Salute

Il bluetooth ci fa male? Tutto quello che c’è da sapere

Non esistono ancora evidenze scientifiche nel lungo periodo, ma la ricerca va avanti per dare risposte più certe in futuro

I dispositivi bluetooth sono sicuri per la salute? È una domanda legittima da quando utilizziamo quotidianamente dispositivi wireless, come auricolari, telefoni, smartwatch e casse per la musica. La risposta non è netta e necessita di una premessa.

Bluetooth e salute: una premessa

Sia i cellulari che i dispositivi senza fili sono un fenomeno relativamente recente. Quindi gli studi, scientificamente parlando, si basano su un periodo di utilizzo ancora piuttosto breve. Gli esperti di epidemiologia, tuttavia, sostengono che gli ultimi trenta-quarant’anni sarebbero già stati sufficienti a evidenziare il potenziale aumento nella popolazione di alcune malattie, come i tumori del cervello. Ma è anche vero che più aumenta il tempo di esposizione e quello a disposizione per studiare un fenomeno, più si può affermare con certezza che una sostanza, un cibo o uno strumento non siano dannosi per la salute umana.

Gruppo San Donato

Al momento gli scienziati affermano che la potenza impiegata dalla tecnologia bluetooth (il metodo di trasmissione dati che utilizza una radiofrequenza a corto raggio entro una decina di metri), è troppo bassa per danneggiare i tessuti biologici dell’uomo con meccanismi conosciuti. L’unico effetto studiato e rilevato è quello termico, dovuto alle radiazioni di cellulari e dispositivi wireless.

Radiazioni non ionizzanti

Si tratta però di radiazioni non ionizzanti, incapaci cioè di modificare il numero di elettroni di un atomo e, potenzialmente, danneggiare l’organismo esposto. Per intenderci, l’esempio classico di radiazioni ionizzanti è rappresentato dai raggi X della Tac, che durante l’esame penetrano nel nostro corpo e permettono di rilevare immagini interne. È una procedura diagnostica con un pericolo basso, quasi trascurabile, anche se il medico si riserva una valutazione rischi-benefici e in alcuni casi può sconsigliarla, come in gravidanza.

Le radiazioni non ionizzanti, invece, hanno un’energia minore e non sono in grado di modificare gli atomi e le molecole dei materiali che colpiscono. Al massimo, possono riscaldare le sostanze. Come accade con le radiazioni del microonde, che all’interno del forno riscaldano acqua e cibo. L’esposizione a quantità intense e dirette di radiazioni non ionizzanti come quelle del microonde, quindi, può provocare danni ai tessuti a causa del calore. Si tratta dei cosiddetti effetti termici.

Il bluetooth fa male? L’effetto termico

«Gli effetti termici sono le uniche conseguenze accertate dei campi elettromagnetici a radiofrequenza», conferma Alessandro Polichetti, primo ricercatore e componente del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni dell’Istituto Superiore di Sanità. «L’organismo umano assorbe l’energia emessa dai dispositivi e la converte in calore. Il calore, a sua volta, causa un riscaldamento dei tessuti, che, se esagerato, può generare un danno termico. Tuttavia, noi dissipiamo il calore in tanti modi grazie al nostro sistema termoregolatore. Quindi un danno si può verificare solo con campi elettromagnetici molto elevati. A cui è impossibile trovarsi esposti nella quotidianità. Di certo non con un cellulare o un bluetooth». 

Tutelati dalla legge

I consumatori, infatti, sono tutelati dai potenziali effetti termici. La legge impone che le persone non possono essere esposte a potenze per unità di massa uguali o maggiori di 2 W/kg. E questo limite è rispettato da ogni dispositivo senza fili. «I campi elettromagnetici utilizzati dai dispositivi bluetooth sono molto simili a quelli dei forni a microonde per quanto riguarda la frequenza. Ma sono di intensità così bassa che registrare danni termici nel corpo umano è pressoché impossibile», rassicura l’esperto. «Questo è vero in generale per tutte le tecnologie a cui ci esponiamo nella nostra quotidianità. Dai telefoni cellulari alle antenne per le trasmissioni radiotelevisive». Solo in alcuni ambienti lavorativi bisogna valutare possibili rischi. Ad esempio, nelle lavorazioni industriali dove i dipendenti utilizzano intensi campi elettromagnetici per trattare i materiali.

Il bluetooth fa male? Gli studi sui tumori

Per quanto riguarda la cancerogenicità, invece, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito le radiazioni del cellulare nella categoria 2B. Ossia tra gli agenti «possibilmente cancerogeni per gli esseri umani». Di questo gruppo fanno parte gli agenti per i quali c’è un’evidenza limitata di causare il cancro nell’uomo e meno che sufficiente negli esperimenti sugli animali.

Glioma

Le radiazioni emesse dai telefoni occupano questa classe perché studi degli anni Duemila. Come l’Interphone, che ha coinvolto 13 Paesi e oltre 5mila persone con gliomi o meningiomi (tumori rispettivamente maligni e non maligni del cervello), hanno rilevato un nesso tra il glioma e l’uso del cellulare. Anche se l’associazione è stata registrata solamente nel 10% delle persone che facevano, in base alle loro dichiarazioni, un uso davvero intenso del telefono. In certi casi anche tra le 4 e le 5 ore al giorno di telefonate.

Neurinoma

Un secondo ramo della ricerca si è concentrato sul neurinoma del nervo acustico (una neoplasia benigna). Dimostrando un possibile aumento del rischio nel 10% dei forti utilizzatori. Tuttavia, gli stessi autori di Interphone hanno ammesso una certa difficoltà a interpretare i dati raccolti a molti anni di distanza dall’effettivo utilizzo del telefono.

Bluetooth e salute: perché servono altri studi

«È un limite degli studi osservazionali. Che si basano su ricordi soggettivi e potenzialmente influenzati dallo stato di malattia delle persone coinvolte», precisa Polichetti. Per questo sono stati condotti anche studi epidemiologici di tipo prospettico. «I partecipanti vengono scelti da sani e seguiti negli anni per studiare, in base a quanto utilizzano il cellulare, se vengono colpiti o meno da malattie di interesse», spiega Carlo La Vecchia, professore di statistica medica ed epidemiologia all’Università Statale di Milano e ricercatore della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. «Essendo tumori rari, però, si rischia poi che i casi di malattia non siano inadeguati per fare inferenze». 

Tra le ricerche prospettiche, il Million Women Study, che ha coinvolto 800mila donne britanniche e ha valutato il rischio di sviluppare un tumore cerebrale nell’arco di sette anni di utilizzo del telefono. Il lavoro si è concluso senza relazioni di causa ed effetto, tranne che per un possibile legame con il neurinoma del nervo acustico, già evidenziato in Interphone. Ancora in corso, invece, lo studio prospettico Cosmos, iniziato nel 2010 e in corso per 20-30 anni su un campione di circa 290mila persone.

La tecnologia oggi è più sana

«È il tempo necessario per valutare gli effetti a lungo termine dell’esposizione alle radiazioni. Che, comunque, non abbiamo ancora rilevato nonostante i cellulari si utilizzino dagli anni 70-80», sottolinea La Vecchia. «Mandare avanti questi studi è utile per non rimanere fermi nella ricerca e avere dati più certi. Tuttavia è assurdo avere timore di dispositivi con un rischio così basso e ancora tutto da dimostrare, quando consumiamo e utilizziamo abitualmente cibi e sostanze, come fumo e alcol, la cui cancerogenicità è ampiamente dimostrata». Anche perché, rispetto al passato, le tecnologie sono migliorate e la potenza delle emissioni, anche bluetooth, si è ridotta (in realtà non tanto per un discorso di salute pubblica, ma per preservare la batteria).  

Consigli per fare prevenzione

Chi, seguendo il principio di precauzione, vuole comunque cautelarsi da eventuali rischi per la salute, può limitare l’esposizione quotidiana alle radiazioni emesse dai cellulari. Come? «Ad esempio utilizzando un auricolare per chiamare invece che tenere il cellulare direttamente contro l’orecchio», riprende Polichetti. «I dispositivi migliori da questo punto di vista sono le cuffie con il filo. Seguite da quelle bluetooth». La scelta meno “salutistica” è telefonare (tanto) con lo smartphone all’orecchio. «Se proprio non possiamo perché non abbiamo dietro gli auricolari, un consiglio è tenere lontano il telefono almeno durante i primi squilli. Quando la potenza è più alta (ma pur sempre sotto la soglia di sicurezza 2 W/kg) e dopo si stabilizza». Inoltre, anche se non c’è una quantità di ore stabilita come dannosa o sicura, il suggerimento è non tenere gli auricolari senza fili nelle orecchie per troppo tempo. 

Un po’ diverso il discorso della musica. Se consideriamo il punto di vista radiazioni, ascoltare canzoni salvate sulla libreria del telefono o tramite applicazione, non è la stessa cosa delle telefonate. «Nel primo caso il bluetooth comunica con il cellulare solo per ricevere pacchetti di dati con l’app, con emissioni elettromagnetiche molto basse. Mentre nel secondo caso deve anche inviare segnali», dice l’esperto. 

Il bluetooth fa male? Il rischio distrazione

Dal punto di vista della distrazione e della sicurezza, invece, bisogna fare attenzione. E in questo caso filo o non filo, cambia poco. È il motivo per cui i Centers for disease control and prevention americani sottolineano come gli auricolari, o qualsiasi altra tecnologia, potrebbero essere fonte di distrazione e aumentare una serie di problemi di sicurezza. Non correlati all’esposizione alle radiazioni. «Questa – scrivono gli esperti statunitensi – è una delle principali preoccupazioni se stai guidando un’auto. Oppure partecipando ad altre attività che richiedono molta attenzione». Volume basso, insomma, soprattutto alla guida, in bici e mentre si attraversa la strada.

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