Salute

Sindrome di Rett: il fattore della crescita IGF 1 potrebbe arrestare il male

Quando nascono sono delle bambine come tutte le altre ma tra i nove mesi di vita e i due anni sorgono i primi problemi. Lo sviluppo cognitivo si ferma e le bimbe regrediscono: è la sindrome di Rett, una malattia rara contro la quale ancora non si conosce una cura.

Quando nascono sono delle bambine come tutte le altre ma tra i nove mesi di vita e i due anni sorgono i primi problemi. Lo sviluppo cognitivo si ferma e le bimbe regrediscono: è la sindrome di Rett, una malattia rara contro la quale ancora non si conosce una cura.

La malattia è oggi la seconda causa di ritardo mentale grave nelle bambine. Per la malattia è stato individuato da tempo un gene responsabile, il Mecp2, ma i meccanismi di questo male sono ancora in gran parte ignoti tanto che fino ad ora non è stato possibile trovare una cura. A far luce sul meccanismo attraverso il quale il cervello perde la capacità di svilupparsi correttamente è oggi uno studio tutto italiano appena pubblicato Scientific Reports, frutto di un lavoro coordinato da Gian Michele Ratto dell’Istituto nanoscienze (Cnr-Nano).

Gruppo San Donato

Utilizzando la tecnologia dell’imaging a due fotoni, che permette di vedere le cellule cerebrali al passare dei giorni, i ricercatori hanno infatti scoperto che nel meccanismo patogeno sono implicate delle alterazioni a livello delle sinapsi delle cellule cerebrali che sono presenti fin dalle primissime fasi della malattia. Si tratta di un difetto che renderebbe il cervello meno plastico rendendo difficile il dialogo tra neuroni.

Questo ha una implicazione importante a livello di possibili terapie in quanto potrebbero essere sviluppati farmaci in gradi di agire in maniera mirata ai primi sintomi andando a ripristinare le funzioni delle cellule cerebrali. I ricercatori hanno potuto verificarlo sul modello animale: c’è infatti una molecola, il fattore della crescita insulino simile IGF-1, già ampiamente utilizzata in medicina, che potrebbe agire positivamente sul problema.

«Una singola iniezione sembra capace di prevenire la scarsa mobilità delle spine malate nella fase precoce – ha spiegato Silvia Landi della Normale di Pisa, che ha collaborato allo studio – Ciò suggerisce che qualunque trattamento farmacologico per favorire il normale sviluppo delle sinapsi dovrebbe essere iniziato precocemente, ancor prima di osservare i sintomi clinici della malattia». Naturalmente perché questo possa essere fatto serve anche una diagnosi molto precoce che non sempre è possibile ma che potrebbe essere fatta laddove in famiglia ci sono stati altri casi di malattia.

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