Sessualità

Doc, piccole e grandi fissazioni

Una vita scandita dai rituali. Il disturbo ossessivo compulsivo colpisce il 2,5 per cento della popolazione. Le forme più gravi si curano con gli psicofarmaci

a calpestare le strisce
quando attraversano la strada:
è un disturbo ossessivo compulsivo
(in sigla, doc).

Il doc, disturbo ossessivo compulsivo, è caratterizzato da ossessioni, cioè idee, immagini e impulsi ricorrenti che creano allarme, ansia o paura, e da compulsioni, cioè comportamenti ripetitivi o azioni mentali dettati da quei pensieri assillanti.
Le idee ossessive sono fuori dal controllo di chi le ha: la persona le avverte come estranee, si rende conto che sono infondate e prive di senso, ma riesce a controllarle con fatica (o non le controlla). In questo differiscono dalle preoccupazioni, che sono invece legate a rischi reali della vita quotidiana (un esame alle porte, la malattia di un parente o altro). Nella maggior parte dei casi si accompagnano ai rituali compulsivi, messi in atto per far diminuire l’ansia provocata dalle ossessioni.

Gruppo San Donato

Il popolo di perseguitati
da idee irrazionali
Il doc non è raro: i dati parlano del 2,5% circa della popolazione. Questo dato, però, non comprende le forme molto lievi, che interessano invece una percentuale di gran lunga più alta. Il disturbo ossessivo compulsivo può comparire anche nei bambini o negli adolescenti, ma più frequentemente insorge tra i venti e i trent’anni.
Per capire bene di cosa si tratta partiamo dal fatto che in tanti hanno probabilmente vissuto l’esperienza di sentire la propria mente come invasa da un pensiero estraneo e magari sgradito. A qualcuno, per esempio, mentre è a un ricevimento formale, può venire la folle fantasia di sparare parolacce e mandare a quel paese i noiosissimi organizzatori.
La persona sana è in grado di scacciare queste bizzarrie e di non pensarci più. Chi soffre di doc invece è perseguitato da una o più idee non razionali e allontanarle gli risulta impossibile: le fissazioni invadono il suo cervello. In risposta, spesso si sviluppano azioni obbligate. Gesti che si possono ripetere ancora e ancora, perché l’incertezza risorge. Sempre.

A volte le compulsioni hanno con le idee che le generano un rapporto del tutto casuale, o magari basato su una sorta di pensiero magico. Per esempio, un uomo che non riesce a fare a meno di figurarsi una possibile sciagura, magari un incidente d’auto, può pensare di sventare questo evento mettendo in atto il rituale di disporre le penne, sulla scrivania, in un certo modo. La sua strategia non funziona nel creare sicurezza sulle strade, è ovvio, però gli calma momentaneamente l’ansia.
Tutti noi, a volte, mettiamo in atto qualche piccolo rituale magico. Molte persone, prima di un colloquio importante, fanno lo stesso percorso con la macchina o indossano i medesimi abiti, convinte che tutto questo porti fortuna.
La patologia, è chiaro, arriva quando questi rituali sono obbligati, quando non possono essere evitati se non a prezzo di un’angoscia incontenibile e soprattutto quando il loro numero e la loro complessità aumenta, rubando alla persona gran parte del suo tempo.

Una specie di corto circuito nel cervello
Ovviamente ci sono diversi gradi del disturbo. Prendiamo una persona con l’ossessione dello sporco: se la sua forma è lieve, magari si laverà le mani un po’ più spesso degli altri e farà qualche doccia e qualche lavatrice in più. È un problema, ma ci si può anche convivere, magari senza neppure sentirsi troppo strani. In una forma più seria, le operazioni di igiene arrivano a impegnare anche diverse ore della giornata. E, nei casi limite, un paziente può paradossalmente smettere del tutto di lavarsi, sopraffatto dal terrore che sul sapone stesso si annidino dei germi.
Oggi sappiamo che cosa c’è dietro il doc. In parole povere, una specie di corto circuito del cervello. Lo dimostra una sofisticata tecnica di visualizzazione, la Pet (ovvero la tomografia a emissione di positroni): certe aree cerebrali sono super attivate ed è come se continuassero a far suonare un campanello d’allarme nella testa, un segnale di pericolo che spinge il soggetto a rimuginare o ad agire secondo cerimoniali ripetitivi.
La particolarità è che la persona sa che i suoi controlli, le sue manie, i suoi rituali magici sono inutili: il cervello nel suo complesso funziona bene, ma è come se le strutture d’allarme, fatta la verifica, non riuscissero a registrare la sensazione di cessato pericolo.

Quali sono le cause scatenanti del disturbo? In psichiatria non si va più a cercare una singola origine del problema, si parla invece di diversi fattori di rischio. Nel doc c’è sicuramente una componente genetica, che non è determinante, ma certo favorisce il disturbo. E poi ci sono personalità più predisposte: caratteri molto precisi, rigorosi, ordinati, poco elastici, ansiosi, insicuri.
Anche l’educazione ricevuta in famiglia, se molto severa e rigida, può essere considerata un fattore di rischio, sia pure marginale. Esistono due forme diverse di doc. La più rara è quella episodica: il disturbo insorge progressivamente e dura per un certo periodo, in genere uno o due anni, fino a quando passa spontaneamente. Più di frequente, invece, il disturbo raggiunge un certo livello e lì si assesta, magari con qualche oscillazione di intensità legata a periodi di maggiore o minore stress.

Psicoterapia e farmaci per le forme medie e gravi
Qualcuno riesce a convivere con le forme più leggere di Doc. Ma se il disagio cresce, diventa molto penoso da sostenere sia per chi ne soffre, sia per la famiglia.
«Oggi, per il disturbo ossessivo compulsivo in forma media e grave, la prima terapia è farmacologica», dice lo psichiatra Paolo Pancheri. «In alcuni casi (circa il 10%), la remissione dei sintomi è totale, e in una buona percentuale (più o meno il 70%) c’è un miglioramento significativo. Ci sono farmaci che potremmo chiamare di prima generazione, scoperti alla fine degli anni ’60, come la clorimipramina, un antidepressivo. I medicinali più nuovi, invece, sono quelli chiamati Ssri. Tutti agiscono regolando i livelli di serotonina, un neurotrasmettitore importante per il tono dell’umore. Vanno presi per tempi molto lunghi: anche tre o cinque anni per un doc di media gravità. Nella mia esperienza, le psicoterapie da sole sono sufficienti forse solo nelle forme molto leggere. Abbinate ai farmaci, invece, ne potenziano gli effetti e dunque sono consigliate, soprattutto quelle a indirizzo cognitivo-comportamentale».
Emma Chiaia – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 14 ottobre 2009

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