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Onco Hair, la parrucca che migliora la qualità di vita delle pazienti

Un progetto importante che dona alle donne che si curano contro il cancro un modo per sentirsi meglio

Onco Hair è il progetto che dona i capelli alle donne che stanno affrontando la chemioterapia per carcinoma alla mammella. L’iniziativa è promossa dall’Associazione per il Policlinico Onlus, Fondazione Cariplo e CRLAB. Questa parrucca è una protesi altamente personalizzata, unica al mondo e realizzata all’interno dei laboratori CRLAB di Zola Predosa, nel bolognese. Viene creata utilizzando capelli umani, non trattati, inseriti a mano uno alla volta in una sottile membrana polimerica biocompatibile coperta da brevetto.

Onco Hair migliora la qualità della vita alle donne che perdono i capelli durante le cure

Uno studio pilota realizzato da Salute Donna Onlus e condotto presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano ha misurato in 10 punti (ovvero circa il 33%) di miglioramento sulla scala BIS (scala dell’immagine corporea, che va da 0 a 30) l’impatto positivo per le pazienti con recidiva di carcinoma mammario e alopecia recidivante che utilizzano questo dispositivo invece che la parrucca. La protesi consente a chi la indossa una vita assolutamente normale, diventa parte integrante del corpo, non va tolta la notte e consente di nuotare, legarsi i capelli e persino farseli tirare. Ne abbiamo parlato con Donatella Gambini, oncologa del Policlinico di Milano che ha seguito il progetto Onco Hair.

Gruppo San Donato

Onco Hair: che differenza c’è tra queste parrucche e le altre?

«Queste vengono definite protesi tricologiche o epitesi. Si tratta di manufatti realizzati su misura per una persona, con una base che ricalca perfettamente la forma della sua testa, sulla quale sono innestati capelli veri e vergini, che rispecchiano alcune caratteristiche dei capelli naturali di quella persona, come il colore, la forma e la densità. La protesi può essere poi fatta aderire alla cute con uno speciale adesivo, oppure semplicemente calzata, favorendo la sua rimozione quando lo si desideri. Il vantaggio rispetto alla parrucca “classica” è quello di rendere molto meno evidente la presenza di un manufatto. L’obiettivo è quella di non renderla riconoscibile né allo sguardo, né durante la vita di tutti i giorni, come ad esempio durante l’esercizio fisico o addirittura quando un bambino gioca con i capelli della mamma. Ovviamente, visto il lavoro e la tecnologia applicata, una diretta conseguenza è anche la notevole differenza di costo».

Qual è l’impatto psicologico di perdere i capelli?

«Direi molto forte, sostanzialmente per due motivi. Il primo perché diventa l’aspetto forse più visibile della malattia. Anche se provocato dalle cure, e non dalla malattia in sé, ne diventa in qualche modo il simbolo, ma con una valenza negativa, perché sottolinea una privazione, una perdita, e una perdita importante. Il secondo, molto più importante a mio avviso, riguarda la percezione del sé fisico. I capelli sono la cornice del volto e la loro perdita rappresenta una modifica molto “forte” della propria immagine. Non è l’unico, perché ci sono molti altri cambiamenti che intervengono e che modificano il rapporto esistente con la propria immagine, ma sicuramente i capelli rappresentano la parte più importante. Ci si guarda allo specchio e non ci si riconosce più, si “scolla” il rapporto tra la visione interiore che si ha di sé e quello che restituisce lo specchio», continua Gambini.

L’alopecia segno caratterizzante della malattia

Come in tutte le cose non tutti vivono allo stesso modo questa esperienza, in ogni caso negativa. «C’è chi è più forte, più saldo, dotato di maggiore autostima, più razionale. Insomma c’è chi riesce a convivere in modo più sereno con la nuova situazione e chi invece ne soffre intensamente. È estremamente soggettivo. Ci sono studi che analizzano l’effetto dell’alopecia in particolari gruppi etnici, per esempio tra le donne che per motivi personali/religiosi indossano il velo. Ci si aspetterebbe un grado di disagio minore, perché l’alopecia è “nascosta” in qualche modo alla società, invece, a volte tra quelle donne è stato registrato un disagio ancora maggiore».

Oltre alla parrucca sta avendo sempre più successo anche la oncoestetica o estetica oncologica. Questi aiuti quanto possono incidere?

«Si ricollega strettamente alla precedente, al concetto di immagine di sé. Poi si arricchisce di altri aspetti, come il concetto di femminilità, messo a dura a prova dalla malattia, e del prendersi cura di sé in un momento in cui i farmaci che curano purtroppo hanno effetti tossici, sia fisicamente che psicologicamente. Anche in questo caso la soggettività però è importante. Si può vivere questa fase in modo diametralmente opposto. Ho visto donne esibire con noncuranza e quasi orgoglio poche ciocche di capelli, e donne a disagio per le sopracciglia rade. Quindi ben venga ogni azione che porti un po’ di sollievo in un momento che è sempre di grande paura, preoccupazione e dolore sia fisico che psicologico. Al di là del recupero della propria immagine, oppure al contrario della possibilità di accentuare volutamente un cambiamento, è anche importante come già detto il concetto del prendersi cura di sé, di dedicare del tempo a sé e al tentativo di intervenire attivamente sulla propria immagine, di confrontarsi con una femminilità mutata».

Trucco e parrucco attenuano il disagio psicologico?

Uno studio svolto al San Raffaele di Milano ha dimostrato che la parrucca e il trucco aiutano ad attenuare il disagio psicologico e ad affrontare con meno effetti collaterali le terapie contro il cancro. La sua esperienza di medico oncologo conferma questo studio? «Progetti come questi sono sempre utili e benvenuti. Misurare gli effetti di interventi come questi in termini di o riduzione di tossicità o addirittura di migliore efficacia delle terapie è però molto complesso. Ma forse non è nemmeno necessario. Sentirsi meglio con sé stessi è già di per sé un risultato, passare del tempo che si percepisce di migliore qualità è già un risultato. È poi verosimile che un migliore stato d’animo aumenti la tolleranza, fosse anche solo psicologica, ad almeno alcuni effetti negativi delle terapie. Chi parte stremato dall’ansia e dalla paura, avrà ben poca “riserva” per affrontare ulteriori disagi. Sentirsi meglio con sé stessi, “vedersi meglio”, aumentare le sensazioni soggettive positive, non può che fare bene. Il tempo “buono” è sempre migliore di quello “cattivo”. Ecco perché è importante il ruolo di questi interventi, di queste iniziative, di tanta solidarietà e partecipazione con il fine di rendere più leggero un momento così pesante della vita di una persona».

Onco Hair: la storia di Silvia

Tra le pazienti che hanno partecipato a questo progetto c’è Silvia Ruffoni. «Gli ultimi 14 anni della mia vita sono stati segnati e caratterizzati nel bene e nel male da due tumori al seno. Era il 2008 quando il primo tumore si è presentato. Avevo solo 31 anni, ero sposata da pochi mesi ed ero pronta per realizzare il mio grande desiderio di diventare mamma. Invece nell’anno successivo anziché occuparmi di pannolini e biberon mi sono dovuta curare. Intervento chirurgico, radioterapia, chemioterapia. È stato proprio il desiderio di avere un figlio a darmi la forza nell’affrontare tutto, insieme all’esperienza che prima di me aveva colpito anche mia mamma. I 13 anni dopo il primo cancro sono stati caratterizzati da un doloroso, doveroso, ma anche arricchente viaggio di consapevolezza. Il dolore ti obbliga a guardarti dentro. Se riesci a vedere il tesoro nascosto dentro di te hai vinto tutto. Tre anni dopo il primo intervento partorivo mio figlio che oggi ha quasi 11 anni», racconta.

Ho sperato che la malattia mi lasciasse in pace per un po’

«Sapevo che la possibilità che la malattia si ripresentasse era elevata, ma quando ad agosto 2021 ho ricevuto la nuova diagnosi mi è crollato il mondo addosso. Ho ritirato l’esito e sono tornata al mare da mio figlio. Mi sono presa tutto il tempo per piangere, accettarla e per prepararmi psicologicamente. Ero una nuova Silvia, avevo 13 anni in più ed ero sicuramente più consapevole e più forte, ma ero anche diventata madre. E questo cambiava tutto. Stavolta inoltre la battaglia mi chiedeva uno sforzo ancora più grande: la mastectomia bilaterale. Frutto di una scelta drastica e difficile ma vissuta come un investimento per il futuro. Poi cure a lungo termine come l’ormonoterapia e di nuovo la tanto temuta chemioterapia».

Come ho vissuto questa esperienza

«Nonostante il mio innato ottimismo, la vivo come un insulto al mio essere donna. Uno scherzo di pessimo gusto. Martoriata nel corpo e nella mia femminilità. Le paure più grandi? Il dolore fisico post-intervento e le conseguenze della chemio. Della mia prima malattia uno dei ricordi più dolorosi che conservo risale al giorno in cui ho perso i capelli. Non si può descrivere o farlo capire a chi non l’ha mai provato. Ti dicono ricresceranno e tu lo sai che sarà così. Ma quando ti alzi la mattina e vedi l’ombra di te stessa e sai che devi conviverci per mesi e mesi, vorresti solo coprire lo specchio e non guardarti più».

Oltre alle terapie, devi imparare a riconoscerti

«Perché non solo devi imparare ad accettare ed amare un nuovo corpo e ci vorrà tempo. Non solo devi affrontare con coraggio gli effetti collaterali della chemio e rassicurare i tuoi cari e soprattutto tuo figlio che andrà tutto bene. Sei anche costretta a vederti più malata di quello che ti senti.

Ed è questo il punto. Non volevo sembrare più malata di quello che sono. La chemio, con la perdita dei capelli, ti porta a questo. Una donna colpita da un tumore al seno subisce mortificazioni fisiche e psicologiche non indifferenti. È costretta a farci i conti ogni giorno e ogni ora del suo percorso oncologico. La perdita dei capelli ti toglie il sorriso. Né più, né meno. E io avevo bisogno del mio sorriso.

E poi sono una mamma. Non era mia intenzione nascondere a mio figlio le mie “giornate no” e la stanchezza. Non volevo però fargli vivere l’immagine di una mamma tanto malata. Il mio ricovero in ospedale lo aveva già preoccupato e traumatizzato abbastanza».

Onco Hair: una svolta nella qualità psicologica della mia vita

«Così, quando l’oncologo del Policlinico di Milano, mi ha parlato del progetto Onco Hair, ne sono rimasta colpita e sorpresa e non ho avuto dubbi. Non volevo ripetere quella che per me era stata nel 2008 una pessima esperienza di foulard e parrucche e sentirmi a disagio con me stessa. Ricordavo fin troppo bene quei mesi. Non ho foto di quel periodo, neanche una. Ero a disagio. Non avevo granché voglia di uscire. La parrucca si spostava, oppure stringeva e desideravo solo il momento di tornare a casa e togliermela. Inoltre, indossare cappellini o foulard per me è esattamente come portare un cartello al collo con scritto: sono una paziente oncologica».

Onco Hair: chi non sa che sono in terapia, non lo capisce più

«Non volevo più rinunciare alla mia vita e a tutte le occasioni per uscire e stare in compagnia in serenità senza sentirmi posticcia, finta e fuori posto. Non volevo svegliarmi ogni mattina odiando l’immagine che vedevo allo specchio. Volevo continuare a sentirmi me stessa, forte, sicura di me e ne avevo un bisogno estremo. Grazie alla protesi è stato ed è davvero così. Ho mantenuto il mio taglio e colore di capelli preferiti. Chi non sapeva, non si è accorto di nulla. Chi sapeva, si incanta a guardarmi: “Mamma mia Silvia, sembrano proprio i tuoi capelli! Ogni tanto me ne dimentico!” La cosa straordinaria è che anch’io mi dimentico di averla!».

Da quando la indosso non c’è stato un solo giorno in cui non abbia passeggiato a testa alta per strada

«Questo perché è fatta su misura e posso indossarla sempre, notte e giorno. Mi alzo la mattina e posso infilarmi le mani nei capelli come se fossero miei, fare lo shampoo sotto la doccia e farmi la piega che desidero.
Mio figlio fin da piccolo per rilassarsi ha l’abitudine di accarezzarmi i capelli e non ha dovuto rinunciarci.
E anch’io non ho rinunciato a nulla in questi mesi. Gite fuori porta in compagnia, la serata a teatro con un bel vestito, cene in centro con le amiche, la passeggiata sul lago in una giornata molto ventosa. Tutto questo senza inutili paure, o disagi. Soprattutto sentendomi me stessa, godendo di ogni momento e ricaricandomi di energia e buon umore così indispensabili nella vita, figuriamoci in un momento così difficile!».

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Francesco Bianco

Giornalista professionista dal 1997, ha lavorato per il sito del Corriere della Sera e di Oggi, ha fatto interviste per Mtv e attualmente conduce un programma di attualità tutte le mattine su Radio LatteMiele, dopo aver trascorso quattro anni nella redazione di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore. Nel 2012 ha vinto il premio Cronista dell'Anno dell'Unione Cronisti Italiani per un servizio sulle difficoltà dell'immigrazione. Nel 2017 ha ricevuto il premio Redattore del Gusto per i suoi articoli sull'alimentazione.
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