Sessualità

«Mi chiamavo Giuseppe, ho cambiato sesso e sono donna»

Il racconto a OK di una lettrice, Roberta Cerboni: il percorso psicoteraputico, la cura ormonale, la trafila legale e la vaginoplastica

Roberta Cerboni, 33 anni, ha cambiato sesso il 19 novembre 2008. Vive a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Questa è la sua testimonianza per OK.

«Mi ritrovai davanti al chirurgo Aldo Felici alla fine di una lunga trafila. Tre anni prima mi ero presentato all’ospedale San Camillo di Roma, al Servizio per l’adeguamento tra identità fisica e identità psichica. Avevo fatto tutto il percorso di accertamenti interdisciplinari, seguito dalla psicoterapeuta Maddalena Mosconi.
La diagnosi era netta: disturbo di identità di genere con l’indicazione all’intervento di vaginoplastica. Che vuol dire cambiamento, o meglio, adeguamento di sesso. Da un anno ero sotto terapia ormonale, un passaggio necessario per accentuare i caratteri sessuali secondari in senso femminile. Ed era appena arrivata l’autorizzazione del Tribunale al mutamento di sesso.

Gruppo San Donato

“Dunque, ci siamo”, mi disse Felici.
“Sì, dottore. Per me è come nascere di nuovo”, dissi con una voce che io stessa giudicai curiosa: non proprio femminile ma neanche maschile.
“Sei quasi alla fine del percorso, proprio nessun dubbio?”. La domanda del chirurgo suonava retorica: sapeva benissimo che avevo passato tre anni a farmi rivoltare come un calzino dall’équipe psicologica. Un periodo molto difficile, ma necessario. Mi avevano spiegato che le persone con disturbo dell’identità di genere hanno caratteristiche precise: non sono omosessuali semplicemente attratti dalle persone del loro stesso genere; non sono transgender che si accettano senza volere interventi di riassegnazione chirurgica (si chiamano così, in termini tecnici). Sono donne in un corpo sbagliato, donne e basta con una sorta di difetto fisico da correggere.
Risposi guardando il medico negli occhi: “Neanche l’ombra di un dubbio. È dalla pubertà che so di essere imprigionata in un corpo maschile. L’unica cosa che voglio è liberarmi”. Mi spogliai per la visita.

Il fisico, grazie agli ormoni, stava prendendo una forma sempre più femminile. Seno piccolo, ma già evidente, fianchi che si erano allargati. Il dottor Felici mi spiegò per l’ultima volta in cosa sarebbe consistito l’intervento: “Il cambiamento di sesso da uomo a donna, cioè la vaginoplastica, è molto delicato ma ormai non riserva sorprese”. L’operazione sarebbe durata cinque ore e mezzo.
Prima ci sarebbe stata la demolizione: l’asportazione di testicoli e corpi cavernosi del pene. Poi si sarebbe costruito: utilizzando lo scroto si sarebbero fatte grandi e piccole labbra, quindi si sarebbe ricavata una cavità tra retto e vescica e, introflettendovi la pelle del pene, si sarebbe ottenuta una vagina. Infine, il clitoride. Lo si sarebbe costruito usando una parte del glande: un passaggio importante, perché da questa manovra di microchirurgia dipende la possibilità di avere una buona sensibilità erogena genitale.
È una cosa poco risaputa, ma la vaginoplastica oggi permette alla maggior parte delle persone operate di avere una vita sessuale abbastanza soddisfacente. Se non ci sono complicazioni o problemi, i genitali così ricostruiti hanno anche un aspetto simile a quelli naturali. La vera differenza è nascosta e sta nel fatto che la neovagina, rivestita di pelle e non di mucosa, non può lubrificarsi da sola e per i rapporti sessuali occorre usare creme specifiche.
Il 19 novembre 2008, io, Giuseppe, sono diventato definitivamente Roberta. Sono uscito dall’ospedale dopo una settimana e tutto il resto è andato bene. Anche la riabilitazione, che consiste nell’inserire in vagina dei tutori per evitare aderenze e riduzione di volume dell’organo costruito.
Ora sono felice del mio nuovo corpo di donna».
Roberta Cerboni

Ultimo aggiornamento: 5 novembre 2009

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