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La depressione da cellulare smarrito

«Il cellulare non è un semplice telefono: è parte della nostra vita, è il mezzo per rapportarci con l'esterno e gli altri», dice Esther Swilley, la coordinatrice dello studio scientifico realizzato da alcuni ricercatori dell'università del Kansas che, chiedendosi che tipo di relazione intratteniamo con i nostri cellulari,. «La maggioranza dei ragazzi dichiara senza mezzi termini che il telefonino è una parte di loro stessi ma spiega tuttavia di apprezzarlo non tanto per la possibilità di comunicare con gli altri, quanto per il suo essere diventato oggi uno strumento che “semplifica la vita” per le sue funzioni o “diverte e intrattiene” grazie alla possibilità di giocare, ascoltare musica, navigare in rete. Non mi sorprende perciò che le applicazioni per smartphone più scaricate siano proprio i giochi».

«Il cellulare non è un semplice telefono: è parte della nostra vita, è il mezzo per rapportarci con l’esterno e gli altri», dice Esther Swilley, la coordinatrice dello studio scientifico realizzato da alcuni ricercatori dell’università del Kansas che, chiedendosi che tipo di relazione intratteniamo con i nostri cellulari,. «La maggioranza dei ragazzi dichiara senza mezzi termini che il telefonino è una parte di loro stessi ma spiega tuttavia di apprezzarlo non tanto per la possibilità di comunicare con gli altri, quanto per il suo essere diventato oggi uno strumento che “semplifica la vita” per le sue funzioni o “diverte e intrattiene” grazie alla possibilità di giocare, ascoltare musica, navigare in rete. Non mi sorprende perciò che le applicazioni per smartphone più scaricate siano proprio i giochi».

«Ricordate i Tamagotchi, quella sorta di cuccioli virtuali che andavano di moda per i bambini qualche tempo fa? Il cellulare è la versione adulta di quei giochini», afferma la Swilley . «La gente non lo spegne mai, ci gioca, non sa resistere alla tentazione di mostrarlo agli altri per vantarsene. Non è più qualcosa che ci serve, ma un compagno di vita e di giochi».

Gruppo San Donato

Così, ecco spiegato perché l’eventualità di perderlo è un’ipotesi sinceramente devastante per molti. E la Swiley sa di che cosa sta parlando: «È successo anche a me – ammette –. Ho lavorato per tre anni per un’azienda che ai dipendenti forniva un blackberry. Quando me ne sono andata e ho dovuto separarmi dal mio telefonino ho quasi pianto: era diventato una parte di me, ci ero visceralmente attaccata, era il modo con cui comunicavo con il mondo. Separarmene è stata durissima».

Fonte Correre.it

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