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Leucemia linfatica cronica: prima terapia orale e senza chemioterapia

Oggi è disponibile una nuova combinazione di due farmaci, che viene assunta per bocca una volta al giorno a durata fissa, per circa quindici mesi

La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più frequente tra gli adulti e rappresenta il 30 per cento di tutte le forme di leucemia. Per trattare questo tumore del sangue oggi è disponibile una nuova combinazione di due farmaci, che viene assunta per bocca una volta al giorno a durata fissa, per circa quindici mesi. Al termine di questo tempo di somministrazione, la terapia determina in 9 pazienti su 10 un periodo libero da trattamento molto lungo, di quasi cinque anni. È il risultato raggiunto grazie all’associazione di ibrutinib e venetoclax, che ha ottenuto la rimborsabilità dall’AIFA.

Leucemia linfatica cronica: prima terapia orale e senza chemioterapia

«Questa nuova terapia combina due molecole che, grazie ai loro meccanismi d’azione, risultano tra le più efficaci tra quelle oggi a disposizione nella lotta alla leucemia linfatica cronica» conferma Luca Laurenti, Professore associato all’Istituto di Ematologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Oltre alla sua efficacia, è importante sottolineare che si tratta del primo trattamento completamente orale e senza chemioterapia. Questo permette di non dover ricorrere a ricoveri o infusioni endovenose, migliorando la gestione della terapia».

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L’efficacia e sicurezza di ibrutinib in combinazione con venetoclax sono state valutate in diversi studi clinici, che hanno mostrato benefici in termini di sopravvivenza e tempo al trattamento successivo ad un follow-up mediano di cinque anni, con tassi di sopravvivenza di oltre l’80 per cento rispetto alla chemio-immunoterapia.

«Ibrutinib è stato il primo inibitore della BTK impiegato nel trattamento della leucemia linfatica cronica» commenta Francesca Romana Mauro, Professore associato all’Istituto di Ematologia del Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università Sapienza di Roma. «Dato il lungo tempo del suo impiego, sono disponibili per questo inibitore dati molto “robusti” che si basano non soltanto sul più lungo follow-up registrato per questa classe di molecole, ma anche sul numero molto elevato di pazienti trattati in studi clinici, e soprattutto, nella pratica clinica».

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