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Telefono Amico: contatti, come funziona, diventare volontari

Nato in Italia negli anni Sessanta, parte di un’ampia rete internazionale, è un servizio di ascolto gratuito che si rivolge a chiunque abbia bisogno di conforto e supporto nei momenti più difficili

«Pronto, buonasera». «Buonasera a lei, io…sono…», risponde una giovane donna, con un filo di voce, all’altro capo del filo. Resta in silenzio un paio di minuti e poi riattacca senza riuscire ad aggiungere altro. La prima volta che Giovanna chiama non ha nemmeno la forza di parlare. È durante una seconda telefonata che riesce a raccontare, tra le lacrime, di essere stata umiliata e ingannata dal compagno, tradita e lasciata. Confessa la sua paura di restare da sola, di essere travolta dall’incertezza e dall’angoscia.

Dopo di lei è la volta di Maria, studentessa delle superiori: va male a scuola, fuma di nascosto, litiga con i genitori. Ammette di tagliarsi qualche volta le braccia, nel tentativo di tenere a bada la rabbia e la tristezza. Poi c’è Giuseppe, un anziano che non esce mai di casa e ha voglia di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno. E ancora, Silvia, mamma single sopraffatta dalla fatica di accudire un neonato e preoccupata per la sfavorevole congiuntura economica.

Gruppo San Donato

Storie che ogni giorno corrono lungo le linee di Telefono Amico, un servizio di ascolto gratuito, apartitico, aconfessionale, rivolto a chiunque provi solitudine, sconforto, disagio e senta il bisogno di condividere emozioni e pensieri per avere conforto, essendo libero di mantenere, interrompere o ristabilire il contatto.

Telefono Amico: come si diventa volontari?

A rispondere alle chiamate sono i volontari, attualmente circa 500. Tra di loro c’è Stefano, 56 anni, padovano. «Ogni volta che inizio il servizio ricordo a me stesso che noi che ascoltiamo non siamo diversi dalle persone che telefonano. Siamo soltanto dall’altra parte dell’apparecchio», chiosa. Maria Teresa, insegnante di scienze in pensione, è da molti anni impegnata nella sede del capoluogo siciliano. «Non sono una benefattrice», tiene a precisare. «Non sono io a dare, ogni telefonata mi regala qualcosa».

Per assumere il ruolo di volontario è indispensabile un’accurata formazione tramite la frequenza di un corso di sei mesi, teorico e pratico, incentrato su ascolto empatico e relazione d’aiuto. Solo dopo avere acquisito le necessarie esperienza e competenza gli operatori potranno cimentarsi nel non facile compito di dare una mano a chi è in difficoltà, salvaguardandone l’anonimato e la riservatezza.

«I nostri volontari s’impegnano a sviluppare al meglio la consapevolezza di sé e l’attenzione verso gli altri per dare vita a relazioni di aiuto positive ed efficaci», dichiara Monica Petra, presidente di Telefono Amico Italia. «Danno la loro disponibilità animati da un desiderio di impegno sociale, per costruire un mondo che realizzi i propri valori, aprendo spazi di comunicazione e di condivisione». Operatori in grado di offrire un supporto circoscritto e mirato, che in molti casi può rappresentare un’àncora di salvezza per gli interlocutori. Sconosciuti che prestano orecchio a sconosciuti, offrendo un argine al male di vivere.

Dove e quando nascono le helpline?

Una storia, quella dei centri di emergenza telefonica, che affonda le radici agli inizi del secolo scorso. Nel 1906 viene avviata a New York la prima linea solidale del mondo, Save a life, mirata a prevenire i numerosi suicidi che si verificavano all’epoca nella metropoli americana. Bisognerà attendere il 1953 perché faccia capolino la prima helpline in Europa, nata a Londra per volontà del sacerdote anglicano Chad Varah. Un’esperienza replicata, negli anni seguenti, in Germania, Svizzera, Olanda, Norvegia, Belgio e Francia. Nel 1967 nasce a Roma Telefono Amico, oggi presente in venti sedi, da Bolzano a Palermo.

«In oltre mezzo secolo di attività abbiamo attraversato epoche e società in continuo cambiamento», racconta Petra. «L’utenza del servizio si è modificata nel tempo, così come l’approccio alla comunicazione interpersonale. Quando sono nate le nostre prime helpline il telefono era uno strumento di nicchia, non era nemmeno presente in tutte le case. Chi ci chiamava non aveva nessun altro con cui confidarsi, non aveva alternative. Col passare degli anni comunicare le proprie emozioni è diventata via via un’esperienza sempre più comune e oggi è più facile esternare preoccupazioni e necessità. Ciò che è rimasto immutato nel tempo è il desiderio di essere riconosciuti come individui unici, di sentirsi ascoltati e accolti nella propria umanità».

Tutte le associazioni, incluso Telefono Amico, fanno parte dell’International Federation of Telephone Emergency Service (Ifotes), nata nel 1967 a Ginevra per riunire le helpline del mondo, facendo in modo che potessero avere statuti e norme condivisi. Di rilievo i numeri della federazione, che conta attualmente 338 centri di emergenza telefonica, 31 associazioni nazionali appartenenti a 24 Paesi, oltre 20mila volontari, più di 800 professionisti, per un totale di quattro milioni di telefonate, 80mila mail, 120mila contatti in chat all’anno.

Quali sono le modalità per contattare Telefono Amico?

Oltre al tradizionale ascolto telefonico (attivo tutti i giorni dalle 10 alle 24 al numero 02.23272327), nel tempo Telefono Amico ha sviluppato altri modi per entrare in contatto con chi ha bisogno. È stata attivata una casella di posta elettronica (mail@micatai) per offrire agli utenti la possibilità di un confronto scritto. Per accedere al servizio basta attivare un form dedicato sul sito telefonoamico.it, registrandosi con nome utente e password.

Nel 2020 si è aggiunto WhatsApp Amico, chat attiva tutti i giorni dalle 18 alle 21 al numero 324.0117252, attraverso il quale un volontario potrà fornire un aiuto immediato. Gli utenti che si rivolgono al numero telefonico sono prevalentemente uomini (55%), hanno un’età compresa tra i 46 e i 55 anni, sono in genere disoccupati, vivono da soli e provengono dal Nord Ovest. WhatsApp e mail sono più utilizzate dai giovani. L’utente medio è una donna, di età compresa tra i 26 e i 35 anni, che studia e vive in famiglia.

A causare disagio ci sono anche gli strascichi della pandemia

Senza dubbio l’avvento del Covid ha lasciato dietro di sé molte ombre. Nel 2022 sono pervenute all’associazione oltre 110mila richieste di sostegno, con un incremento del 9% rispetto al 2021. Più di 20mila le ore dedicate dai volontari, con una media di 186,4 telefonate al giorno. In aumento anche le richieste pervenute via mail: oltre duemila nel 2022, circa il 68% in più rispetto all’anno prima, con gli utenti del servizio aumentati del 107%. Nel complesso le segnalazioni di malessere emotivo sono più che raddoppiate negli ultimi tre anni.

«A livello psicologico l’impatto della pandemia è stato notevolissimo e ha lasciato evidenti ferite, contribuendo a trasformare le vulnerabilità nascoste in condizioni conclamate», spiega Maurizio Pompili, professore ordinario di psichiatria all’Università Sapienza di Roma, direttore dell’unità operativa complessa di psichiatria dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea della capitale. «Ora coloro che sono stati più danneggiati rischiano di restare indietro. Per questo è necessario non abbassare la guardia, monitorare la situazione e continuare ad assistere soprattutto le persone più fragili».

SOS giovani: una sezione dedicata ai ragazzi

Anche i più giovani hanno accusato il colpo, soprattutto a causa dei reiterati lockdown e del mancato confronto con i coetanei. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi il 44% dei teenager all’inizio del 2021 si sentiva senza speranza e continuamente triste.

«In seguito all’emergenza sanitaria molti ragazzi hanno evidenziato paura del futuro, scarsa propositività e progettualità, confusione mentale, preoccupazioni per malattie o accadimenti negativi. I più colpiti sono stati quelli d’età compresa tra i 12 e i 18 anni, e tra questi soprattutto coloro che già soffrivano di disturbi psichici, come l’ansia», rende noto Michela Gatta, professore di neuropsichiatria infantile all’Università di Padova e direttore dell’unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell’Azienda ospedaliera universitaria della stessa città.

«In aumento anche i ricoveri ospedalieri, causati soprattutto da atti di autolesionismo e da disturbi del comportamento alimentare». Per stare accanto ai ragazzi, intervenendo precocemente per sostenerli nel loro sviluppo, Telefono Amico ha aperto sul sito la sezione SOS giovani, con focus su bullismo, cyberbullismo, autolesionismo.

Telefono Amico: assistenza no-stop durante le festività

Inoltre, per offrire a tutti il massimo sostegno, indipendentemente dall’età, da alcuni anni l’associazione garantisce una presenza anche durante le festività. In particolare, le linee restano attive dalla vigilia di Natale a Santo Stefano per una maratona di ascolto che nel 2021 ha dato risposta a oltre 640 persone, il 26% in più rispetto al 2020 e ben il 78% in più rispetto al 2019.

Un servizio analogo è stato attivato dal 2020 per il fine settimana di Pasqua, dando supporto a molte persone. «Nei giorni di festa il contrasto tra le aspettative e la realtà può essere particolarmente doloroso», ricorda Petra. «E noi non abdichiamo al nostro principale obiettivo, che è quello di esserci per chi ne ha bisogno, quando ne ha bisogno».

In crescita le segnalazione sul suicidio

Tra le difficoltà di chi si mette in contatto con il servizio si annoverano soprattutto bisogno di compagnia, problemi esistenziali, solitudine (58%), seguiti da difficoltà relazionali con familiari, amici, partner (il 23% di chi telefona, il 32% di chi utilizza WhatsApp, il 21% di chi usa la mail) e da una situazione di emarginazione (il 7% per telefono e WhatsApp e l’11% per il servizio via mail).

In crescita esponenziale, purtroppo, anche le segnalazioni relative al suicidio: quasi seimila nel 2021, con un incremento del 55% rispetto al 2020 e addirittura del 400% rispetto al 2019. Anche nel 2023 si rileva un trend in crescita con quasi duemila richieste d’aiuto legate al suicidio solo nel primo trimestre. A preoccupare è soprattutto il dato relativo ai ragazzi, visto che il 28% delle richieste di aiuto proviene da under 26. «Il suicidio nei giovani è un fenomeno di grande impatto, anche perché presenta una fattispecie a sé stante, non necessariamente sovrapponibile a quella dell’adulto», commenta Pompili.

Quali sono i segnali anticipatori?

«Spesso non vengono riconosciuti per tempo i segnali anticipatori. Bisognerebbe fare attenzione soprattutto in caso di scarso rendimento scolastico, disinteresse per gli sport, isolamento dalla famiglia e dagli amici. Ma anche abuso di alcol o droghe, attività rischiose (come guida spericolata o in stato di ebbrezza), alterazioni delle abitudini alimentari e del sonno. E poi volontà di fare una sorta di testamento (per esempio, regalare oggetti a cui si è molto affezionati), sentimenti di irritabilità, autosvalutazione, disistima. O ancora, frasi del tipo “vivere non serve a niente”, “non ce la faccio più”, “se non ci fossi, starebbero tutti meglio”.

Infine, rivelatori potrebbero essere i repentini cambiamenti d’umore: se una persona precedentemente angosciata appare improvvisamente risollevata, potrebbe aver preso la decisione di risolvere i suoi problemi in un modo tragicamente definitivo».

Come intervenire se ci sono le avvisaglie?

In presenza di questi segnali cosa si può fare in concreto? «Bisognerebbe avvicinarsi alla persona in maniera empatica, non lasciarla sola», suggerisce Pompili. «È importante affrontare la questione con la massima cautela, senza sottovalutarla, astenendosi dal formulare giudizi e concentrandosi sulle emozioni, non sui fatti. Meglio, inoltre, evitare di cercare a tutti i costi una soluzione, perché molto spesso una soluzione non c’è. Solo quando l’interlocutore si sarà finalmente confidato si potrà provare a trovare insieme una strada da percorrere, magari rivolgendosi a un operatore della salute mentale».

«In ogni caso instaurare un dialogo e rompere l’isolamento procura in genere un enorme sollievo e maggiore sicurezza. Spesso, in questo modo, i pensieri suicidari diminuiscono. È importante tenere a mente che chi si toglie la vita non vuole morire. Vorrebbe vivere, a patto che si riduca la sua sofferenza. Il suicidio è visto come la migliore via di uscita da questo dolore, laddove altre soluzioni abbiano fallito. Riducendo l’angoscia è possibile intravedere una speranza di salvezza».

Petra aggiunge che «sui problemi mentali grava ancora una sorta di tabù, una tendenza a non parlarne, nel caso del suicidio temendo l’emulazione. Ciò fa sì che molti adulti e ragazzi in una situazione psicologicamente precaria non cerchino aiuto. Dare voce alle fragilità e a eventuali pensieri suicidari è, al contrario, il primo passo per superarli».

«Non parlarne è 1 suicidio»: l’iniziativa di Telefono Amico per il 10 settembre

Nel mondo si tolgono la vita circa 800mila persone all’anno, una ogni 40 secondi. Di questi, quasi 46mila sono bambini e adolescenti di età compresa tra i 10 e i 19 anni, circa uno ogni 11 minuti. In Italia, invece, l’Istat stima 4mila morti per suicidio all’anno. Per accendere i riflettori su un fenomeno spesso trascurato l’Organizzazione mondiale della sanità ha istituito nel 2003 la Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio, che ricorre ogni anno il 10 settembre.

In concomitanza con questa occasione,Telefono Amico organizza, anche nel 2023, l’evento di sensibilizzazione «Non parlarne è 1 suicidio». I volontari dei centri locali, presenti in varie piazze italiane, incontreranno i cittadini invitandoli a scrivere su un biglietto un pensiero che possa rispondere alla domanda «In un momento difficile come ti prendi cura di te?» e che possa, quindi, offrire suggerimenti utili a tutti coloro che si trovano in situazioni di sconforto e disagio.

Tutti i biglietti verranno poi posti uno accanto all’altro su un apposito pannello. Inoltre, per simboleggiare la reciprocità di ogni relazione sarà consegnato a chi lascerà il proprio messaggio un biglietto con un pensiero di uno dei volontari.

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