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Il bisturi che cura la pressione

Se la pressione non cala, anche il bisturi può dare una mano per disattivare quei circuiti nervosi che corrono lungo il rene e contribuiscono a mantenere troppo elevati i valori pressori

Se la pressione non cala, anche il bisturi può dare una mano per disattivare quei circuiti nervosi che corrono lungo il rene e contribuiscono a mantenere troppo elevati i valori pressori.

Basta una procedura mini-invasiva, che prevede solamente l’inserimento di una sonda attraverso l’arteria femorale, per spegnere gli interruttori nervosi che facilitano l’ipertensione e abbassarne i valori. L’intervento, la “denervazione simpatica renale”, può essere molto utile nei casi in cui l’ipertensione risulti resistente al trattamento farmacologico con almeno tre farmaci. La conferma viene da uno studio, condotto in 24 centri in Europa, Australia e Nuova Zelanda e pubblicato su The Lancet, che ha preso in esame 106 pazienti divisi in due gruppi.

Gruppo San Donato

Tutti avevano una caratteristica comune: la pressione massima non scendeva sotto í 160 millimetri di mercurio, in barba alle cure mediche che prevedevano tre o più farmaci anti-ipertensivi. Dopo sei mesi, nelle persone sottoposte al trattamento chirurgico si è osservata una riduzione della pressione arteriosa media di 32 e 12 millimetri di mercurio (rispettivamente per la massima e la minima), mentre i valori del gruppo di controllo sono rimasti sostanzialmente invariati. La tecnica è del tutto simile a una normale angioplastica, che si fa per dilatare un’arteria bloccata da un coagulo.

Attraverso l’arteria femorale si inserisce un sottolissimo tu bicino collegato a un generatore, che viene spinto fino all’arteria renale. Una volta giunto sulla zona in cui intervenire, lo specialista eroga energia a radiofrequenza a bassa potenza che disattiva selettivamente i nervi del rene, riducendo quindi la pressione ma senza alterare l’attività del rene stesso. In genere per ogni arteria renale vengono effettuate dalle 4 alle 6 ablazioni. Ogni ablazione prevede il posizionamento dell’elettrodo del catetere in contatto con la parte interna dell’arteria e l’erogazione di energia per due minuti: dopodiché si ritrae di pochi millimetri il catetere e si seleziona un nuovo sito da trattare.

L’intervento dura da quaranta minuti a un`ora e il paziente viene mantenuto in uno stato di sedizione leggera che gli consenta di essere vigile ma di non avvertire dolore. Quindi non serve l’anestesia generale. «Complessivamente sono stati sinora valutati oltre 800 pazienti ipertesi resistenti», commenta Guido Grassi, dell’Ospedale San Gerardo di Monza: «La tecnica induce una progressiva e consistente riduzione dei valori pressori sisto-diastolici che si mantiene – e spesso si potenzia – nei quattro anni successivi alla procedura. E questo favorisce una riduzione della posologia e/o del numero dei farmaci antipertensivi precedentemente impiegati dal paziente».

La tecnica, in ogni caso, è oggi riservata solamente agli ipertesi realmente resistenti ai farmaci. Per iniziare a combattere la pressione alta infatti occorre innanzitutto modificare le cattive abitudini: correggere l’obesità e l’eccesso di sale negli alimenti. «Fondamentale è definire che l’ipertensione sia davvero resistente, cioè non si riescano a raggiungere valori inferiori a 130/80 millimetri di mercurio per diabetici e nefropatici, e 140/90 per gli altri in terapia a dosi piene con almeno tre farmaci di cui un diuretico», spiega Roberto Pontremoli, docente di Nefrologia all’Università di Genova

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