Disabili

Stress da lavoro, quando il disagio psichico entra in azienda

«Stress da lavoro, colpiti 9 milioni di italiani, le donne sono il doppio degli uomini». Lo afferma Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute delle donne: «i disturbi psichici sono in crescita del 10% in cinque anni a causa delle pressioni, delle barriere culturali, dell’eccesso di competitività...». Mi è tornato così in mente un post che ho pubblicato durante l’estate dal titolo Disagio psichico, un’opportunità per le aziende.

«Stress da lavoro, colpiti 9 milioni di italiani, le donne sono il doppio degli uomini». Lo afferma Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute delle donne: «i disturbi psichici sono in crescita del 10% in cinque anni a causa delle pressioni, delle barriere culturali, dell’eccesso di competitività…». Mi è tornato così in mente un post che ho pubblicato durante l’estate dal titolo Disagio psichico, un’opportunità per le aziende.

Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, la depressione sarà, entro il 2020 la malattia più diffusa nel mondo sviluppato e la seconda causa di disabilità che colpirà il 20% delle persone impiegate nel mondo industrializzato. In Italia si stima che già il 19,8% delle persone soffre, nel corso della vita, di disagi psichici che possono andare da una depressione più o meno persistente ad una affezione psicotica permanente (1 – 1,5% dei casi).

Gruppo San Donato

In questi mesi ho approfondito il tema. I numeri, sia quelli di Onda sia quelli dell’Oms, sono impressionanti. Poi mi sono guardato intorno e ho osservato la società: ansia o depressione, complice la crisi economica, sempre di più si palesano negli uffici, sulla strada, e nella vita quotidiana.

Nel precedente interventopubblicai sette consigli alle aziende che la Fondazione Accenture propose in una serie di workshop dedicati al tema del disagio psichico. Erano una serie di suggerimenti nati dall’esperienza di operatori medici e di aziende che già avevano avuto a che fare con il problema. Allora mi colpì con forza il primo. Dice: «il lavoro non rappresenta solo uno dei possibili fattori scatenanti il disagio, ma è al contempo una terapia, una medicina, l’ambiente lavorativo, infatti, può esercitare un effetto di tutela contro il malessere». Personalmente non posso che essere d’accordo, l’ho sperimentato sulla mia pelle nel momento in cui mi feci male: senza il lavoro difficilmente avrei evitato una depressione post traumatica dovuta alla nuova situazione di disabilità.

Ho così telefonato a Bruno Ambrosini, segretario generale della Fondazione Accenture – una fondazione di studi e di iniziative, senza fini di lucro, che analizza e promuove l’innovazione nei modelli di sviluppo, nella cultura e nell’educazione. Mi è venuto a trovare in ufficio:

Domanda. Davvero il lavoro può contemporaneamente essere causa e medicina del disagio mentale?
Risposta. Sì. Il lavoro, i ritmi di vita frenetici e una società che promette moltissimo, ma soddisfa pochi dei bisogni che ha generato, possono creare problemi mentali lievi, come l’ansia o più gravi come la depressione che in alcuni suoi stati è da considerarsi una disabilità debilitante. Ma il lavoro stesso spesso aiuta chi è entrato in crisi a ritrovare se stesso, a ritrovare la fiducia nelle proprie capacità che era andata perduta. Le aziende non vanno demonizzate, va loro insegnato come gestire lo stress dei dipendenti e soprattutto va insegnato ai responsabili delle risorse umane a captare i primi segnali di situazioni al limite.

D. Come capire?
R. I top manager devono essere consapevoli del problema e per tempo devono attivarsi con risorse per prevenirlo. E’ necessario formare il personale, con una formazione ad hoc. In America già succede. Le aziende hanno tutto l’interesse a investire in questo ambito, sia per l’incolumità di chi opera all’interno di queste strutture, sia perché la produttività aumenta: le persone che manifestano disagi psichici si assentano dal lavoro 7 volte di più di chi non soffre di questi problemi. Se le imprese non riescono a prevenire possono creare strutture protette che permettano un corretto reintegro di chi non è stato bene.

D. Una di queste realtà è quella che avete premiato?
R.
Sì al concorso Give Mind a Chance sono pervenuti 158 idee progettuali, alcune molto valide. Ha vinto Job Stations di Monica Anna Perego, che propone un centro di telelavoro per 15 lavoratori con disagio psichico iscritti alle categorie protette. È stato premiato perché è un progetto replicabile. Permette cioè di creare quelle strutture intermedie tra le persone e le aziende in cui, in un ambiente protetto e controllato, le persone possano riappropriarsi del proprio lavoro e le aziende ritrovare il proprio dipendente che era entrato in difficoltà.

D. Accanto al concorso avete organizzato anche una serie di seminari dedicati al tema disagio mentale. Avete invitato alcune aziende. Come hanno risposto alla vostra proposta?
R.
Hanno aderito numerose. Posso citare Ikea, Philips, Telecom Italia -che ha creato una struttura interna per il controllo del disagio mentale – Ermes – che ha previsto alcuni inserimenti di persone con problemi mentali -, Europe Assistance, Rafogar. Altre ci hanno contattato, ci vuole tempo ma siamo fiduciosi di aver posato una prima pietra.

D. Dopo il disagio mentale, la Fondazione a quale tema si dedicherà?
R.
Abbiamo in programma un altro concorso dal nome Forestskill, daremo 30 mila euro ai due progetti vincenti che ci forniscano idee concrete per la protezione del patrimonio boschivo italiano.

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