Salute Mentale

Ossessione per il true crime: perché le storie sui crimini ci attraggono così tanto?

Le storie di true crime sono come simulazioni di rischio che ci permettono di esplorare l’oscurità senza, però, subirne le conseguenze

Altro che gossip, diete e tintarella: questa estate le chiacchiere sotto l’ombrellone sono all’insegna del giallo. Tra la riapertura delle indagini a Garlasco, il processo per l’omicidio di Giulia Tramontano e il ritrovamento dei cadaveri di Villa Pamphilj a Roma, stiamo sguazzando in un mare di cronaca nera.

Per appagare la nostra curiosità, non ci siamo risparmiati neppure i talk show con avvocati e criminologi, i dibattiti social su impronte e macchie di sangue, le infinite docu-serie e i podcast sui casi irrisolti. È evidente che l’attrazione per il true crime (ovvero la narrazione di crimini realmente avvenuti) sta raggiungendo livelli così alti che pure la mitica Jessica Fletcher faticherebbe a tenere botta. Ma cosa ci sta succedendo?

Sui social e nel web le storie viaggiano “veloci”

Da Jack lo squartatore alla saponificatrice di Correggio, «l’interesse per i crimini violenti non è una novità: risale almeno al XIX secolo, con la nascita della stampa popolare e la diffusione dei giornali», spiega Gianluca Esposito, professore di psicologia clinica e dello sviluppo all’Università di Trento, dove dirige il dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive.

«La novità dei nostri tempi sta nella disponibilità immediata di contenuti, unita alla pervasività delle piattaforme digitali, che ha creato un ecosistema in cui l’informazione viaggia a una velocità inedita, raggiungendo un pubblico globale in pochi secondi. I social media, in particolare, non si limitano a diffondere notizie, ma le moltiplicano, le rielaborano e le inseriscono in circuiti di discussione che amplificano la loro portata. Questo meccanismo genera comunità virtuali unite da interessi comuni, dove le emozioni collettive, dalla curiosità all’indignazione, si diffondono rapidamente alimentando un coinvolgimento sempre più intenso».

Ossessione per il true crime: i numeri del fenomeno

Il true crime è ormai un fenomeno di massa. Secondo un’indagine dell’istituto di ricerche Ipsos, due italiani su tre sono appassionati lettori del genere. L’immedesimazione è elevata, tanto che il 40% degli intervistati ritiene di possedere doti da vero detective. Il 66% dichiara di leggere per capire le menti criminali e l’aspetto psicologico, il 46% apprezza il mistero che circonda i casi. Il 31% afferma di essere appassionato all’aspetto di denuncia di condanne ingiuste, mentre il 12% legge il true crime perché è un modo coinvolgente e sicuro per provare paura e suspense.

La stessa passione pervade anche il mondo dei podcast. Un’indagine di AstraRicerche rivela che il true crime è al secondo posto tra i generi più popolari, perfino davanti alle news e all’intrattenimento. Le donne (45%) superano gli uomini (30%) nell’ascolto di racconti da brivido: quelle tra i 18 e i 29 anni sono le vere detective, con ben il 61% che ascolta regolarmente podcast di questo tipo.

Si può esplorare l’oscurità senza subirne le conseguenze

Violenze e ammazzamenti ci attraggono perché il nostro cervello tratta queste vicende come esperienze cruciali per la sopravvivenza. «Quando ci imbattiamo in situazioni di pericolo o di suspense, l’amigdala (cioè la regione cerebrale che rielabora la paura) si accende come un allarme primitivo, scatenando una risposta emotiva viscerale che ci prepara a lottare o fuggire», ricorda l’esperto.

«Allo stesso tempo, il sistema dopaminergico ci premia con una scarica di adrenalina e curiosità, trasformando la paura in un’esperienza quasi coinvolgente. Questo meccanismo affonda le radici nell’evoluzione: fissare l’attenzione sulle minacce, anche solo narrate, era un vantaggio cruciale per anticipare i pericoli reali, e oggi quell’istinto sopravvive in noi, mutato in fascinazione per il brivido e l’ignoto. Le storie di true crime sono come simulazioni di rischio che ci permettono di esplorare l’oscurità senza subirne le conseguenze, ricavandone allo stesso tempo un senso di controllo, persino di eccitazione. È la motivazione per cui, pur coprendoci gli occhi davanti a un film horror, non smettiamo mai di guardare».

L’identikit degli appassionati

Diverse ricerche hanno cercato di tracciare l’identikit degli appassionati del genere: si tratta di giovani adulti tra i 25 e i 45 anni, più donne che uomini, come evidenzia uno studio dell’Università dell’Illinois pubblicato su Social Psychological and Personality Science. «Le donne hanno sempre avuto una maggiore fascinazione per i criminali, ma è possibile che siano attratte dalla cronaca nera perché ritengono di ricavarne informazioni utili per difendersi da un potenziale aggressore: imparare dalle esperienze negative altrui potrebbe essere vantaggioso», commenta Alessandra Gorini, professoressa di psicologia all’Università Statale di Milano.

Ossessione true crime: attenzione alle “abbuffate” di storie criminali

Preso a piccole dosi, il true crime può essere un innocuo passatempo che stimola la mente con un mix di suspense e mistero, ma a lungo andare «il cervello rischia di assuefarsi, finendo per cercare stimoli sempre più forti ed estremi per provare la stessa scarica adrenalinica», osserva Esposito.

È così che molti si lasciano andare a grandi “abbuffate” di storie criminali, un’abitudine non priva di rischi. «Può aumentare lo stress e il senso di insicurezza suscitando paure ingiustificate e un perenne senso di allarme, specie nei soggetti che già soffrono di disturbi ansiosi o depressivi», sottolinea Gorini. «Nei giovani, poi, gli studi sui videogame hanno già dimostrato come un’esposizione continua a contenuti cruenti porti a una banalizzazione della violenza e a una maggiore propensione all’aggressività».

Proteggere i soggetti più fragili dal continuo bombardamento mediatico è fondamentale, ma tutti gli appassionati del genere dovrebbero comunque fare attenzione alle famose “maratone”, perché a lungo andare possono trasformarsi in una dipendenza. «Il campanello d’allarme scatta quando il consumo di serie e podcast va a interferire con sonno, studio, lavoro e relazioni sociali», puntualizza la psicologa dell’ateneo milanese. «La continua ricerca di nuovi contenuti può causare pensieri ricorrenti e intrusivi, difficoltà di concentrazione, isolamento e una percezione distorta della realtà. Se ci si accorge di aver varcato la linea rossa, meglio staccare, cercando di dedicarsi ad altre attività e passatempi. In caso di difficoltà, è invece opportuno farsi aiutare da uno psicologo».

Testo di Elisa Buson

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