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Dipendenza da medicinali: quattro serie tv e documentari da non perdersi

Antidolorifici, nicotina, ansiolitici e stimolanti: farmaci e sostanze legali che possono creare «addiction» e gravi ripercussioni sulla salute. Su Netflix e Disney + produzioni che trattano il tema dell'abuso e delle sue conseguenze nella società, sopratutto americana

Dopesick – Dichiarazione di dipendenza

Ben prima di Painkiller, la serie televisiva di successo distribuita da Netflix ad agosto sulla vicenda dell’epidemia da oppioidi negli Stati Uniti, sulla piattaforma Disney + è disponibile da novembre 2022 Dopesick – Dichiarazione di dipendenza.

Trama e cast

Al centro della storia, come nella produzione Netflix, ci sono il farmaco antidolorifico OxyContin e l’azienda farmaceutica Purdue Pharma, che l’ha introdotto sul mercato con informazioni ingannevoli ed è stata accusata di aver interferito con il processo di approvazione da parte della FDA. E poi c’è il dramma delle famiglie: figli o genitori, per un semplice mal di schiena o un infortunio sul lavoro, hanno rischiato di diventare tossicodipendenti a causa di OxyContin, prescritto dai medici di base anche per il trattamento di dolori lievi.

Gruppo San Donato

Inizialmente era considerato un oppiaceo più sicuro degli altri, perché il suo meccanismo a lento rilascio – sostenevano gli esperti della Purdue Pharma – non poteva creare dipendenza.

La produzione Disney si differenzia da quella Netflix, oltre che per il cast (tra i protagonisti di Dopesick, l’attore Michael Keaton, che per il ruolo ha vinto un Golden Globe, e Rosario Dawson), anche per una maggiore lunghezza (otto puntate) e minuzia nei dettagli. Più approfondita la spiegazione dei passaggi burocratici che hanno portato all’approvazione del farmaco, il modo in cui l’azienda farmaceutica avrebbe aggirato la FDA, la ricerca delle prove necessarie a sbugiardare la Purdue Pharma e la modalità con cui il farmaco porta alla dipendenza e all’utilizzo di altri oppiacei, anche illegali, con rischio di overdose. Più ampio anche l’arco temporale: dagli anni Novanta, Dopesick arriva ai primi Duemila, fino al processo che ha coinvolto l’azienda farmaceutica e ai movimenti di protesta delle famiglie e delle comunità di cui facevano parte le vittime.

Su questi avvenimenti, nel 2022, è uscito un film documentario dal titolo Tutta la bellezza e il dolore. Candidato al premio Oscar, ripercorre la storia e la battaglia di Nan Goldin, fotografa e attivista di fama internazionale, contro la famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma e responsabile della commercializzazione di OxyContin.

La dipendenza da medicinali oppioidi in America

La crisi degli oppioidi negli Stati Uniti, fra la fine degli anni Novanta e il 2022 ha provocato quasi un milione di morti per overdose e si può suddividere in tre fasi. La prima, quella descritta nella serie tv, fu scatenata dall’utilizzo di farmaci legali, prescritti dai medici, proprio come l’oxicodone (il principio attivo di OxyContin), ma anche di metadone e idrocodone. La seconda, iniziata intorno al 2010, è legata all’utilizzo illegale di eroina. Mentre la terza, in corso dal 2013, è dovuta al mercato illecito di oppioidi da prescrizione, come il tramadolo e il fentanyl.

La dipendenza da medicinali oppioidi in Italia

La prescrizione è regolamentata in modo più stringente rispetto agli Stati Uniti e, secondo il rapporto Osmed 2021, l’utilizzo è inferiore ad altri Paesi europei. Come spiega la Società italiana di farmacologia, nel nostro Paese alla prescrizione di oppioidi per il trattamento del dolore lieve si preferiscono analgesici più sicuri, come i Fans.

Diverso l’approccio per il dolore grave, come quello oncologico o da chirurgia invasiva, dove vengono utilizzati per dare sollievo ai pazienti. Rimane controverso, invece, il ricorso agli oppioidi per il trattamento del dolore neuropatico, dal momento che gli effetti indesiderati, tra cui anche la dipendenza, supererebbero di molto i benefici.

Big Vape: ascesa e caduta di Juul

Tocca il tema della dipendenza da nicotina e il ruolo del marketing nella diffusione dello “svapo” tra i giovani, la docuserie disponibile da ottobre 2023 su Netflix, Big Vape: ascesa e caduta di Juul.

Big Vape Netflix

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Tratta dal libro della giornalista Jamie Ducharme, la serie documentario ripercorre la parabola di una start up nata a San Francisco a inizio anni Duemila. Fondata da due laureati in fisica, Adam Bowen e James Monsees, successivamente studenti di design del prodotto alla Stanford University, la sua missione era quella di aiutare i fumatori adulti a ridurre o cessare l’utilizzo di sigarette, offrendo loro un’alternativa più salutare ma altrettanto soddisfacente.

Nel 2015 creano Juul. Si tratta di una e-cig dal design impeccabile, definita «l’iPod delle sigarette elettroniche». Grazie a una tecnologia basata sui sali di nicotina, riusciva a soddisfare i fumatori senza emanare i prodotti cancerogeni derivanti dalla combustione del tabacco. Rispetto ad altre e-cig consentiva di inalare concentrazioni di nicotina molto più elevate.

Il prodotto sembra rivoluzionario, finché il lancio di una campagna di marketing totalmente focalizzata sui teenager (e non sugli adulti, come da obiettivo iniziale) ne diffonde in maniera massiccia l’utilizzo tra i più giovani. Persino tra i minorenni e tra chi non aveva mai fumato una sigaretta normale.

Attraverso la testimonianze di adolescenti e dei loro genitori, la docuserie fa luce su un’epidemia inizialmente molto silenziosa. Perché l’utilizzo della Juul era diventato così comune nelle scuole e nelle classi che molti giovani non si rendevano nemmeno conto di assumere nicotina.

L’insorgenza di effetti collaterali legati all’abuso ben presto rende concreto il problema agli occhi delle famiglie e della FDA statunitense, che costringe la Juul ad apportare delle modifiche alle sue pratiche pubblicitarie nei confronti dei teenager. E anche a interrompere la vendita delle cartucce di ricarica più amate dai giovani, tra cui quelli al mango, alle creme e alla frutta. Oggi sono disponibili solo quattro aromi: menta, mentolo e due varianti di tabacco.

L’utilizzo di e-cig tra gli adolescenti americani

Negli Stati Uniti, come documentano report federali, fra il 2016 e il 2018 cinque milioni di teenagers sono diventati svapatori. Mentre sei milioni di americani adulti non fumatori hanno iniziato a consumare nicotina grazie alle sigarette elettroniche.

Nel 2022 la FDA blocca la commercializzazione e la distribuzione della sigaretta elettronica Juul. Secondo gli esperti dell’ente di vigilanza, la documentazione che l’azienda aveva presentato per richiedere l’autorizzazione alla vendita era insufficiente a dimostrarne la sicurezza. Soprattutto dei liquidi presenti nei pods.

La società ha dichiarato che farà ricorso e chiederà la sospensione delle decisioni. Per farlo, sta introducendo un’app che, prima dell’acquisto, richiede al fumatore di inserire un documento di identità e una foto in tempo reale per verificarne la maggiore età (negli Usa l’età minima per acquistare e-cig è 21 anni). Di recente l’azienda ha anche aggiunto ai suoi prodotti l’etichetta «alternativa per fumatori adulti».

L’utilizzo di e-cig tra gli adolescenti italiani

La campagna pubblicitaria di Juul, rivolta agli adolescenti americani, non è mai stata replicata o utilizzata in Italia. Ma dall’arrivo delle e-cig sul mercato italiano, il loro utilizzo, anche tra i teenager, è andato aumentando. Secondo i dati Istat, nel 2021 il 2,8% delle persone di 14 anni e più (circa un milione e mezzo) ha dichiarato di utilizzare un’e-cig. Il 3,4% dei maschi e il 2,3% delle femmine.

Come conferma la Società italiana di pediatria la dipendenza da nicotina rappresenta uno dei rischi maggiormente connessi all’uso delle sigarette elettroniche. Studi documentano come più una persona sia giovane quando inizia a farne uso, più è probabile che ne diventi dipendente. Il cervello dell’adolescente è più vulnerabile agli effetti gratificanti della nicotina, che stimola i sistemi di ricompensa e il rilascio di dopamina. Il processo causa una dipendenza che si manifesta con il desiderio di riassumere la sostanza e sintomi da astinenza se questo non avviene. Tuttavia lo svapo, anche passivo, ha altri effetti collaterali sulla salute.

Hai preso le pillole? Xanax

«Per alcuni sono la salvezza, per altri una maledizione». La frase di presentazione del documentario Hai preso le pillole? Xanax (circa un’ora e mezza, su Netflix) è un’ottima sinossi del ruolo che i farmaci ansiolitici possono avere nei confronti dei pazienti.

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Il documentario parte dall’esplosione dello Xanax (principio attivo alprazolam) negli ultimi vent’anni negli Stati Uniti, dove ne farebbe uso un americano su otto. Il medicinale, uno dei più famosi a base di benzodiazepine, nasce per contrastare l’ansia.

Gli ansiolitici sono farmaci che potenziano un neurotrasmettitore, chiamato GABA, quasi un sedativo che riduce la comunicazione tra un cellula cerebrale e l’altra. In questo modo il cervello si calma, e di conseguenza tutto l’organismo. Medicinali che rilassano e sono in grado di risolvere le ansie quotidiane di migliaia di persone, ma che possono anche creare dipendenza. È questo il focus del documentario, che, con diverse testimonianze, e in particolare quella di un paziente la cui astinenza lo porta quasi al suicidio, racconta il lato più oscuro delle benzodiazepine.

Hai preso le pillole? Xanax, Netflix

La dipendenza da medicinali ansiolitici in Italia

Secondo l’ultimo rapporto Osmed, in Italia nel 2022 le benzodiazepine (in particolare gli ansiolitici alprazolam e lorazepam, e poi gli ipnotici) sono state la categoria a maggiore spesa all’interno dei farmaci di classe C acquistati a carico del cittadino, anche con ricetta. E negli ultimi otto anni il loro consumo ha registrato un incremento del 34%. A livello geografico si osserva un’ampia variabilità. Rispetto alla regioni del sud, in quelle del nord il consumo è maggiore del 73%.

Come riporta un articolo di Repubblica, in cui è stato intervistato Fabio Lugoboni, del Servizio di Medicina delle Dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona, e presidente del Centro Lotta alle Dipendenze Onlus, è diffuso anche nel nostro Paese un utilizzo prolungato, poco controllato e ad alte dosi di benzodiazepine. «Non meno di 130 mila italiani», si legge nell’articolo, «soffrono di dipendenza patologica da benzodiazepine ad alte dosi. Ben oltre le dosi massime consentite, costretti ad assumere sempre maggiori dosi per dormire e calmare l’ansia».

Dipendenza da medicinali e serie tv: Take your pills 

Da non confondere con il precedente, Take your pills (Hai preso le pillole? nella traduzione italiana) è dal 2018 su Netflix e tratta l’abuso e la dipendenza da medicinali a effetto stimolante nella comunità giovane e adulta americana.

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Le pillole a cui fa riferimento il titolo sono in particolare due farmaci, l’Adderall e il Ritalin, rispettivamente a base di anfetamine e metilfenidato, diffusi negli Stati Uniti per il trattamento dell’ADHD, il disturbo da deficit di attenzione. I due farmaci aumentano il rilascio delle catecolamine, ossia sostanze come adrenalina e dopamina. Il risultato è maggiore consapevolezza, capacità di reazione, concentrazione, sopportazione del dolore.

Nella popolazione americana la diagnosi di ADHD è più alta che in ogni altro Paese. Ma nello stesso documentario si esprime scetticismo sulla correttezza di queste diagnosi. Per le persone che soffrono davvero di questo disturbo, un farmaco come l’Adderall è un rimedio efficace, che permette di vivere una vita normale, soprattutto a livello scolastico. Per tutti gli altri, invece, può diventare una droga. Diversi intervistati raccontano di esserne diventati dipendenti, assuefatti dal suo effetto stimolante, tanto da non riuscirne più a fare a meno. Come spiega uno psicologo, infatti, l’anfetamina alla base del farmaco si distingue solo per un gruppo chimico dalle metanfetamine, sostanze illegali che hanno scatenato diverse epidemie in zone rurali dell’America, ma l’effetto è poco differente.

Scoperta e sintetizzata nel 1929, l’anfetamina raggiunge picchi di utilizzo negli anni 60, quando il suo consumo non era regolamentato e si poteva trovare facilmente, anche in medicinali da banco (come lo stick di benzedrina per liberare il setto nasale). Tuttavia oggi si registra un nuovo boom di utilizzo di anfetamine sotto forma di Adderall. Che, nonostante le regolamentazioni, sarebbe comunque facile da ottenere. Da una parte per il grande numero di diagnosi di ADHD, dall’altra per un vero e proprio spaccio all’interno dei college americani.

Dipendenza da medicinali stimolanti in Italia

In Italia l’Agenzia italiana del farmaco autorizza solo due principi attivi per la cura dell’ADHD. Il metilfenidato (Ritalin) e l’atomoxetina (Strattera). L’Adderall, invece, non possiede un’autorizzazione all’immissione in commercio e al momento non sono disponibili dati su abuso o dipendenza da medicinali stimolanti nel nostro Paese.

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Giulia Masoero Regis

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, sito e giornale, e altre testate di divulgazione scientifica. Laureata in Scienze Politiche, Economiche e Sociali all'Università degli Studi di Milano, nel 2017 ha vinto il Premio Giornalistico SID – Società Italiana di Diabetologia “Il diabete sui media”; nel 2018 il Premio DivulgScience nel corso della XII edizione di NutriMI – Forum di Nutrizione Pratica e nel 2021 il Premio giornalistico Lattendibile, di Assolatte, nella Categoria "Salute". Dal 2023 fa parte del comitato scientifico dell’associazione Telefono Amico Italia.
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