare sulle calorie ha da sempre un fascino ineguagliabile, è la più recente eliminazione dell’olio di palma ad aver avuto il maggior impatto sulle vendite negli ultimi anni (cresciute quasi del 13%). Anche quando si tratta di scegliere piatti pronti l’occhio cade lì: sempre secondo dati Nielsen la scritta «privo di» ha fatto lievitare le vendite dei primi piatti confezionati del 6,6%, con punte del più 30% per le zuppe.

Gruppo San Donato

Non fa eccezione il reparto cura del corpo: Human Highway, azienda di ricerche online, rivela che il 25,3% dei connazionali ama i cosmetici senza qualcosa. «Le formule possono essere diverse (“senza”, “zero”, “no”), ma la sostanza non cambia: si vuole trasmettere in modo chiaro al consumatore che quell’elemento non c’è e che può stare tranquillo», spiegano Edoardo Lozza e Giulia Fusari, autori del libro Psicologia dei senza (Edizioni San Paolo). Il trend è chiaro. «Sembra che ormai il consumatore sia più interessato a ciò che manca, piuttosto a ciò che è presente. In passato la “ricchezza” di un prodotto era considerata un valore aggiunto».

Voglia di naturale e genuino

La buona notizia è che il livello di consapevolezza su ciò che si compra, si mangia o si applica sulla pelle è cresciuto. Complice la crisi economica, gli italiani (e non solo) hanno riscoperto valori come parsimonia e moderazione dei consumi, puntando sulla qualità, piuttosto che sulla quantità. Prediligono prodotti il più possibile naturali, semplici, genuini, come quelli fatti in casa. Tant’è, svela Coldiretti, sempre più connazionali fanno la spesa direttamente nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori, per essere sicuri di acquistare cibo senza elementi chimici o aggiunti a livello industriale.

«Questi temi vengono affrontati e discussi sui canali online da parte dei consumatori stessi, che diventano sempre più informati, esperti e apprensivi», scrivono Fusari e Lozza. In effetti, l’hashtag #freefrom su Instagram sfiora i 450mila post. Tornando ai prodotti confezionati, secondo gli autori del libro i consumatori sono più preoccupati di verificare l’assenza dei «nemici» che analizzare la composizione nutrizionale, la provenienza degli ingredienti o la data di scadenza.

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No al fai-da-te

L’aspetto psicologico ha un peso determinante. «Due parole magiche sono apparse nel mercato alimentare nell’ultimo decennio: integratori e senza», commenta Maria Paola Graziani, ricercatrice in psicologia dei consumi e collaboratrice del Cnr (Consiglio nazionale ricerche). «I primi aumentano, i secondi tolgono. L’uno è l’opposto dell’altro, ma stando ai dati di mercato esercitano entrambi un forte stimolo seduttivo per il consumatore, che sempre più spesso decide di integrare senza sapere cosa gli manca, o di togliere qualcosa senza averne davvero la necessità. È una scelta di consumo che genera un’emozione potente, alimentata da alcune pubblicità recenti dove c’è un’allusione a una componente magica, favolosa, dell’articolo proposto».

Da un’analisi delle pubblicità trasmesse in Italia negli ultimi anni si evince come lo stile di vita «green», attento al benessere e alla tutela dell’ambiente sia veicolato da nuove strategie di marketing. Colori rassicuranti e protettivi come bianco e verde, dialoghi studiati, scene di perfetta vita quotidiana. «È stato dimostrato che l’utilizzo di queste tecniche è molto efficace nell’influenzare il comportamento dei consumatori», ribadiscono Lozza e Fusari. È d’accordo Graziani. «Cibo senza zucchero o sale, pur se a prezzi maggiori, schizza in testa ai consumi per il suo potere persuasivo».

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Il parere dei nutrizionisti

I nutrizionisti, però, ricordano che a tavola sono sempre preferibili valori come sobrietà e ragionevole osservanza di una dieta equilibrata e variata, piuttosto che la demonizzazione a priori di singole componenti. «La legge tutela dalle informazioni ingannevoli: se fino a qualche tempo fa vigeva una totale anarchia, che ammetteva diciture fantasiose come “acqua senza colesterolo”, oggi sia le fortificazioni che le sottrazioni di nutrienti sono regolamentate a livello comunitario dall’Efsa, l’autorità europea in tema di sicurezza alimentare, le cui direttive sono recepite dal Ministero della salute italiano», precisa Laura Rossi, nutrizionista e ricercatrice al Centro per la ricerca e sperimentazione in agricoltura del Crea-Nut (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione).

«I “claims” aggiunti all’etichetta nutrizionale, cioè le scritte che riportano le modifiche apportate all’alimento originale e i relativi benefit per la salute, devono superare un lungo iter di autorizzazione che prevede una serie di studi scientifici. Da parte del consumatore, tuttavia, la certezza di comprare cibo “senza qualcosa” viene spesso confusa con il reale bisogno di rinunciare a quello specifico componente».

cibo senza zucchero

Cibo senza zucchero

Prendiamo per esempio lo zucchero. «In quantità oculate non solo è un nutriente fondamentale, ma rappresenta il carburante principale delle nostre cellule», prosegue Graziani. «Tuttavia è il primo a scomparire dal carrello. Però la sua assenza genera paradossalmente consumi ripetuti, per soddisfare il desiderio di dolce. Inoltre la parola “senza” azzera le differenze tra le varie tipologie di zuccheri e grassi che, in diverse proporzioni, devono essere presenti nell’alimentazione quotidiana». L’ondata salutista favorisce un fai-da-te a volte controproducente. Se l’obiettivo è dimagrire, per esempio, il rischio è quello di dichiarare guerra totale allo zucchero e orientarsi sempre e comunque verso i dolcificanti. Una scelta che non ha alcun beneficio sulla riduzione del peso, secondo una recente revisione su 56 studi effettuata dalla Cochrane Foundation e pubblicata dalla rivista scientifica British Medical Journal. I cibi light sono davvero più leggeri? Tutta la verità

Cibo senza grassi

Anche i grassi sono visti come il demonio, pur essendo indispensabili. Attraverso loro assumiamo sostanze necessarie al corretto funzionamento dell’organismo, come le vitamine liposolubili. Inoltre, gli acidi grassi «buoni» come gli Omega 6 e Omega 3 svolgono un importante ruolo nella prevenzione di malattie cardiovascolari e hanno dimostrato un ruolo protettivo nei confronti di infiammazioni e malattie neurodegenerative. Come sempre, è la dose a fare il veleno. Per non avere problemi basta che i grassi non superino il 25-30% delle calorie totali giornaliere e che siano prevalentemente costituiti da grassi insaturi di origine vegetale come l’olio extravergine d’oliva. Un discorso a parte lo merita l’olio di palma, che è sì vegetale, ma ha una composizione più simile al burro perché contiene principalmente grassi saturi.

Essendo insapore, non altera la gradevolezza delle preparazioni e, resistendo all’irrancidimento, ne garantisce la conservabilità. Ecco perché l’industria, attratta anche dai bassi costi, lo aveva inserito tra i suoi ingredienti principali. Di recente però, molti produttori lo hanno eliminato in virtù di un dibattito tuttora in corso su eventuali suoi effetti negativi sulla salute. Effetti non confermati dalle autorità competenti, come ministero della Salute ed Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Non è il caso di demonizzarlo, pensando che faccia più male di altri grassi saturi, e anche in questo caso dipende da quanto se ne consuma. «È sempre fondamentale leggere attentamente l’etichetta», aggiunge Rossi, «per sapere con quale tipo di grasso è stato sostituito l’olio di palma».

Cibo senza glutine, lattosio, lievito 

Poi c’è l’ampio capitolo delle presunte allergie e intolleranze alimentari. E allora c’è chi compra senza lattosio o senza lievito perché gonfiano la pancia o esclude il glutine dalla dieta convinto di perdere peso. Gli specialisti sottolineano che la quota di allergici, intolleranti e celiaci accertati non giustifica i numeri sugli acquisti di cibi «senza», che continuano a crescere (quelli privi di lattosio incassano un +7,3% nel 2018). «Per i non celiaci, l’eliminazione del glutine con l’intento di dimagrire è inutile se non dannoso, perché in alcuni preparati per celiaci vengono aggiunti zuccheri o grassi per aumentare la gradevolezza del prodotto», sottolinea la nutrizionista.

senza glutine

«Stesso discorso per il lattosio, presunto colpevole di tutti i mali, dai dolori addominali all’iperproduzione di muco nei bambini. Scegliere un latte delattosato senza un’effettiva necessità porta nel tempo alla disattivazione della lattasi, l’enzima deputato alla digestione dello zucchero del latte. Chi non è intollerante, quindi, potrebbe diventarlo». E il lievito? Secondo Eurispes il 18,6% degli italiani compra abitualmente cibo senza lievito in mancanza di una ragione, pensando erroneamente che questo ingrediente provochi gonfiore addominale. Ma il lievito ha un ruolo fondamentale nella panificazione, aggiunge sapore e fragranza, «muore» a 50-60 gradi di temperatura per cui il gonfiore deriva da altre cause. C’è anzi una serie di recenti studi che ne avvalorano i benefici. Uno di questi, condotto all’università di Lille, in Francia, ha dimostrato l’effetto probiotico e di riduzione del dolore addominale in chi soffre di intestino irritabile.

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Cibo senza sale

Molto difficile, invece, che vi sia un acquisto immotivato di prodotti senza sale. «Gli italiani superano ampiamente l’apporto di 5 grammi al giorno, pari a un cucchiaino da caffè, raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità», sottolinea Rossi. Il consumo medio risulta di quasi 11 grammi giornalieri negli uomini, circa 8,5 nelle donne. «È dimostrato che più di 9 grammi di sale al giorno hanno effetti nocivi sulla salute, provocando in primis l’ipertensione». La fonte principale di cloruro di sodio è costituita dal pane e dai prodotti da forno anche dolci, come biscotti, cracker e cornflakes. Li consumiamo tutti i giorni e in quantità più elevate rispetto a insaccati, formaggi, conserve di pesce o patatine fritte. Scegliere prodotti confezionati senza sale è una scelta di tutela della salute a tutte le età. «Ma anche in questo caso attenzione alle etichette», conclude Rossi. «È importante ricordare i nomi di alcuni ingredienti che indicano la presenza di sale come bicarbonato di sodio, fosfato monosodico, glutammato monosodico, nitrato e nitrito di sodio».

Cibo senza conservanti: a volte servono

La scritta «senza» preferita dai consumatori si riferisce ai conservanti e, più in generale, agli additivi chimici. Molti addossano a questi ingredienti la responsabilità di malattie, allergie e intolleranze. Va però sottolineato che la presenza degli  additivi  nei cibi è rigorosamente regolamentata e controllata. Prima di essere utilizzati nella produzione alimentare, infatti, devono essere sottoposti ad approfonditi studi tossicologici. Inoltre, la legge stabilisce sia le tipologie di alimenti in cui l’additivo può essere aggiunto sia le quantità massime che i produttori possono utilizzare. Tutto questo ha lo scopo di evitare che con l’alimentazione abituale si superino le dosi giornaliere ammissibili di queste sostanze. Per esempio, la legislazione europea vieta l’utilizzo di coloranti e conservanti nei prodotti per l’infanzia indirizzati a bambini fino ai tre anni d’età.

Alcuni additivi, invece, sono perfettamente innocui e sono autorizzati anche negli alimenti per l’infanzia. È il caso dell’acido ascorbico (E500) e dell’acido citrico (E330). In alcuni casi, poi, gli additivi sono essenziali per conservare la salubrità di certi alimenti. Per esempio, i nitriti aggiunti agli insaccati per evitare la crescita di batteri, tra i quali il pericoloso botulino.

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