Cuore

Tachicardia: perché viene e cosa fare

Si tratta di un disturbo cardiaco che può essere fisiologico o patologico. Ecco, dunque, tutti i trattamenti per tenerlo a bada

Un ragazzino portoghese che toccava il pallone in modo sublime, ha rischiato uno stop precoce per via di un cuore che, a riposo, correva troppo. A 15 anni Cristiano Ronaldo ha subito un intervento di cardiochirurgia, perfettamente riuscito. Niente più battiti all’impazzata e strada spianata alla carriera di CR7. Ad affliggere il cinque volte Pallone d’oro era una tachicardia, dal greco tachys e kardia, ovvero «cuore veloce». Un disturbo che fa parte del grande gruppo delle aritmie. Si manifesta quando la frequenza cardiaca supera a riposo i 100 battiti al minuto.

Come funziona il cuore?

«Per svolgere la propria attività di pompa, indispensabile per la sopravvivenza, deve contrarsi (sistole) e rilasciarsi (diastole) con una successione regolare e costante, resa possibile grazie a un sistema di conduzione elettrica» spiega Paolo Della Bella, primario dell’unità operativa di aritmologia ed elettrofisiologia cardiaca dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. L’intero processo prende il via dal nodo seno-atriale, una sorta di pacemaker localizzato nella parte alta dell’atrio destro, vicino allo sbocco della vena cava superiore.

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Come origina il battito?

È proprio qui che si origina in modo autonomo l’impulso elettrico. Il segnale genera la contrazione degli atri (le camere superiori del cuore). Poiché il battito è imposto dal nodo seno-atriale, il ritmo cardiaco è detto sinusale. Poi l’impulso arriva al nodo atrio-ventricolare, posto, come suggerisce il nome, tra gli atri e i ventricoli. Da qui, attraverso il fascio di His, giunge ai ventricoli (le camere inferiori del cuore). Di conseguenza queste si contraggono, rilasciando il sangue ossigenato. Questo, attraverso le arterie, fluisce in tutti i distretti corporei.

Tachicardia “fisiologica”

È, dunque, grazie a questo complesso meccanismo che si originano e si propagano le pulsazioni, che possono avere una frequenza variabile, modulata in base ai bisogni dell’organismo stesso. «In alcune situazioni, un aumento dei battiti è un evento assolutamente normale, utile a fare aumentare l’afflusso di sangue, e quindi di ossigeno, ai distretti corporei che ne hanno necessità», chiarisce il cardiologo. «Ciò accade, ad esempio, quando si compie uno sforzo fisico, come sollevare un oggetto molto pesante; ci si dedica all’attività sportiva, come una corsa oppure una partita di calcio o di tennis; si provano stress, ansia, intense emozioni».

Anche in particolari fasi della vita, come ad esempio la gravidanza, può succedere di avere il battito accelerato. «Nel corso della gestazione, il sistema cardiocircolatorio della madre va incontro a una serie di adattamenti, per fornire al feto l’ossigeno e i nutrimenti di cui ha bisogno per crescere», precisa Della Bella. «Nei primi periodi dopo il concepimento la tachicardia appare più lieve, mentre negli ultimi mesi di gravidanza si presenta in misura maggiore».

Tachicardia patologica

Dietro le pulsazioni accelerate si potrebbero, infatti, celare alcune malattie cardiache, a carico delle coronarie (coronaropatie), delle valvole (valvulopatie), del muscolo cardiaco (cardiomiopatie). In una minoranza di casi, le cardiopatie possono essere di tipo genetico. Alcuni esempi sono la sindrome di Brugada, una patologia caratterizzata da una disfunzione delle proteine che regolano l’attività elettrica cardiaca, e la sindrome di Wolff-Parkinson-White, una condizione nella quale i segnali elettrici passano dagli atri ai ventricoli attraverso vie accessorie, bypassando il nodo atrio-ventricolare.

Diversi tipi di tachicardia

Fino qui si è parlato di tachicardia, ma forse sarebbe meglio dire tachicardie, visto che ce ne sono di diversi tipi. La più comune è la tachicardia sinusale, così chiamata perché consiste in un aumento dell’attività del nodo seno-atriale, che genera un graduale incremento della frequenza dei battiti. C’è poi la tachicardia parossistica, che compare e svanisce in modo repentino, variando la propria durata da una decina di minuti a oltre dieci ore. Si tratta di un’anomalia che deriva dal fatto che l’impulso di contrazione del cuore parte dal nodo atrio-ventricolare, anziché originare da quello seno-atriale.

Diverse parti del cuore coinvolte

A seconda della parte del cuore coinvolta, si possono poi distinguere la tachicardia atriale (o sopraventricolare) e la tachicardia ventricolare. «Se la prima riguarda di solito pazienti giovani che non presentano patologie cardiache e non deve destare, perciò, particolari preoccupazioni, la seconda si verifica di solito in persone affette da malattie del cuore e deve essere attentamente valutata per evitare che degeneri nella più temibile fibrillazione ventricolare», consiglia l’aritmologo.

Come si manifesta la tachicardia?

Il tipico campanello d’allarme della tachicardia è dato dalle palpitazioni (o cardiopalmo), ossia quella fastidiosa percezione soggettiva del battito accelerato. A ciò si possono associare, a seconda dei casi, altri sintomi, come respirazione difficoltosa, vertigini, nausea, svenimento, determinati dal fatto che, a frequenze molto elevate, il cuore non è in grado di pompare efficacemente il sangue e, di conseguenza, alcuni organi o tessuti non ricevono il necessario apporto di ossigeno. In alcuni casi, sebbene più rari, la tachicardia può anche essere asintomatica.

Come si diagnostica?

L’elettrocardiogramma

«Per accertare la presenza della tachicardia e valutarne la gravità il medico eseguirà un elettrocardiogramma». Si tratta di un esame non doloroso, della durata di pochi minuti, che viene effettuato facendo distendere il paziente in posizione supina su un lettino e impiegando l’elettrocardiografo, un dispositivo costituito da un macchinario computerizzato a cui sono collegati, tramite dei cavi, alcuni elettrodi (di solito 12-15). Questi ultimi, dopo essere stati applicati, tramite adesivo, ventose o gel, su torace, braccia e gambe del paziente, captano gli impulsi elettrici del cuore e li inviano al macchinario che li registra, rappresentandoli poi graficamente su un monitor o su un foglio di carta millimetrata, sotto forma di tracciato.

L’elettrocardiogramma sotto sforzo

Oltre che a riposo, questo test può anche essere eseguito in condizioni di sforzo. In quest’ultimo caso, durante il monitoraggio elettrocardiografico il paziente svolge un’attività fisica di moderata intensità, come camminare sul tapis roulant o pedalare sulla cyclette.

L’elettrocardiogramma dinamico secondo Holter

Quando è necessario individuare una tachicardia discontinua, difficile da evidenziare tramite il tradizionale Ecg, può essere utile effettuare l’elettrocardiogramma dinamico secondo Holter, un esame non invasivo che consente di monitorare la frequenza cardiaca per 24 o anche 48 ore. In particolare, sul torace del paziente vengono applicati sei-otto elettrodi collegati a un elettrocardiografo portatile a batteria, un apparecchio grande come un cellulare, che viene fissato alla cintura o inserito in una tasca dei pantaloni. Durante il periodo di rilevazione, che non interferisce con le attività quotidiane, il paziente dovrà compilare un diario per indicare le attività svolte, gli orari e la comparsa di eventuali disturbi. Ciò consentirà al medico di correlare l’esito del tracciato con i parametri indicati dall’assistito.

Gli smartwatch

Negli ultimi anni sono disponibili vari smartwatch, dispositivi da tenere al polso come un orologio che, tramite un’apposita app, consentono di registrare, in modo semplice e in pochi secondi, la frequenza cardiaca, mostrando sul display il tracciato elettrocardiografico. Quest’ultimo può essere salvato ed eventualmente condiviso con il proprio medico per una valutazione. Inoltre, questi strumenti provvedono a controllare in background, in modo autonomo, il battito cardiaco, inviando all’utente un messaggio di avviso nel caso in cui rilevino una frequenza irregolare.

Come si cura?

Una volta appurata la diagnosi è necessario intervenire nel modo più appropriato, tenendo conto sia del paziente che del tipo di patologia. Nei casi più fortunati, il trattamento non è necessario: basta sottoporsi a periodiche visite cardiologiche, durante le quali il medico potrà tenere sotto controllo la situazione e la sua eventuale evoluzione. Nel caso in cui, invece, la terapia fosse indispensabile, le opzioni a oggi disponibili sono varie.

Farmaci

Innanzitutto, lo specialista può prescrivere i medicinali antiaritmici, da utilizzare al bisogno (una tantum), cioè quando il disturbo si manifesta, oppure in modo cronico, con l’obiettivo di controllare e ridurre nel lungo periodo l’incidenza della tachicardia.

Chirurgia

Nel caso in cui il trattamento con i farmaci non fosse sufficiente a risolvere il problema, è possibile procedere con l’intervento chirurgico, che può essere di due tipi.

• Ablazione. In questa procedura il chirurgo inserisce, tramite una ago-cannula, un particolare catetere, sottile e flessibile, dotato a un’estremità di elettrodi e di un ablatore, nella vena femorale dell’inguine o nella vena giugulare del collo del paziente, facendolo arrivare fino al cuore. A questo punto viene azionato l’ablatore, un bisturi che distrugge l’area patologica impiegando la radiofrequenza, il laser o la bassa temperatura, in modo da prevenire le successive recidive. L’intervento, in anestesia locale, dura dalle tre alle cinque ore e ha un’efficacia variabile in base al singolo caso.

Defibrillatore impiantabile. Messo a punto dal cardiologo polacco Michel Mirowski verso la fine degli anni 70, questo strumento cominciò a essere utilizzato al termine del decennio successivo. «Si tratta di un apparecchio di piccole dimensioni simile a un pacemaker, composto da due parti: un generatore di impulsi a batteria che, attraverso algoritmi specifici, monitora il battito cardiaco ed eroga una scarica elettrica quando rileva un ritmo anomalo; vari cateteri, cioè sottili cavi che mettono in comunicazione il tessuto cardiaco con il generatore stesso», spiega Della Bella.

Durante l’intervento di impianto del dispositivo, il chirurgo esegue una piccola incisione nella zona sottostante la clavicola. Qui crea una «tasca» di alloggiamento fra la cute e il muscolo, nella quale posiziona il generatore. Poi, attraverso le vene, fa arrivare i cateteri fino all’interno del cuore. In genere l’intervento dura un paio d’ore, ma può protrarsi anche più a lungo nei casi complessi. Di solito, il paziente effettua il primo controllo del dispositivo dopo un mese dall’impianto e poi ogni sei mesi.

• Terapie intercambiabili. «Le varie forme di trattamento non sono mutuamente esclusive, ma si possono integrare tra loro», precisa il cardiologo. «Ad esempio, un paziente può essere trattato con l’impianto del defibrillatore e con l’ablazione, oppure con il defibrillatore e con i farmaci, o ancora con l’ablazione e i medicinali. Le combinazioni sono diverse e dev’essere il medico a decidere, di volta in volta, in base alla propria esperienza, qual è l’approccio migliore per ciascun paziente».

Non sempre è colpa del cuore: le condizioni che favoriscono la tachicardia

Quando la tachicardia fa capolino non è sempre colpa del cuore. Talvolta le cause di un aumento dei battiti cardiaci potrebbero essere altre. Ecco quali.

Febbre. Quando c’è un’infezione in corso, la temperatura corporea si innalza per potenziare l’azione del sistema immunitario. Ma anche il cuore fa la sua parte per ripristinare la condizione di benessere, battendo più velocemente. Si calcola che, in questi casi, la frequenza aumenti di otto battiti al minuto per ogni grado superiore a 37.

Cattiva digestione. Dopo un pasto abbondante e ricco di grassi, lo stomaco si dilata. In questo modo si comprimono le terminazioni del nervo vago, che inducono il muscolo cardiaco a battere più rapidamente.

Anemia. A causa della malattia, il numero di globuli rossi nel sangue non è sufficiente a trasportare abbastanza ossigeno ai vari organi e tessuti. Il cuore cerca, pertanto, di compensare questa condizione aumentando le pulsazioni.

Ipertiroidismo. L’eccessiva produzione di ormoni da parte della tiroide influisce anche sull’apparato cardiovascolare. Induce, infatti, un aumento della frequenza cardiaca e anche un incremento della forza di contrazione del cuore.

● Elevata assunzione di bevande che contengono caffeina (caffè, tè, cola). Questa sostanza stimola il rilascio di adrenalina, un ormone che induce un aumento dei battiti cardiaci.

Assunzione di farmaci. Alcuni antibiotici, come eritromicina e claritromicina, e alcuni antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, potrebbero provocare un’accelerazione delle pulsazioni come effetto collaterale.

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