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Paura di uscire: ecco come il Covid ci ha cambiati

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La rubrica OK Salute e Benessere, condotta dalla giornalista Chiara Caretoni, va in onda tutti i giorni alle ore 11 sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR) e su Radio LatteMiele. Per entrare in contatto con la redazione radiofonica scrivi a: radio@ok-salute.it.

Il Covid-19 ha avuto e continua ad avere delle ripercussioni nella nostra sfera sociale ed emotiva. Purtroppo c’è chi, in seno alla pandemia, ha sviluppato una vera e propria fobia dei contatti sociali e ha paura di prendere in mano questo aspetto della propria vita. Ne parliamo con Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta.

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Disagio sociale: come si manifesta

È una sorta di effetto di amplificazione di quella che è la percezione della realtà. Su una base già di incertezza e scarsa sicurezza personale, alcune persone sviluppano una paura del contatto con gli altri. I primi segni sono molto simili alla sindrome dell’Hikikomori: ritiro sociale, in una sola stanza. Nessun contatto di nessun tipo, né telefonici né verbali. Comincia anche a degradarsi l’immagine corporea di se, ci si vede peggio, cambia l’alimentazione e ovviamente si altera tutto il ritmo sonno-veglia. Una sorta di depressione ma mascherata da questi sintomi di poca socialità.

Da dove nasce questa paura?

Da un lato c’è una predisposizione all’ipocondria, quindi una grande paura di ammalarsi. Dall’altro c’è un timore nell’esporsi nuovamente ai contatti sociali perché già prima era presente un germe di poca sicurezza personale e quindi già di sofferenza e disagio che, a seguito di esperienze come il lockdown, si è ridimensionato poiché si è stati protetti dall’esposizione sociale.

Uscirne si può: ecco i consigli utili

Importante il ruolo della prevenzione. Laddove vi sono già dei segni di disagio personale nella persona adulta o nell’adolescente, è meglio correre ai ripari senza aspettare che ci sia un evento per manifestare in modo importante i sintomi. Dall’altro è importante riuscire a parlare con qualcuno, oppure far si che le persone vicine come caregiver o gli stessi genitori, si accorgano del disagio e magari attraverso una parola giusta possano aprire una porta ed avviare un percorso di cura.

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