
L’agorafobia – etimologicamente “paura della piazza” – è il timore degli spazi aperti o affollati. Dal punto di vista clinico, è la paura dei luoghi in cui non si vedono vie di fuga immediate e spesso si accompagna al disturbo di panico.
La persona agorafobica non affronta la sua paura, ma tende a mettere in atto comportamenti di evitamento, ossia evita le circostanze che percepisce come rischiose o causa di malessere. In certi casi ricorre a “comportamenti di salvaguardia” che l’aiutano a sostenere la situazione che la mette in crisi. Per esempio, si convince che solo sedendosi nei posti laterali del cinema non gli accadrà nulla e potrà assistere serenamente al film, oppure che solo portando con sé un ansiolitico (anche senza assumerlo) riuscirà a prendere l’autobus stipato di gente. Questi piccoli stratagemmi offrono una rassicurazione temporanea, ma a lungo termine rafforzano il meccanismo della paura, impedendo di confrontarsi con essa.
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Agorafobia: quali sono le cause?
Alla base dell’agorafobia possono esserci esperienze traumatiche o eventi spiacevoli vissuti in contesti pubblici: un attacco di panico in mezzo alla folla, un malore durante un concerto, o magari un ricordo d’infanzia in cui ci si è sentiti smarriti in un luogo affollato. Il meccanismo psicologico che si attiva si chiama “condizionamento”: la mente associa quel tipo di ambiente a un pericolo imminente, e ogni volta che si ritrova in una situazione simile, l’ansia cresce. Tuttavia, in molti casi il paziente non sa riferire un evento specifico del suo passato.
È importante sottolineare che la paura provata è sproporzionata rispetto al pericolo reale: chi vive questa condizione immagina scenari estremi – perdere i sensi, avere un attacco di cuore, non riuscire a controllare il corpo – ma nella realtà questi eventi non si verificano.
Come si può intervenire?
La terapia più efficace prevede un percorso graduale di esposizione. L’obiettivo non è gettare il paziente nella situazione temuta, ma accompagnarlo con cautela e competenza, affinché possa sperimentare che ciò che teme non si realizzi oppure si manifesti in modo molto più lieve rispetto a quanto immaginato.
Il terapeuta guida il paziente verso un progressivo confronto con le proprie paure, riducendo man mano sia l’evitamento, sia l’uso dei comportamenti di salvaguardia. L’intervento è personalizzato e calibrato con attenzione: la chiave del successo terapeutico sta proprio nel trovare il giusto equilibrio tra sfida e sicurezza, aiutando la persona a recuperare fiducia nelle proprie capacità di affrontare le situazioni.
Focus a cura di Claudio Gentili, professore ordinario di Psicologia clinica e direttore del Centro dei Servizi Clinici
Universitari Psicologici all’Università di Padova.