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Ricky Memphis: mangio per placare la mia ansia

L'attore, al cinema dal 3 gennaio con «Mai Stati Uniti» dei fratelli Vanzina, racconta a OK il suo rapporto complicato con il cibo, le diete, lo stress, l'aspetto fisico

Un circolo vizioso di diete, fame, abbuffate, ansia e stress: Ricky Memphis racconta a OK il suo rapporto tormentato con il cibo, l’aspetto fisico e il lavoro. L’attore, al cinema da giovedì 3 gennaio con il film Mai Stati Uniti dei fratelli Enrico e Carlo Vanzina (nel cast anche Vincenzo Salemme, Ambra Angiolini, Ricky Memphis, Anna Foglietta e Vernia), soffre di fame nervosa.

«Sono a dieta da una vita. Dalle dissociate alle iperproteiche, le ho provate davvero tutte, anche le più assurde. Sono dimagrito mille volte. E altre duemila sono ingrassato di nuovo. Parto convinto, mi impegno, raggiungo i risultati voluti con sacrifici enormi, ma al momento di mantenerli non ce la faccio. Ricomincio a mangiare più di prima. Sono capace di cucinarmi mezzo chilo di pasta, consumarne un po’ e passare ad altre occupazioni. Ma il pensiero dei rigatoni avanzati non mi molla finché non vado a finirli del tutto, in maniera davvero compulsiva.

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Mangiare mi dà gioia. Qualunque problema io abbia, mi basta sedermi a tavola, o anche solo scegliere i piatti o il ristorante per la cena, per ritrovare il buonumore, mentre quando sono a dieta mi prende lo sconforto. Perché ovviamente sotto c’è dell’altro. Il cibo è la medicina per la mia ansia esagerata.

Mi sento sempre in attesa di un evento negativo. E più sono felice, più dentro di me cresce la paura di perdere le cose preziose che la vita mi ha regalato. Per fortuna ci sono la mia compagna, nostro figlio e la sua sorellina che nasce in gennaio, oltre al mio amato-odiato lavoro, che mi provoca tensioni enormi e non riesce a farmi sentire a mio agio. Perché fisicamente non mi piaccio affatto, e quindi non mi è facile stare davanti a una telecamera che mi riprende in tutte le maniere. Sono perfino imbarazzato con la troupe nel girare scene troppo drammatiche, o romantiche. Mi sento tremendamente insicuro. Colpa ovviamente del mio sovrappeso, che detesto fino a farmene un vero e proprio complesso.

Ogni volta, a un paio di mesi dall’inizio delle riprese di un film, mi riprometto di dimagrire. E puntualmente mi ritrovo come prima, se non addirittura ingrassato. Un vero e proprio circolo vizioso: mangio per stare bene, ma un attimo dopo sono assalito dai sensi di colpa. E inizio a lavorare sentendomi ancora peggio.

Per lo stress sono finito pure in ospedale…
Un paio d’anni fa, per lo stress, sono perfino finito in ospedale: uscivo da un periodo faticosissimo, in cui avevo girato quasi contemporaneamente una fiction e tre film, seguiti dai relativi impegni promozionali, ospitate in tv, interviste, conferenze stampa. E proprio durante una di queste, un forte senso di oppressione e un cospicuo innalzamento della pressione mi hanno spinto al pronto soccorso, dove gli accertamenti hanno imputato tutto allo stress.

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Eppure non c’è niente da fare. Da solo o in compagnia, a casa o al ristorante, non resisto ai piaceri della tavola, cercando sempre nuovi locali. Al punto che tempo fa a Roma ne ho perfino aperti due con l’amico e collega Simone Corrente: uno di cucina tipica della capitale e uno di pesce, venduti poi dopo qualche anno per la difficoltà di conciliare i due impegni lavorativi.

Non mi frena neanche il pensiero che eccedere possa mettere a rischio la mia salute. Del resto, l’eccesso fa parte di me, anche dal punto di vista sentimentale, e contribuisce ad alimentare il mio perenne stato di tensione. Come quando ho trascorso un mese di vacanza nell’isola greca di Paros con moglie e figlio, dove mi sono fermato ancora a lungo dopo la loro partenza per girare il film Immaturi, il viaggio. È stata una sofferenza: continuare a vivere dove ero stato tanto bene con loro, che comunque erano a Roma ad aspettarmi, mi metteva addosso una malinconia senza fine. Sono fatto così, posso passare intere settimane a ripensare a un pomeriggio trascorso in sala giochi con mio figlio…

Da sette anni vado dallo psicoanalista
Forse incide anche la mia profonda fede cattolica e il modo in cui l’ho consolidata. L’ambiente fortemente anticlericale in cui sono cresciuto strideva forte con l’attrazione irresistibile che ho sempre provato verso il sentimento religioso, così ho cercato di appagare il mio bisogno di spiritualità interessandomi a ogni alternativa, dal buddismo alla new age, fino alla religione degli indiani d’America. Poi ho frequentato addirittura un corso di filosofia materialista per allontanarmene. Ma c’era sempre qualcosa che non mi convinceva, e ogni accenno di ateismo mi infastidiva profondamente.

Così, quando i miei primi lavori da attore hanno iniziato ad allargare i miei confini geografici e mentali, mi sono finalmente lasciato andare. Leggo testi di teologia e vite dei santi, conservo in casa immagini sacre e prego moltissimo. Ancora, però, non ho la serenità necessaria per liberarmi di quel perenne stato di tensione che mi avvolge. Ci sto provando da sette anni con la terapia psicoanalitica, iniziata quando ho saputo che sarei diventato padre. Volevo essere un uomo migliore. In parte credo di esserci riuscito, perché ho potuto liberarmi di molti condizionamenti che mi affliggevano. Ma l’ansia è ancora tutta lì. Sempre pronta a essere affogata nel cibo».
Ricky Memphis (confessione raccolta da Grazia Garlando per OK Salute e benessere di dicembre 2012)

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