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«Il volontariato in Africa mi ha salvata dalla depressione»

Questa è la storia di Margherita Giarré, 53 anni. Dopo un tumore è entrata in grave depressione. L’ha salvata l’Africa, con un progetto di volontariato che ha dato senso alla sua vita

Questa è la storia di Margherita Giarré, 53 anni. Dopo un tumore è entrata in grave depressione. L’ha salvata l’Africa, con un progetto di volontariato che ha dato senso alla sua vita (leggi: l’altruismo ci fa sentire bene). Nata a Roma, vive a Parigi, dove lavora come grafica web.

In seguito a un cancro nel 2002, sono caduta in una forte depressione, così improvvisa e profonda, che non vedevo uscita o soluzione. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per farmi aiutare e curarmi. La depressione era già latente da parecchi anni, ma sempre tenuta bene o male sotto controllo. Con piccole cadute.

Gruppo San Donato

Il cancro ha rotto il fragile equilibrio con la malattia allora non troppo presa sul serio, malgrado avessi visto e vissuto delle persone care intorno a me soffrirne. Quattro anni dopo, all’inizio del 2006, la depressione si è dichiarata in tutta la sua potenza. Ingenuamente credevo poterla gestire. Contraria alle medicine, in grande difficoltà a chiedere aiuto, una volta dentro non ho avuto esitazioni, per fortuna a tempo, prima che le energie mi abbandonassero del tutto.

La sofferenza fisica e morale è invisibile e dall’esterno è difficile rendersene conto e aiutare. La chiusura al mondo diventa, poco a poco, la sola soluzione per sopravvivere. Proteggersi. Tutte le energie sono impiegate per passare secondo dopo secondo la lunghissima giornata che si prospetta quotidianamente.

La notte era un momento di sollievo in quanto nessuna sollecitazione poteva arrivare: il mondo dorme e la cappa del pericolo si alleggerisce. Il giorno, l’angoscia riprende tutta la sua dimensione: piccole azioni del quotidiano impossibili da eseguire. Lavarsi o nutrirsi che implica fare la spesa, uscire nel mondo dove chiunque è un potenziale pericolo di scambio, o semplice saluto. Le gambe non tengono, la spesa è pesante. Pensare a tutto: chiavi, soldi, scambio con la cassiera… Tutto è difficile. Pensare, ordinare il pensiero è difficile. La luce, i suoni, il traffico cittadino, tutto è troppo forte. Il desiderio di passare inosservata, tenere la testa alta e riuscirci raramente. Andare agli appuntamenti necessari alla cura, sono un calvario. Spesso i pensieri più sollevanti sono la morte per far tacere il dolore al torace, la pressione alla testa, la confusione interna. Dolori invisibili e incomprensibili dall’esterno.

Delle frasi senza senso mi sono spesso arrivate, come «mancanza di volontà». Frase che è probabilmente il frutto maldestro dell’inconscia proiezione dell’interlocutore e che non ha nessuna dimensione nella depressione, ma che al contrario, quella stessa volontà, non riconosciuta, è usata ogni microsecondo per tenersi, aprire gli occhi, portarsi fino al microsecondo dopo. Ci si sente più che mai soli. Ma non è quello il punto. È vitale, ricevendo simili commenti, cercare immediatamente e con energie che vanno scemando, la forza di accedere al microsecondo seguente per non soccombere, fuggendo dal non-stimolo che si ha davanti. La richiesta dell’interlocutore è sicuramente di rassicurare. Cosa impossibile! Non puoi fare altro che separarti dal mondo.

Poi un giorno, un anno dopo, ricevo un opuscolo di un’amica, che mi chiede un parere in quanto grafica. Ero nella fase di leggera remissione, c’era ancora l’argomento lavoro che mi dava veramente le vertigini.

Leggendo l’opuscolo della creazione dell’associazione Pont Universel , leggo: «Questa avventura umana è forse per voi!  L’associazione Pont Universel vi propone di partecipare alla costruzione di un ostello destinato ad accogliere dei bambini orfani e di offrire loro l’opportunità di andare a scuola nel villaggio di Kohé, in Togo, nell’Africa dell’ovest. Proponiamo questa esperienza unica alle persone che vivono in Svizzera e che vivono delle difficoltà esistenziali e sono in rottura sociale. Questa nuova forma di accompagnamento permetterà alle persone sofferenti di vivere un’avventura africana fuori dal comune, ricca di condivisioni e e emozioni. Esse potranno investirsi in un progetto comunitario in funzione delle loro possibilità e i loro desideri. Sarà anche l’opportunità per tutti i partecipanti di dare un nuovo senso alla loro vita. Tutte le attività proposte saranno perfettamente inquadrate da professionisti e in totale accordo con le capacità tanto fisiche che psichiche di ogni partecipante (durata, ritmo, tempo…). …».

Finalmente dopo tanto tempo di buio, una reazione fisica positiva fa capolino, una specie di emozione, eccitazione (non sempre buon segno nella depressione). Una speranza si prospetta… Rispondo con un’immediatezza che non vivevo più da tempo e le chiedo come fare per partecipare al programma pur non essendo svizzera… unico ostacolo nel testo. Comincia così la mia rinascita. Nel luglio 2007 parto per il Togo, a Kohé, villaggio a 45 minuti dalla capitale Lomé. Claudine Fischer, ausiliaria sociale indipendente e presidente dell’associazione Pont Universel, mi accompagna e veglia su di me con la sua saggia esperienza dell’Africa e della sofferenza invisibile.

Un’esperienza profonda, riparatrice, di un’umanità incomparabile. Sono tornata dopo 20 giorni, provata certo dall’inevitabile battesimo dell’Africa equatoriale (la «turista» che mi ha fatto conoscere l’ospedale africano, lontano dai rassicuranti ospedali occidentali, che mi ha aiutato a ritrovare i veri valori vitali), ma con un elemento nuovo: l’energia. Non mi rendevo conto di non averla assolutamente più e ritrovarla è stata una presa di coscienza incredibile. Ancora oggi veglio su di lei come un prezioso tesoro.

Margherita Giarré – OK Salute e benessere

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