
Il nostro cervello reagisce a stimoli legati al bullismo anche a distanza di molti anni. È quanto emerge da un nuovo studio dell’Università di Turku (Finlandia), pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Neuroscience, che ha analizzato come il cervello reagisce a stimoli legati al bullismo anche a distanza di molti anni.
Secondo il gruppo di lavoro si tratta di una forma di disturbo post-traumatico da stress: una ferita che non guarisce del tutto e che, se “toccata”, può riattivare le stesse reti cerebrali legate alla paura, allo stress e alle risposte corporee di allarme.
Gli esperti nel loro studio usano una metafora per rendere esplicito il risultato della ricerca: così come lo scoppio improvviso di un petardo può risvegliare in un veterano ricordi dolorosi della guerra, una semplice scena di bullismo osservata ad esempio in un film al cinema può riaccendere angoscia e paura in chi è stato vittima di prevaricazioni a scuola. In pratica rivivere episodi di bullismo, anche solo come spettatori, è come “buttare sale su una ferita sempre aperta”.
In questo articolo
Lo studio su adolescenti e adulti
Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno coinvolto circa 100 partecipanti, tra adolescenti (11-14 anni) e adulti. Ai volontari sono stati mostrati video in prima persona che simulavano scene di bullismo o interazioni sociali positive in un ambiente scolastico.
- Negli adolescenti, le risposte sono state monitorate con risonanza magnetica funzionale.
- Negli adulti, sono stati utilizzati sistemi di eye-tracking e misurazioni delle pupille per valutare la risposta emotiva.
Questo approccio “naturalistico” ha permesso di cogliere l’impatto reale e complesso delle esperienze di bullismo, andando oltre i modelli sperimentali più semplici.
Non solo dolore sociale: il bullismo accende un allarme fisico
I risultati mostrano che il bullismo non è percepito solo come dolore sociale o disagio psicologico, ma come un vero e proprio stato di allarme fisico e viscerale nel cervello.
Le scene di bullismo hanno attivato aree chiave come:
- Amigdala, il centro della paura;
- Insula, legata alle sensazioni viscerali;
- Striato dorsale, coinvolto nella risposta allo stress;
- Aree somatosensoriali e motorie, che suggeriscono una preparazione del corpo alla fuga o alla difesa.
Sono risultate attive anche la corteccia cingolata anteriore e le regioni prefrontali, fondamentali per regolare lo stress e gestire le emozioni.
Differenze tra adolescenti e adulti
Le reazioni, seppur simili, hanno mostrato alcune differenze significative:
- Negli adolescenti l’attivazione cerebrale era più diffusa e intensa, a conferma di un’esperienza del bullismo più corporea e viscerale. Maggiore era la vittimizzazione subita, più forte era la risposta emotiva e di allarme.
- Negli adulti, invece, la storia di bullismo infantile si associava a una minore attivazione in molte aree del cervello. Questo potrebbe indicare un effetto di desensibilizzazione: con il tempo, il cervello riduce la sensibilità al trauma, costruendo “cicatrici” che attenuano la risposta emotiva.
“Con l’accumularsi delle esperienze – sottolinea Balestrieri – gli adulti possono sviluppare una sorta di difesa psicologica. In alcuni casi, però, questo processo può trasformare l’ex vittima in carnefice”.
Bullismo e salute mentale: perché lo studio è importante
La ricerca dimostra quanto profonde e durature possano essere le conseguenze del bullismo, confermando che non si tratta di episodi che finiscono con l’adolescenza, ma di esperienze che lasciano tracce nel cervello e nel corpo.
Comprendere questi meccanismi è fondamentale per sviluppare strategie di prevenzione, supporto psicologico e trattamenti mirati, capaci di ridurre l’impatto a lungo termine sulle vittime.
Leggi anche…