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Cos’è la resilienza? Ecco come far fronte alle difficoltà

È la capacità di adattarsi alla realtà e trasformare una sconfitta in un’occasione per un cambiamento positivo. Secondo gli esperti di neuroscienze si può sviluppare: ecco in quale modo

Cos’è la resilienza? Secondo gli psicologi basterebbe un po’ di resilienza per fare fronte a batoste e sconfitte della vita. A promuoverla, con un premio letterario e una mostra itinerante, è perfino un’associazione. Si chiama «Wondy sono io». È stata fondata nel 2017 dal giornalista Alessandro Milan in ricordo della giovane moglie Francesca (Wondy da Wonder Woman, appunto), scomparsa per un tumore, combattuto fino all’ultimo con coraggio e determinazione. «C’erano due sole strade, abbattersi o reagire. Io ho scelto la seconda», sintetizza lui.

Un altro straordinario esempio è quello di Alex Zanardi, pilota al quale, in seguito a un incidente in pista, sono state amputate le gambe. «Quando mi sono svegliato dopo l’intervento», ha detto il campione paralimpico, «ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che avevo perso». Sì, perché davanti al dolore e alle difficoltà, più o meno grandi, o ci si chiude a riccio o si va al contrattacco, ci si rialza e si affronta la salita. Si diventa, in una parola, resilienti. Vuol dire diventare capaci di affrontare nel migliore modo possibile gli eventi negativi della vita, come appunto una malattia, un lutto, un grave incidente, ma anche un divorzio, un licenziamento, un tracollo finanziario, una bocciatura.

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Cos’è la resilienza? Il sistema immunitario della nostra mente

 

Oggi la parola resilienza appare nuova e, come rileva l’Accademia della Crusca, va sempre più di moda. In realtà ha origini antiche e derivano dal latino «insilire», ovvero saltare su o risalire. Come racconta Sergio Astori nel libro Resilienza. Andare oltre: trovare nuove rotte senza farsi spezzare dalle prove della vita (San Paolo), i primi studi sul tema risalgono alla metà degli anni 50, quando Emmy Werner, psichiatra dell’università di Davis, in California, studiando 698 neonati dell’isola hawaiana di Kauai, esposti a trascuratezza e violenza, notò che alcuni mostravano comunque una crescita positiva ed equilibrata.

«La resilienza ha a che fare con l’abilità di un individuo a superare in modo efficace le situazioni avverse, di risollevarsi dopo una crisi, di rinascere dopo un trauma, adattandosi alle nuove circostanze», sottolinea Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di neuroscienze e salute mentale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale Fatebenefratelli-Sacco di Milano e past president della Società italiana di psichiatria. «Si tratta di un talento chiave, soprattutto in un’epoca come quella odierna, caratterizzata da precarietà e incertezza crescenti». Per rendere meglio l’idea alcuni esperti hanno paragonato la resilienza al sistema immunitario, che protegge l’organismo dagli agenti patogeni senza comprometterne il funzionamento, ma, anzi, rafforzandolo dopo ogni malattia.

Cos’è la resilienza: piegarsi per non spezzarsi

 

Attenzione, però. La resilienza non coincide con la resistenza. Facciamo un esempio.  La nostra pelle viene considerata resiliente. Sa rigenerarsi dopo una ferita, anche se la cicatrice può rimanere. Quando si bagna un orologio subacqueo e continua a funzionare si definisce resistente perché non subisce un mutamento, ma resta esattamente quello di prima. Insomma, essere resilienti non significa resistere a tutti i costi, senza farsi scalfire, ma essere flessibili, sapersi piegare senza spezzarsi, per poi rialzarsi. Come le canne di bambù al vento oppure gli edifici antisismici durante un terremoto.

Perché certe persone si lamentano sempre?

A porre l’accento sul cambiamento insito nella resilienza è il neurologo francese Boris Cyrulnik. «Quando un restauratore restaura un quadro rovinato dalle intemperie si verifica una rinascita, un abbellimento, una metamorfosi, poiché i colori tornati freschi e luminosi non sempre corrispondono a quelli originali».

Un aiuto nelle malattie

 

Un percorso, quello della resilienza, che richiede impegno ma che, come evidenzia Elena Malaguti nel libro Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi (Erickson), garantisce numerosi benefici, aiutando a costruire una vita piena e soddisfacente nonostante gli intoppi. Basti pensare che un atteggiamento resiliente è stato addirittura considerato tra i fattori in grado di contribuire al successo delle cure. Ad esempio, è stato rilevato che, in un gruppo di pazienti con cardiopatie coronariche, chi aveva livelli più elevati di resilienza (misurata come una combinazione di ottimismo, autostima, controllo della situazione) mostrava, rispetto a chi aveva livelli bassi, risultati significativamente migliori se sottoposto alla riabilitazione.

Cos’è la resilienza: contano anche i geni 

 

Ma resilienti si nasce o si diventa? Un po’ entrambe le cose. Gli esperti hanno evidenziato alcuni tratti della personalità correlati alla resilienza, come:

  • ottimismo,
  • autostima,
  • fiducia,
  • gratitudine,
  • oltre a una predisposizione innata a essere più o meno vulnerabili.

Più sei estroverso e di buon umore, più sarai resiliente

A indagare nello specifico il rapporto tra vulnerabilità e genetica è lo studio pubblicato nel 2003 su Science. È stato condotto dai ricercatori del King’s College di Londra, università del Wisconsin negli Stati Uniti e dall’Università di Otago in Nuova Zelanda. I centri di ricerca hanno esaminato l’impatto di due varianti, lunga e corta, del gene 5-HTT. È un gene deputato alla trasmissione di serotonina, il neurotrasmettitore del buonumore. Ebbene, fra le 847 persone analizzate, tutte reduci da eventi stressanti, il 43% di chi possiede la versione corta del gene si abbatte al punto da andare in depressione, contro soltanto il 17% di chi ha la variante lunga.

La plasticità del cervello

 

Detto ciò, è pur vero che il nostro cervello può cambiare (gli esperti la chiamano neuroplasticità). Uno studio pubblicato nel 2011 su Psychiatry Research Neuroimaging e condotto dai ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston, Stati Uniti, su un gruppo di volontari ha appurato, tramite la risonanza magnetica, che il cervello di chi era stato sottoposto alla meditazione per otto settimane, con una media di 27 minuti al giorno, mostrava cambiamenti misurabili in direzione della resilienza rispetto a chi non era stato sottoposto ad alcun trattamento.

Infine, le ultime ricerche di Paul Zak, fondatore e direttore del Center for Neuroeconomics studies della Claremont Graduate University, Stati Uniti, mostrano che il cervello ha un «interruttore» per accendere e spegnere la fiducia, alimentato dall’ossitocina, l’ormone dell’empatia e del legame, che si può, con appositi esercizi e terapie, incrementare. Ne consegue che, almeno in parte, la resilienza è come un muscolo, che si può allenare e potenziare.

La resilienza si può apprendere

 

In particolare, come sottolinea Andrew Zolli nel volume Resilienza. La scienza di adattarsi ai cambiamenti (Rizzoli), recenti ricerche scientifiche indicano che è più perfezionabile di quanto si credesse in passato, e che si può apprendere, visto che è radicata anche nei nostri pensieri e nelle nostre abitudini, che sono modificabili. Tradotto, è il nostro stesso atteggiamento che può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta, dato che quest’ultima non è decisa nel momento in cui interviene una difficoltà, ma quando ci si arrende a essa.

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